Non gioco più

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Se non è l’album di jazz italiano dell’anno, ci siamo vicini.  Il talento di questa giovane ma già matura interprete, nota finora solo ai cultori e qui finalmente a una prova reperibile su larga scala, convince per la personalità, la capacità di arrivare all’ascoltatore  abbinata a un   controllo sapiente delle qualità vocali. E  conquista per  la competenza  con cui affronta melodie impervie e strafamose rinnovandole dal di dentro, riscoprendone così l’ispirazione originaria. Per l’entusiasmo, la passione contagiosa, la sicurezza quasi sfacciata di chi fa di jazz e senso del blues un’equazione perfetta, forte di un talento vocale – lei ‘fuggita’ praticamente  per dieci anni a New York per inseguire questo amore musicale – che non ha nulla, neanche un grammo,  di accademico e di conservatoristico.

E che guarda invece, con un timbro vocale sabbioso e potente  al tempo stesso,  a una tradizione di stile e di cuore (una vale una)  che va da Sarah Vaughan ad Anita Baker, da Carmen Mc Rae a Withney Houston, dalle grandi Lilian Terry,  Jula De Palma – chi se le ricorda? —  su su fino all’ultima Betty Carter,  ad Amy Winehouse.

Di sicuro questo portentoso, rigenerante, multi colorato  lavoro contiene il brano più emozionante  in circolazione da parecchi mesi a questa parte (l’album e’ uscito nel mese di giugno di questo 2014).

Si tratta di Brava, la canzone che quel genio di Bruno Canfora scrisse, testo e musica, per Mina. E che, almeno per quel che ne so io, nessuno e nessuna, oltre all’inoltrepassabile dea della canzone italiana,ha mai avuto il coraggio di reincidere.

Greta Panettieri lo fa da jazzista istintiva e autentica, con quell’approccio consapevole e informatissimo verso il modello omaggiato che altro non è che un gesto d’amore. E così però riappriopriandosene, con un gusto totale e un talento straripante.

Prende il brano a una grande velocità, addirittura accentuando   la vitalità adrenalinica originale con un ritmo bop sfrenato e liberatorio; non canta il testo ma inanella,  sillaba dopo sillaba,  le note di uno scat senza fine, a perdifiato,  all’ unisono  con la tromba di Fabrizio Bosso, col supporto ritmico  presentissimo e fantasioso – gli accordi introduttivi dal sapore lounge,  un breve ma riuscitissimo cambio di tempo nel bridge,  – di Andrea Sammartino  al  pianoforte, Giuseppe Bassi al  contrabbasso e Armando Sciommeri alla batteria, assolutamente decisivi nella  riuscita di tutto il disco.

Così, la canzone originale prende le sembianze di un irresistibile tema bop, eseguito il quale i due solisti si lanciano in  assoli magnifici: uno slalom  a rotta di collo quello di Bosso, un rito propiziatorio per resuscitare lo spirito di Santa Ella Fitzgerald, quello della Panettieri. Tra i due, uno efficacissimo di batteria.

Poi, la ripresa del tema.  Nel rieseguirlo integralmente, e nel rinunciare con asciutto senso jazzistico all’acuto finale della versione originale  il cerchio si chiude: il bianco e nero di ‘Studio Uno’, il sorriso e la gestualità e naturalmente lo stile vocale di Mina negli anni Sessanta del secolo scorso spargono la loro polverina magica in questa riproposta di Greta Panettieri  (e del  gruppo che la accompagna: Bosso è ospite qui; in altri  brani, ai sassofoni,  Alfonso Deidda e Gaetano Partipilo in interventi solistici di altrettanta intensità). E’ solo stile retro’, effetto nostalgia, gusto vintage?

Lo sarebbe senza l’assoluta felicità delle idee musicali che la sostanziano.

E che fanno di questa cover, in definitiva, un autentico  gioiellino. Incastonato fra altre piccole gemme che, in modo più specifico di quanto non reciti il sottotitolo  dell’album – ‘Italian 60’s in jazz’ – sono tutte tratte dal repertorio della’ tigre di Cremona’.

Parole parole, che ha fatto da singolo apripista;  la stessa title-track; un’incantata E se domani per voce e pianoforte;  la suprema Se telefonando,  forse non del tutto risolta sul piano dell’arrangiamento ma che pure si ascolta e si riascolta.  E ancora titoli che da soli rievocano un’epoca: Sono qui per te, Soli, Conversazione. Eccola la raffinata  track-list  dell’album. Che si completa con Un anno d’amore, forse l’altro vertice dell’album: la voce della leader si accartoccia su se stessa, poi si libra nell’aria, si allunga, scompare, ritorna, malinconica ed evocativa, in una torch song struggente pronta a ferire il cuore dell’ascoltatore proprio come accadde con la versione originale di esattamente cinquant’anni fa    (non ho controllato su internet, dico bene?).

 

 

 

Musicisti:

Greta Panettieri, Voce

Andrea Sammartino – piano, organ, synth

Giuseppe Bassi – double bass

Armando Sciommeri – drums

 special guest

Fabrizio Bosso – trumpet

Alfonso Deidda – alto, baritone sax, flute

Gaetano Partipilo, Sassofono alto

 

Brani:

 

Links:

Greta Panettieri