Vinilici – Perché il vinile ama la musica

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Il disco. Prima di esso la musica era essenzialmente “live”. Il disco è stato il primo sistema di riproduzione di massa. Si poteva riprodurre in innumerevoli esemplari, tutti uguali, e trasportare da un luogo all’altro; ciascuno poteva possedere una esecuzione musicale ed ascoltarla quando voleva. Inizialmente di gommalacca, spesso un’anima di cartone rivestita, rigido e, per questo, delicato e fragile. Inizialmente a 78 giri – solo successivamente a 45 e 33 giri – rappresentava la fotografia di un’esecuzione musicale ripresa in diretta e senza alcun intervento di edizione, ma ben presto assoggettato a tecnologie e processi sempre più sofisticati.

Subito dopo la radio, il disco è stato lo strumento più potente che ha permesso alla musica di uscire  dalla sua dimensione elitaria e di diffondersi in tutti gli strati della popolazione; con esso a iniziato ad affermarsi il concetto di possesso della musica.

Durante la II Guerra Mondiale l’esercito americano, per sollevare il morale dei propri militari, inviava dischi e fonografi sui vari fronti di guerra in cui era impegnato. Ma la fragilità e la delicatezza della gommalacca, di cui i dischi erano fatti, li rendeva inadatti per la rozzezza degli ambienti a cui erano destinati. Per questo l’esercito statunitense ricercò una soluzione più pratica ed efficace e la trovò nella resina vinilica, che si prestava alla produzione di dischi più robusti, elastici e flessibili. Nasceva il V-Disc, disco della vittoria, in vinile. Per la numerosità e la varietà dei fronti in cui i militari americani erano impegnati, e per la numerosità e la varietà degli artisti e dei generi musicali che parteciparono al progetto, fu un grandissimo contributo alla diffusione della musica d’oltreoceano in tutt’Europa e addirittura in tutto il mondo. Dopo la guerra, infatti, i V-Disc avrebbero dovuto essere distrutti ma, naturalmente, erano stati dispersi e dimenticati in mille luoghi, case private, locali, sale da ballo, e da questa grandissima e preziosissima ricchezza culturale presero spunto i giovani musicisti del primo dopoguerra. Da questi primi avvenimenti si avviò la vera diffusione di massa del consumo musicale, prima col 45 giri e poi col Long Playing a 33 giri e l’Extended Play.

Sembra banale raccontare questa storia nella nostra epoca, dove con un click sulla tastiera di un computer o di uno smartphone si può accedere in maniera diretta a migliaia di brani musicali, ma la ultime generazioni non immaginano neanche quanto fosse limitata la comunicazione musicale fino all’avvento degli strumenti informatici.

Un grandissimo contributo al racconto e alla memoria di questa storia, iniziata agli inizi del 1900, è rappresentato dal film-documentario Vinilici – Perché il vinile ama la musica, in cui si racconta come si è evoluto il disco di vinile dalla sua nascita fino al momento del suo maggiore successo, che ha raggiunto l’apice negli anni ‘70. L’iniziativa nasce a Napoli da un’idea di Nicola Iuppariello, scritto dallo stesso Iuppariello e da Vincenzo Russo, e realizzato con la regia di Fulvio Iannucci, condito da un ingrediente fondamentale: la passione. Passione per la musica e per le qualità dello “strumento” vinile. Passione che traspare sia nella cura delle riprese che scelta delle testimonianze e nella ricchezza di particolari nel racconto dei testimoni stessi. Passione necessaria, perché il vinile richiede passione, è un supporto scomodo, impegnativo, ingombrante, comunque abbastanza delicato e talvolta “rumoroso”. L’esatta antitesi del CD e ancor più della musica digitale, tanta e veloce, fredda, superficiale… Il disco richiede tempo e cure e, proprio per questo, è bello da toccare, da maneggiare, da scoprire, da ammirare, a cominciare dalle copertine, talora vere e proprie opere d’arte, spesso accompagnate da opuscoli, immagini, controcopertine, didascalie, testi delle canzoni… Ad esse contribuivano grandi artisti – uno su tutti Andy Warhol – grafici, fotografi e inventori. Erano veri e propri strumenti di comunicazione dell’intento artistico. A quell’epoca, molto spesso, i dischi si compravano anzitutto perché colpiti dalla copertina, poco o nulla ancora si sapeva della musica in essi contenuta e, spesso, si facevano sorprendenti scoperte.

Le nuove generazioni, ma anche chi ha vissuto in prima persona quell’epoca d’oro, (ri)troveranno nel film una serie di aneddoti, di storie e di curiosità, molte delle quali sconosciute ai più. Una delle prime case discografiche e delle prime presse per lo stampaggio dei dischi, ad esempio, erano nate a Napoli nel primissimo ’900 ad opera del Cavaliere Raffaele Esposito, commerciante di Macchine Parlanti! Le testimonianze dirette sono portate dai protagonisti dell’epoca, persone talvolta mature, a volte sopraffatte dall’emozione e dalla commozione nel corso del racconto orgoglioso della storia del ruolo proprio e dei propri avi, nonni e padri, nell’epopea del disco. Farò certamente torto a moltissimi degli ospiti del film, ma non posso citarli tutti e mi limiterò  almeno ai più noti: Renzo Arbore, Elio e Le Storie Tese, Mogol, Red Ronnie, Lino Vairetti dei mitici Osanna, Bruno Venturini, Carlo Verdone, assieme a moltissimi altri. Si racconta del mercato dell’usato e dei collezionisti, dei maniaci dell’ascolto attraverso apparecchiature esoteriche inimmaginabili.

Condivido un ricordo, che particolarmente colpisce, del critico musicale Red Ronnie, ripreso poi da Faso delle Storie Tese e da diversi altri testimoni: quando eravamo giovani e acquistavamo un disco, “disco” nel suo insieme, copertina compresa, si trattava quasi sempre di un piccolo investimento e quindi ci riunivamo, perché un disco nuovo era una piccola festa da condividere con gli amici, lo aprivamo, ne sentivamo il profumo, paragonabile solo a quello di un libro nuovo, lo osservavamo con attenzione, prima la copertina in tutti i suoi particolari e dopo, solo dopo, lo ascoltavamo attentamente e interamente, dall’inizio alla fine, più e più volte, nell’ordine che aveva deciso l’artista per rispetto della sua scelta compositiva. Questo e molto altro significa essere “Vinilici”. Perché chi ama i “Vinilici” amano la musica.