Alla ricerca della forma perfetta

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“Tricare il tempo” in napoletano arcaico vuol dire “avere la calma per saper aspettare che le cose prendano la forma esatta”. E’ con questo approccio alla musica, quasi filosofico, che Stefano Costanzo dà vita al progetto Tricatiempo. Uno dei gruppi più innovativi della scena campana apre la seconda serata pomiglianese del Festival.

 

Quali sono le tue esperienze musicali e quando nascono i Tricatiempo?

Nel 2000. All’inizio era un duo di musica elettronica, insieme ad un amico architetto e musicista Davide Di Franco, con il quale abbiamo fatto un po’ di cose in casa, con dei programmi molto semplici. Sempre con lui, fino al 2007, ho collaborato a delle installazioni di video arte.
La formazione ha subito una serie di evoluzioni; prima in trio: batteria, basso e Marcello Giannini alla chitarra. Dal 2006 è subentrato Marco Pezzenati al vibrafono, che ho conosciuto in Conservatorio. In seguito è entrato a far parte del progetto anche Renato Grieco al basso.
Sono stato per circa 7 anni il batterista degli Slivovitz. Collaboro con diversi jazzisti come Andrea Rea, il musicista tunisino Marzouk.
Tutte le mie energie e le mie idee però sono riposte nel progetto Tricatiempo, che potrei definire quasi un collettivo.

Quali sono le difficoltà che avete incontrato nel proporre il disco (pubblicato per l’Auand Records)? E’ un repertorio abbastanza singolare, che difficilmente viene proposto all’interno della scena musicale attuale.

Sono pochissime le possibilità per proporre quello che facciamo, che poi non rappresenta nulla di particolarmente avanguardistico: in Europa ascoltare questo tipo di musica è frequente e normale. Qui, invece, questo tipo di repertorio è visto come qualcosa di provocatorio.
In realtà, il progetto si basa su un tipo di improvvisazione collettiva, e quindi non su di una improvvisazione solistica.
Quello che ci interessa di più è il suono, il timbro, piuttosto che uno stile ben preciso in cui essere inquadrati. Tutto questo tenendo ben presente e portando avanti una identità ben precisa che possa rappresentare la nostra musica e il nostro modo di suonare.

L’incastro tra la scrittura e la composizione come avviene? Il collettivo partecipa ai vari processi che poi scaturiscono nella composizione e nell’esecuzione dei brani?

Io in genere propongo delle idee molto fragili, minimali. Poi si lavora insieme, con tanto tanto lavoro di gruppo come si usava fare nelle band fino a qualche anno fa.
La composizione in realtà è un pretesto; ci facciamo molto influenzare dalle suggestioni. Per esempio il primo brano del nostro disco, che si intitola Timanfaya, è basato su un unico voicing sul quale poi ho costruito due temi sui cui dare sfogo alla nostra improvvisazione.

 

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STEFANO COSTANZO Tricatiempo
sabato 19 luglio 2014 ore 21
Parco delle Acque – Pomigliano d’Arco (NA)
Ingresso gratuito