RANDOM n. 2 – LA MUSICA SCELTA DAL PC

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Prendete tutta la musica che avete accumulato negli anni e che spesso non avete neanche ascoltato, travasatela in un hard disk, collegate quest’ultimo al vostro pc ed azionate un qualsivoglia media player selezionando la riproduzione casuale. Resterete positivamente sorpresi. O forse no… dipende da cosa ascoltate.


 
6 AUSTRALES: “Trapalanda” (da 6 Australes)
Riconosco i 6 Australes dal recente ripetuto ascolto di un bellissimo cd prodotto dalla tedesca Oriente Musik. Le sonorita’ sono ovviamente (visto il luogo di nascita di parte dei musici) quelle argentine con una marcata impronta di tango, con il bandoneon del tedesco (sic) Christian Gerber in prima fila e la voce di Sergio Gobi molto coinvolgente, qui come negli altri brani di un disco da consigliare assolutamente.


 




 


3-11 PORTER: Coffee Boredom and Cigarettes (da Nurse Me)
Devo cambiare qualcosa al settaggio della funzione random del Media Player, altrimenti questi me li ritrovero’ tra i piedi ad ogni escursione sonora. Visto che le regole le ho stabilite io, le cambio in corsa, e dico che un brano tratto da un cd che e’ già uscito in una precedente puntata della rubrica… lo si puo’ saltare.



 



CHET BAKER: “The Song Is You” (da Chet Baker with Fifty Italian Strings)
Strepitoso Chet. E questo brano era un suo cavallo di battaglia… lo cantava e suonava divinamente. Qui gli archi (italiani) e’ come se non ci fossero, tanto risultano determinanti i fiati di accompagnamento. La voce angelica di Chet in questa fase, poi… che bella che era. Ed il fraseggio cosi’ agile… tanto lontano dall’intimismo dell’ultimo periodo.
Disco assolutamente consigliabile, se non altro per il fatto che l’ascolto di ogni brano di Chet e’ un’esperienza da non perdere.


SUSANNA LINDEBORG’S MWENDO DAWA: “4 Views” (da A Taste Of Four Free Minds)
Bel personaggio la Lindeborg. Un pianismo, il suo, che rimanda a certe esperienze free degli anni settanta, ricordando a tratti il Paul Bley piu’ libero.
Le linee trasversali che disegna sono contrappuntate da un pregevolissimo lavoro eseguito dal batterista David Sundby, che successivamente intesse trame anche per il solismo del contrabbassista Jimmi R. Pedersen ed infine per il sax elettronico di Ove Johansson, che tante altre volte e’ stato partner importante per la Lindeborg.  .
La chiusura del brano con le quattro strade che si intrecciano e’ davvero degna di nota.


123 MIN: “Hey, Son” (da XL Live)
Questo disco l’ho scoperto tardi, qualche anno dopo che fu inviato alla redazione di altriSuoni e… ed e’ stata una piacevolissima sorpresa.
Chissa’ perche’ alle volte siamo influenzati dalla copertina di un disco nel pretendere di immaginare che musica vi sia stata impressa. Ed in questo XL Live del gruppo ungherese -123 Min., sei loghi che rappresentano altrettanti strumentisti come se si trattasse delle discipline sportive di un’Olimpiade, non scatenarono allora la mia curiosita’. Ed e’ stato proprio un ascolto random a tirar fuori dall’hard-disk questo vulcano di energia bluesy capitanato dal chitarrista e cantante Zdenek Bina che – canti in inglese o in magiaro – riesce ad esaltare gli entusiasmi del pubblico presente al concerto del 2004 qui immortalato.
Se divertente risulta il call and response di voce e chitarra in apertura di questo brano, trascinante risulta tutto il disco di un gruppo che segnaliamo come una realta’ da seguire.


CANNONBALL ADDERLEY: “Groovy Samba” (da Cannonball’s Bossa Nova)
Grande Cannonball. Voce di sax riconoscibilissima, un fraseggio inconfondibile anche se questo disco mi da’ delle conferme, negative, ma non su Cannonball… ci mancherebbe. Penso al connubio tra il jazz ed il Brasile e penso che mai un ibrido musicale sia riuscito così male. Viene a mancare lo swing, l’accompagnamento di batteria e’ il solito, sempre lo stesso, noiosissimo. Il jazz perde energia… il Brasile perde i suoi colori, originalissimi quando la musica e’ vera. Fortunatamente il brano dura poco, sicche’ posso tornare a pensare ad Adderley che suona jazz, quello vero, magari con Miles.


RITA MARCOTULLI: “Afromenia” (da Koine’)
Sono particolarmente legato a Rita Marcotulli. Ricordo le sue numerose performance con Maria Pia De Vito, il concerto – lunghissimo e di un’intensita’ incredibile – all’Istituto di Cultura Francese di Napoli del gruppo che registro’ Chanson con Rava-Galliano-Pietropaoli, il trio con Palle Danielsson e Peter Erskine all’Otto Jazz Club di Napoli (con Enzo Lucci – il compianto direttore artistico del club – a dir poco esaltato dalla strepitosa performance di Rita) nonche’ la sua spontaneita’ durante l’intervista che facemmo nel caldo settembre napoletano di qualche anno fa.
Rita e’ un’artista nel senso ampio del termine, non e’ solo una pianista. I suoi progetti sono sempre tali, non sono mai un mettere insieme i primi musicisti che capitano per le mani per suonare le prime cose che vengono in mente… il lavoro sulle musiche dei film di Truffaut vale per tutti a confermare questa sua caratteristica.
E poi… ha una tale capacita’ di trasformare il suo pianoforte in uno strumento altro, vista l’abilità che mostra nell’utilizzarlo anche come strumento percussivo, picchiando sul legno o sulle corde direttamente con le mani, magari dopo aver poggiato su di esse qualche sonaglio.
Infine, la sua vena compositiva. Penso ad “Autoritratto”, e mi commuovo ancora dopo quindici anni per la bellezza della linea melodica di quel brano.
Quanto a Koine’, non posso liquidarlo in poche righe… merita un approfondimento… e poi qui… che belle queste voci di stampo africano, le percussioni, i fiati…  Bello, davvero molto bello.


ALBERT AYLER: “Bells” (da Lòrrach, Paris 1966)
Azz’.
Non appare serio – lo so – scrivere azz’. Ma Albert Ayler… Queste sedute del 1966 ce lo mostrano nel meglio di una fase in cui l’aspetto spirituale era gia’ ampiamente esploso. Qui i temi da marcetta sono solo l’introduzione a canti di preghiera, ad urla di dolore e disperazione… sembra di essere immersi in una processione.
Decisiva qui anche la tromba di Don Ayler. E poi il sax di Albert che impazza, la batteria sullo sfondo che – seppur apparentemente chiassosa – risulta funzionalissima all’assolo, straziante, del leader. E i cambi di ritmo, così repentini… l’archetto sul contrabbasso che produce sovracuti distorti… e poi… la marcetta che riprende… Un pretesto straordinario, questo adottato da Ayler, che direi concettuale ed al contempo funzionale.


CAMEL: “Rhayader” (da A Live Record)
Sono passate soltanto tre settimane da quando ho rivisto Massimo dopo sei anni che per certi versi sono parsi secoli. È stata un’occasione preziosa per rivivere gli ultimi 40 anni: i giochi nel viale di casa, le scuole medie ed il liceo – stesso banco -, il primo anno di Universita’… e ancora le partite a pallone, le giornate trascorse con il resto del gruppo in quella Mostra d’Oltremare di Napoli nella quale lasciavamo ampio spazio alla nostra fantasia e dove stasera andro’ ad ascoltare il trio di Brad Mehldau. Per noi della “quinta E” questo disco dei Camel divenne presto (insieme al doppio live dei Led Zeppelin e ad altri) un must, con quelle sonorita’ che attingevano a certo jazz-rock dell’epoca. Questa “Rhayader”, poi, e’ in apertura un tuffo in sonorita’ medievali particolarmente in voga negli anni Settanta. Ovviamente, come per buona parte dei dischi che si ascoltavano allora, le nostre innocenti contraffazioni su musicassette avvenivano grazie ai vinili che Massimo ci prestava.


JOHN ABERCROMBIE: “John’s Waltz” (da November)
La chitarra di Abercrombie e’ straordinaria… la riconosci alle prime note. November e’ forse il lavoro che rappresenta meglio di altri (pur bellissimi) l’apice del trio con Marc Johnson e Peter Erskine, qui per l’occasione affiancati in alcuni brani da quello straordinario musicista che risponde al nome di John Surman. Penso che se non ci fosse stato quell’altro fenomeno di Pat Metheny a far breccia in un pubblico di massa, probabilmente John Abercrombie avrebbe avuto maggiore riscontro, anche se gli ascoltatori piu’ vicini al jazz piu’ autentico (me compreso), lo preferiscono di gran lunga.


LUCA FLORES: “Angela” (da Sounds and Shades of Sounds)
Ho da poco acquistato e divorato il libriccino di Walter Veltroni dedicato a Luca Flores, “Il disco del mondo” e mi sono commosso sia per la storia travagliata di questo bravissimo pianista, sia per il coinvolgimento emotivo che Veltroni mette nello scrivere di un amico mai conosciuto. Strano come la musica ci faccia sentire vicine delle persone che in realta’ non abbiamo mai incontrato (For Those I Never Knew, come il titolo dell’ultimo lavoro di Flores prima del suicidio). Un destino, quello di Flores, che lo accomuna all’autore di questa bellissima canzone in

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