Federico Squassabia ossia dell’improvvisazione involontaria

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SC: Il gruppo che hai creato si chiama Feet Of Mud ed e’ prodotto da “Improvvisatore Involontario” che si propone come etichetta musicale, ma soprattutto come collettivo che opera a diversi livelli. Ce ne parli?


FS: Improvvisatore Involontario e’ un’associazione fondata qualche anno fa dal batterista Francesco Cusa, dal chitarrista Paolo Sorge e dal polistrumentista e videoartista Carlo Natoli. Si tratta di un collettivo-etichetta che avvicina persone legate ad espressioni artistiche correlate con l’improvvisazione (musicisti, grafici, videoartisti, fotografi, performer, scrittori, principi del forum, hancorman, nani, ballerine,  ecc.). Un movimento in realta’, non solo un marchio discografico, che man mano si e’ modificato e ampliato arrivando ad avere ormai quasi 40 iscritti sparsi in Italia (Roma, Catania, Bologna, Venezia, Verona ecc.) e nel mondo (New York, Parigi). I lavori prodotti e le nostre attivita’ vengono completamente finanziate da uno speciale nostro “sostenitore”. E’ una persona che crede nel nostro progetto ciecamente, un mecenate della musica d’avanguardia. Vuole rimanere assolutamente anonimo. Di piu’ non posso dirti… Lui ci sostiene affinche’ il nostro simbolo, la nostra musica siano diffusi il piu’ possibile tramite giornali, radio, concerti, festival, e come noi e tanti altri e’ stanco di vedere le solite scelte sicure, i soliti noti. Basta con il cliche’ imperante del “jazz italiano”. La gente deve sapere che c’e’ dell’altro! In ogni caso la situazione sta cambiando. A Verona per esempio, con Feet of Mud abbiamo riempito il Teatro Camploy! È stato un successo di tutto Improvvisatore Involontario.


SC: Qual e’ l’operazione tecnica che compi sulla musica e quale il progetto legato ai Feet Of Mud?
FS: Io cerco di scrivere canzoni, cerco di lavorare su forme abbastanza semplici in modo che chi ascolta non debba avere un backround di conoscenze musicali amplissimo. L’idea principale e’ quella di semplificare. Mi rendo conto che molte volte e’ difficile, perche’ spesso tentare di semplificare un’idea da’ il risultato contrario. In genere parto da linee melodiche ridotte che poi vengono sviluppate. Il progetto e’ legato ad un certo tipo di sonorita’ anni ’70, vintage, con piano elettrico ed elettronica povera: ricerco sonorita’ scure, fangose appunto. Quanto al gruppo, e’ nato due anni fa. Io ho sempre avuto l’idea di creare un piano trio atipico, un qualcosa che si avvicinasse ad un trio rock piuttosto che un trio jazz. Quindi ho cercato persone che condividessero questo tipo di progetto: Francesco Cusa e Stefano Senni sono perfetti! Hanno capito che il progetto doveva nascere e svilupparsi, che aveva bisogno di crescere, che c’era il margine perche’ crescesse, ci hanno creduto ed hanno investito il loro tempo. Ora l’esigenza e’ quella di aprirsi ad “ospiti” che apportino nuovi elementi: Francesco Ronzon, ad esempio, che lavora molto con campioni ed effetti o il sassofonista Francesco Bearzatti (suoneremo a Roma l’11 giugno, Festival Jazzando), che di certo non ha bisogno di presentazioni.


SC: Come si inseriscono questi musicisti nel vostro contesto musicale? attraverso improvvisazioni, prove, spiegazioni?
FS: I miei pezzi sono tutti scritti, sono spartiti abbastanza decifrabili, ripeto non ho una scrittura complessa. Se si riesce a capire l’idea di fondo ci si puo’ inserire velocemente.


SC: Qual e’ il tuo percorso personale, cosa ti porta a scrivere o pensare musica cosi’ “mentale”?
FS: Fino a vent’anni ero orientato di piu’ alla scrittura, poi ho trovato piu’ affine a me stesso il comunicare attraverso la musica. Dai 21 anni in poi ho cominciato a studiare seriamente. Mi sono avvicinato alla famigerata musica d’avanguardia o di ricerca in quanto mi consentiva di esprimermi con originalita’ e mi dava spunti e stimoli. In quanto a musica mentale, cerco di comunicare, cerco di stimolare chi ascolta, di incuriosire. Attualmente il mondo musicale si e’ ormai assuefatto a proposte poco impegnative, a musiche di sottofondo, che “rilassano”. Il nuovo o il diverso viene relegato o eliminato. Tutto cio’ che si basa sulla curiosita’, sulla disponibilita’ ad ascoltare, a conoscere e’ confinato in un limbo difficilmente accessibile. La scuola poi non produce una vera educazione musicale in tal senso, per cui la musica che proponiamo risulta appannaggio solo di pochi visionari ricercatori e questo e’ sbagliato. La musica e’ comunicazione e necessita di un pubblico. Non scrivo musica per me stesso e spero che il mio bisogno di comunicare trovi soddisfazione.


SC: Come ti rapporti al jazz classico?
FS: Io ho studiato jazz e continuo a farlo. E’ un mondo complesso che ti aiuta a crescere musicalmente, ma soprattutto va definito l’aspetto principale di questa musica: la carica innovativa e la continua evoluzione. Non esiste il jazz classico fondamentalmente, esiste il jazz che suonavano negli anni ’50 ed all’epoca era una vera rivoluzione. Se vogliamo “fare jazz” oggi non possiamo riproporre cio’ che e’ gia’ stato 50 anni fa. Non funziona e immancabilmente puzza di cadavere.


SC: Cosa pensi di chi ce l’ha a morte con l’improvvisazione?
FS: Non hanno tutti i torti, nel senso che spesso un improvvisatore non si rende conto che non sta comunicando nulla, che si sta richiudendo in una musica fine a se stessa. Di contro pero’ c’e’ un discorso di difficolta’ mentale ad entrare nel mondo dell’improvvisazione, dovuta alla non abitudine agli ascolti in quella direzione. Si va ad erigere un muro che fondamentalmente non ha senso. Basterebbe un attimo di curiosita’ in piu’.


SC: Prima di concretizzare la tua idea per Feet of mud, che genere di collaborazioni hai avuto?
FS: Ho fatto vari esperimenti, ho sempre avuto dei gruppi in cui cercavo di inserire musica mia e che sono stati per me una palestra musicale. Diciamo che mi si sono anche chiarito le idee a livello compositivo ed esecutivo. Erano tentativi, alcuni dei quali si sono concretizzati in dischi. Quanto a collaborazioni con nomi famosi, mah.. onestamente quello che ho sempre cercato e’ di riuscire a suonare con musicisti curiosi e con voglia di confrontarsi. Se devo fare qualche nome partirei dai musicisti con cui collaboro stabilmente (Stefano Senni, Francesco Cusa, Max Sorrentini, Silvia Donati) a quelli con cui ho avuto la fortuna di suonare occasionalmente come Danilo Gallo, Francesco Bigoni, Zeno De Rossi, Enrico Terragnoli, Francesco Ronzon ecc. citarli tutti e’ impossibile.


SC: Anche gli altri componenti della band vantano collaborazioni importanti, trovi che anche loro sposino il tuo progetto come l’ambito piu’ congeniale al loro stile espressivo?
FS: Sicuramente si divertono! che poi sia la condizione ideale per la loro idea non saprei. Hanno situazioni diverse all’attivo, come leader e come componenti, nelle quali di sicuro si realizzano pienamente. Stefano suona in diversi gruppi all’interno del collettivo El Gallo Rojo ed ha un suo quartetto (Saul’s Bass), mentre Francesco ha il suo progetto principale (Skrunch, gruppo che ha gia’ registrato 2 dischi con  Improvvisatore Involontario) e poi il trio SWITTERS.


SC: Come risponde la scena del nord est al tuo progetto?
FS: A Verona c’e’ stata una risposta importante. C’e’ un lato della citta’ che ha un forte interesse per questo tipo di musica. Per esempio il centro sociale La Chimica che ovviamente e’ stato chiuso! aveva organizzato una rassegna di musica sperimentale alla quale ha risposto un pubblico di 200 persone a sera! Oppure il Circolo Malacarne, che ha improntato una rassegna basata proprio su musica di ricerca con contaminazioni artistiche di vario genere. Verona e’ poi la sede dei nostri amici dell’etichetta El Gallo Rojo. Insomma e’ una citta’ reattiva e fertile nei riguardi della musica non convenzionale nonostante a volte non vi siano giusti spazi, fisici e mediatici, per far circolare queste musiche.


SC: Hai affrontato la piazza estera? Ti sembra piu’ o meno recettiva dell’Italia?
FS: Stiamo guardando fuori dall’Italia ovviamente per far circolare la nostra musica e contiamo di avere risposte positive. In Italia siamo piuttosto tagliati fuori dal giro dei festival in genere, appannaggio di scelte apparentemente remunerative e di comodo. L’Italia e’ un paese per vecchi, si propone e si impone musica che non dia fastidio e a livello produttivo e di mercato, il disastro e’ davanti agli occhi di tutti: il jazz e’ diventato musica da villaggio vacanze, stereotipato e smelassato a dovere, la musica di Allevi  risuona nelle aule parlamentari spacciata per musica colta (per piacere!!!!!), in generale il plin plon mellifluo dilaga. Buonanotte Italia, il MusicalValium e’ servito!


SC: Hai altri progetti in cantiere?
FS: Si’. Uscira’ nel giro di un anno un altro disco con una cantante, Silvia Donati, e il batterista Massimiliano Sorrentini. È un lavoro basato essenzialmente sulla voce. Il gruppo si chiama Ja vigiu plama, (“io vedo una fiamma” in russo) ed e’ ispirato all’urlo di disperazione di una delle prime astronaute russe, che fu abbandonata nello spazio. Lavoriamo su materiale letterario e composizioni originali fino ad arrivare a standard riarrangiati. Entro quest’ anno registreremo il primo disco. Poi c’e’ il secondo disco dei Feet of Mud in cui ci saranno vari ospiti. Ma il progetto fondamentale, l’obbiettivo supremo resta uno solo: suonare con il collettivo di Improvvisatore Involontario, Naked Musician, a Buona Domenica o Domenica in!!

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