Auand Short Story

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Sono un vero e proprio fan dei cd della manina verde, cosicche’ finora non sono mancato a nessuno dei quindici appuntamenti in sette anni che l’etichetta di Bisceglie in provincia di Bari (ma quanto e’ viva la Puglia nel jazz!) ha proposto agli appassionati. Una serie sceltissima e defilata  eppure premiata sia dalla critica  che dal pubblico. Tanto che questi dischi,distribuiti da Jazzos.com su internet e da Egea nei negozi, tutti rigorosamente editi in versione digipack e tutti caratterizzati dalla costina meta’ verde e meta’ nera, da una foto di copertina sempre in bianco e nero e a tutto campo e da uno sticker per dire di titolo e artista, sembrano, e non solo in Italia, essere addirittura trendy. Niente di piu’ piacevole, ma anche di piu’ paradossale, data l’estetica, la politica e direi l’etica della filosofia Auand.
E se dell’estetica – in realta’ del design, firmato da Segni-Disegni – abbiamo detto (la appunto gia’ citata manina verde campeggia sul picture dei dischetti), la politica e’ quella di mischiare musicisti italiani e stranieri, e grandi protagonisti del jazz contemporaneo insieme a nuovi, stupefacenti talenti; di presentare agli ascoltatori album di studio meticolosamente prodotti ma anche session live, sia concertistiche che radiofoniche o comunque nastri registrati in proprio dai musicisti e inviati all’etichetta, e pubblicati dal suo ideatore e fondatore, Marco Valente, per innamoramento improvviso e irriflesso.

Perche’ il rischio, la scommessa, l’avventuroso azzardo, presiedono l’etica della label. Non e’ tanto una scelta di campo fra tradizione e innovazione, fra mainstream e ricerca, fra free-bop e free tout-court. Anche perche’ l’aspetto per cosi’ dire visionario delle proposte Auand piu’ che andare nella direzione dell’avanguardia e della sperimentazione va in quello del rock, inteso come cultura ma anche come retaggio esistenziale, e nel suo senso piu’ rumoristico e oltraggioso, quasi punk.

Penso, in primo luogo, all’incredibile Stolen Days, accreditato ai Sax Pistols di Francesco Bearzatti (AU9011, 2006), con Stomu Takeishi al basso elettrico e Dan Weiss alla batteria; ma anche (sebbene qui agiscano anche tanta altre influenze) ai due titoli del Bizart Trio, di cui e’ ancora leader il quarantaduenne sassofonista e clarinettista friulano, il piu’ rappresentato in assoluto su Auand: il premiatissimo Virus (AU9002, 2003) e Hope (AU9007, 2004), in cui, alla formazione completata da Emanuel Bex all’organo e all’elettronica e Aldo Romano alla batteria si aggiunge Enrico Rava, naturalmente alla tromba.
Cosi’ come ancora in questi paraggi  si aggirano poetiche come quelle del trentanovenne trombettista, naturalizzato newyorkese ma nato a Saigon, Cuong Vu. Nell’AU9010, It’s Mostly Residual (2006), album capolavoro, presenta sei lancinanti composizioni proprie in una formazione in trio completata ancora da Takeishi al basso elettrico e da Ted Poor alla batteria,che diventa pero’ un quartetto per la presenza di Bill Frisell, ospite alla chitarra. O come quella di Downtown (AU9013) del chitarrista Roberto Cecchetto, con Giovanni Maier al contrabbasso e Michele Rabbia alle percussioni e ai loops (2007), sebbene anche in questo caso ci siano poi rifrazioni di luce e sfumature diverse.

Ma non e’ tanto, si diceva, una questione di scelte di campo. E’ che la musica degli album Auand – in fondo non stiamo che chiarendo una questione etica – si caratterizza per la piu’ completa assenza di coloranti e conservanti. E’ musica naturale, magra, bioetica, poco spettacolare, non muscolare.
E neanche mai solare e rassicurante. Piuttosto invece lunare e assorta, intimamente inquieta, dai colori cangianti e indefinibili, dalle strutture fragili e sfuggenti, dagli umori corruscati e notturni, come in Beauty Is A Rare Thing e in Coherent Deformation, il sesto e il dodicesimo dei cd pubblicati da Auand (2004 e 2006), firmati dal quartetto Synapser di Giancarlo Tossani, un pianista che proprio grazie ad Auand si sta imponendo al pubblico, con Achille Succi al sax contralto e al clarinetto basso, Tito Mangialajo Rantzer al contrabbasso e Cristiano Calcagnile alla batteria.
Una musica allarmata, arrembante, agra, psichicamente insurrezionale, perfettamente ormolodica, se qualcuno ha mai capito cosa siano veramente le teorie colemaniane; e, a proposito del geniale sassofonista texano – e andando ad acciuffare un’altra delle grandi questioni attorno a cui ruota la faccenda Auand – una musica a bassissima influenza coltraniana e che segue invece i sentieri esoterici e impervi della poetica ornettiana, dunque poco tenoristica e invece guizzante e nasale come il suono del contralto. E che se tenoristica e’ lo e’ semmai in senso ayleriano: come ayleriano sceglie di essere Sean Bergin nel Domino Quartet completato da Gianluca Petrella al trombone, Antonio Borghini al contrabbasso e Hamid Drake alla batteria protagonista dello splendido Radio 3 Sessions edito nel 2005, ottava emissione dell’etichetta; mentre e’ anch’esso un perfetto esempio di quanto or ora argomentato il Live In Dublin, AU9009 2006 del trio ArguellesGuilfoyle – Black, sax tenore-contrabbasso-batteria, album radicale, mozzafiato, bellissimo.

E se ancora un pianoless lo ritroviamo nell’esordio dell’etichetta e insieme di Gianluca Petrella in veste di leader, quell’X-Ray (2002) che possiamo gia’ considerare un piccolo classico del jazz italiano di questo decennio, con Javier Girotto al sax baritono, Paul Rogers al contrabbasso a cinque corde e Francesco Sotgiu alla batteria, con A Small Sadness, il quarto album uscito per Auand nel 2003, siamo di fronte a un piano e insieme bassless: David Binney e Jeff Hirshfield, alto e batteria, danno vita a un set disadorno e spigoloso, agile e aereo, astratto eppure pregnante e ruvido, complesso ma anche raggiungibile e melodico.

E siamo gia’ al 2008, che ha portato due nuove produzioni Auand. La prima, Like Too Much, AU9014, co-produzione con il Locomotive Jazz Festival di Sogliano Cavour (LE), e’ un live che documenta l’incontro sul palco fra il sax di Gaetano Partipilo (ancora un contralto!), il chitarrista newyorkese Miles Okazaki e Dan Weiss. La formazione squilibrata, il suono pallido e scarno, strano, rinviano a un Auand ancora non menzionato, il Trinkle Trio di Paolo Sorge (AU9003), in cui chitarra ed elettronica del leader incontrano la tuba di Michel Godard e le percussioni di Francesco Cusa, per la destrutturazione di brani di Monk.

È infine Big Guns l’altra emissione del 2008, ed e’ anch’essa una co-produzione, stavolta con Verdearancio. Il dischetto vede protagonisti Gianluca Petrella al trombone, Bobby Previte alla batteria e Antonello Salis che spazia dal piano all’organo Hammond al Fender Rhodes. ‘Una session notturna – ci spiega Marco Valente presentando questo lavoro, quindicesimo suo personale pugno allo stomaco a certo perbenismo jazzistico – tra tre teste calde che non hanno bisogno di presentazioni’. Una musica dunque libera da schemi, inclassificabile e imprevedibile, che segue la scia di un altro Auand con la presenza di Antonello Salis, Ma.ri., AU9005 (2004), in duo con un altro incredibile musicista sardo, Paolo Angeli, che come Derek Bailey ha fatto della chitarra uno strumento originale, che e’ anche un pò un violoncello che e’ anche un pò un’arpa.

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