Roba da pazzi. Ve lo sareste mai immaginato l’Iguana cantare un pezzo di Duke Ellington? Accade in It Don’t Mean a Thing (If It Ain’t Got That Swing), titolo che chiude la scaletta di una serie di quindici “evergreen” ellingtoniani ripensati e riarrangiati da quel piccolo diavolo di Joe Jackson in quella che rischia d’essere, purtroppo, la sua Waterloo artistica. Gia’, perche’ se da un lato The Duke e’ un’occasione (abbondantemente) mancata, dall’altro dimostra che con certi maestri e giganti anche dei geniacci eccentrici come Jackson possono fallire, soprattutto quando (con una malcelata falsa modestia) si tirano per la coda composizioni splendidamente eterne e perfette alterandone grossolanamente i piu’ sofisticati meccanismi.
Ci avesse messo piu’ voce, pianoforte e individualismo forse i risultati sarebbero stati del tutto diversi e soddisfacenti. Invece il cantante e compositore inglese ha preferito nascondersi e fluttuare tra tastiere, archi e percussioni (eliminando del tutto fiati e ottoni), arruolando solisti e vocalist che pur dotati di riconosciute e specchiate credenziali escono un po’ opachi ed inefficaci nei ruoli e nei pezzi loro assegnati. Gia’, perche’ se The Duke doveva essere un colossal cinematografico e una produzione stellare per cast d’interpreti e costi impiegati alla fine cio’ che salta fuori e’ solo una scialba soap opera.
Il sentore di un possibile flop e fallimento lo si avverte gia’ da come Joe Jackson mette le mani avanti nelle sue spiegazioni e considerazioni che riempiono le liner notes dell’album, ma il guazzabuglio e la sensazione di forzature/scempiature stilistiche d’ogni tipo che si avvertono nei rifacimenti di Isfahan, Caravan, Rockin’ In Rhythm e in diversi medley (segnatamente I’m Beginning To See the Light / Take The ‘A’ Train/Cotton Tail, Perdido / Satin Doll e The Mooche / Black And Tan Fantasy) travalicano il senso del buon gusto e finanche i concetti di musica “mainstream” o “easy-listening”. Vuoi perche’ si cade nella piu’ insulsa electric fusion, nella piu’ banale world-latin-riddim music o nello swing jazz da piano bar, capita addirittura di pensare a versioni in formato audio MIDI dei famosi motivi strumentali inventati da Ellington, Strayhorn, Mercer e Tizol. Con il violino di Regina Carter, il basso di Christian McBride e la sei corde elettrica della coppia Steve Vai – Vinnie Zummo si poteva andare davvero lontano, ma evidentemente Jackson ha pensato di organizzare solo un’allegra uscita fuori porta. L’unica cosa che regge e funziona e’ I Ain’t Got Nothin’ But The Blues / Do Nothin’ ‘Til You Hear From Me ma il merito va esclusivamente alla splendida voce e interpretazione di Sharon Jones. Per il resto, un completo buco nell’acqua nonche’ il peggior tributo e dispetto che si potesse fare al Duca.
Voto: 5,5/10
Genere: Swing Jazz-Pop /Blues-World-Fusion
Musicisti:
Joe Jackson – vocals (3, 4, 7, 10), piano, keyboards, arrangements, production
Regina Carter – violin
Christian McBride – acoustic bass, guitar bass
Steve Vai – guitar
Vinnei Zummo – guitar, harmonica
Stefan Kruger – drums, percussion
Questlove – drums
Sue Hadjopoulos – bongos, congas
Sharon Jones – vocals (6)
Sussan Deyhim – vocals (2)
Iggy Pop – vocals (10)
Lilian Vieria – vocals (8)
Papa Jo Jones – drums, sampler
Dame Bryson – sousaphone
Tony Ayello – piccolo
Cornelius Dufallo – violin
Ralph Farris – viola
Dorothy Lawson – cello
Mary Rowell – violin
Brani:
01. Isfahan
02. Caravan
03. I’m Beginning To See The Light / Take The ‘A’ Train /Cotton Tail
04. Mood Indigo
05. Rockin’ In Rhythm
06. I Ain’t Got Nothin’ But The Blues / Do Nothin’ ‘Til You Hear From Me
07. I Got It Bad (And That Ain’t Good)
08. Perdido / Satin Doll
09. The Mooche / Black And Tan Fantasy
10. It Don’t Mean A Thing (If It Ain’t Got That Swing)
I’m Beginning To See The Light by Joe Jackson
Links:
Joe Jackson: www.joejackson.com