‘Round Midnight (A mezzanotte circa)

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Da tempo Bertrand Tavernier sognava di girare un film sul jazz. Grande appassionato della musica afro-americana, in particolare di be-bop, il cineasta francese desiderava rendere omaggio alla magia che si sprigiona all’atto della creazione musicale, al genio che si manifesta in quell’attimo sublime che e’ la “composizione istantanea”, vale a dire l’improvvisazione jazzistica, e soprattutto ai molti musicisti la cui grandezza li ha visti risplendere come fulgide stelle e spegnersi, chi rapidamente come una cometa fiammeggiante chi lentamente come una candela, vittime del loro ego, della loro fragilita’ e sensibilita’ oltre che di droga e alcool.


L’occasione giunge quando gli passano per le mani le carte di Francis Paudras, il grafico parigino che strinse amicizia con Bud Powell durante il suo soggiorno nella capitale francese. Il geniale pianista americano (dedicatario del film assieme a Lester Young) ispira, con la sua drammatica esistenza segnata da una grave malattia mentale aggravata dalla tossicodipendenza, la vicenda di Dale Turner (Dexter Gordon), anziano sassofonista di colore appena trasferitosi a Parigi da New York. E’ il 1959 e forse restare lontano dalla Grande Mela per un pò lo aiutera’ ad uscire dal tunnel della droga e dell’alcool e a ritrovare la creativita’ perduta. Ma neppure suonare divinamente tutte le sere al Blue Note, il celebre jazz-club parigino, allevia la sua sofferenza: di bar in bar, di bicchiere in bicchiere il suo declino, fisico e psicologico, sembra irreversibile. Solo la passione, la dedizione e l’affetto di Francis (Francois Cluze’t) – un disegnatore squattrinato innamorato del jazz a tal punto da sedere sul marciapiede fuori del locale per sentire la musica – lo salvano: Francis, che e’ separato dalla moglie e vive con la figlia Be’range’re, porta Dale a vivere in casa sua, si prende cura di lui, lo recupera nelle peggiori bettole, nei commissariati, negli ospedali dove puntualmente finisce il vecchio, lo aiuta a riconquistare dignita’ e fiducia in se stesso. Grazie a Francis la scintilla della creativita’ torna a brillare nuovamente e Dale torna a comporre e ad incidere dischi. Purtroppo il suo destino si compira’ di li’ a poco lontano da Parigi e dall’equilibrio appena ritrovato, in quella New York le cui radici non si possono cancellare.


C’e’ molto di Bud Powell in questo Dale Turner: dai vizi che minavano la sua salute ai continui problemi con la giustizia, ai periodici internamenti in ospedali psichiatrici; dalla compagna-manager-tutrice Buttercup (e’ il nome della seconda moglie di Powell) ad una figlia mai conosciuta ed incontrata troppo tardi a New York per arrivare all’apparizione, tra i musicisti del Blue Note, di Pierre Michelot, il contrabbassista che accompagnava tutti i grandi jazzisti americani che passavano per Parigi, Powell compreso. Ma questi non e’ l’unica fonte d’ispirazione di Tavernier: c’e’ Lester Young, il grande tenor-sassofonista che con il suo stile inconfondibile ha influenzato generazioni di musicisti, celebre per il suo cappello a tesa larga cosi’ come per il bizzarro appellativo lady, usato indifferentemente con le persone e con il suo strumento. E c’e’ Dexter Gordon, of course. Impossibile non rintracciare nel tormentato personaggio i riflessi autobiografici di un musicista straordinario con un passato da eroinomane, che ha sfiorato gli abissi della perdizione e ne e’ riemerso piu’ forte, laddove molti suoi compagni hanno fallito.


Dale Turner incarna perfettamente il ruolo del jazzista maudit che ha riempito le cronache e continua tuttora a popolare l’immaginario collettivo: un artista che doveva fare i conti con un sistema che discriminava i musicisti di colore o li spremeva fino all’ultima goccia (cammeo di Martin Scorsese nel ruolo del manager newyorchese cinico e profittatore), la cui unica via di fuga consisteva nella droga e nell’alcool. La loro insofferenza alle regole di quel sistema sfocio’ in quella rivoluzione epocale che fu il be-bop, fenomeno in larga parte incompreso a quei tempi, mal tollerato e, in alcuni casi, apertamente rifiutato. Cosi’ non era raro che a meta’ degli anni ’50 i jazzmen afro-americani se ne volassero in Europa: il Vecchio Continente mostrava di apprezzare molto di piu’ la novita’ portata dai boppers e capitava spesso che artisti come Kenny Clarke o Bud Powell si trasferissero per lunghi periodi a Parigi.


Ma non e’ tutto. Il regista francese ci restituisce il piu’ vivo ritratto di un uomo e del suo rapporto totalizzante con la musica: alla ricerca del Bello, dell’Assoluto attraverso l’improvvisazione, Turner ha dedicato tutta la vita, tutte le proprie energie, ha sacrificato gli affetti; per tornare a comporre e ritrovare quella purezza che lo legava alla musica egli affronta i propri demoni interiori e, seppure soltanto per poco, li sconfigge.


Dexter Gordon (premiato con un ‘Caesar’ e un ‘David’ e candidato all’Oscar) e’ semplicemente grandioso nell’infondere al suo personaggio tutta la disperazione, il senso d’abbandono e d’impotenza, quasi di rassegnazione di un artista sul viale del tramonto: non deve nemmeno recitare, gli basta essere se stesso. Il suo Dale non ha altri mezzi per parlare di se, del suo mondo, dei suoi sentimenti, dei suoi desideri e delle sue frustrazioni, delle gioie e della sofferenza se non il suo strumento, ed e’ condannato alla solitudine proprio da quella musica che per lui e’ esperienza unica e totalizzante. “Sono stanco di tutto, tranne che della musica” ripete a piu’ riprese: egli si accende, si sente vivo solo quando imbraccia il suo sassofono che diventa un prolungamento del suo corpo ma soprattutto un’estensione della sua anima. Gordon non ha bisogno di recitare: gli basta essere se stesso, per lui recitare e’ come improvvisare al sax, da buon jazzman.


Bertrand Tavernier sceglie accuratamente di raccontare il suo dramma interiore evitando uno stile documentaristico freddo e oggettivo ed assumendo invece il punto di vista molto cinematografico di Francis: egli non giudica, nonostante siano evidenti le debolezze di Dale, la sua corsa verso l’autodistruzione, l’incapacita’ di costruire un rapporto con una figlia che non ha quasi mai visto (un tema – quello del difficile rapporto padre-figlio – che compare come una costante del cinema di Tavernier e che viene declinato anche nel legame contraddittorio che unisce il pubblicitario alla figlia che non esita a lasciare sola a casa per andare a sentire il suo idolo) ma con affetto ed indulgenza si fa testimone della grandezza e miseria di un artista. “Questa e’ l’arte, prendere o lasciare”, sembra dire. Ogni primo piano indaga i sentimenti piu’ intimi e riposti dei protagonisti, ogni carrellata, ogni piano-sequenza apre squarci sulla realta’ dei musicisti. Francis (che e’ un pò l’alter-ego del regista) affida alla memoria della sua piccola cinepresa gli istanti felici delle esibizioni di Dale e le brevi pause di tranquillita’ vissute insieme: passato e presente si fondono mentre lui osserva con nostalgia assieme alla figlia gia’ grande i filmini girati in 8mm, quasi a voler fermare quegli attimi di una stagione irripetibile per la musica.


Tuttavia questo sincero atto d’amore e devozione non sarebbe potuto esistere senza l’apporto di quegli artisti che hanno accettato di suonare e recitare: sotto la direzione di Herbie Hancock artisti del calibro di Wayne Shorter, Tony Williams, Billy Higgins, Cedar Walton, Ron Carter, Bobby Hutcherson, John McLaughlin, Freddie Hubbard sprofondano lo spettatore nell’atmosfera piu’ autentica dei jazz-club (complici le scenografie accuratissime di Alexandre Trauner, che ha ricreato con perfetta verosimiglianza il Blue Note parigino, e la cura elevatissima del suono da parte di Michel Desrois e William Flageollet), lo irretiscono con la magia di una musica intensa ed emozionante. Sono loro i veri eroi discreti di un film che diventa corale laddove descrive la parabola di un tragico cavaliere solitario.


 


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Recensione della colonna sonora del film:
AA.VV.: ‘Round Midnight

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