Un bel salto di qualità accompagnato anche da diverse novità rende il secondo album dei poLO un mix intrigante di suoni e suggestioni che travalica con destrezza e disinvoltura il recinto dei generi. Innanzitutto c’è da registrare il passaggio di scuderia del progetto dalla Auand alla CAM Jazz, poi il giro di vite tra i ranghi del quartetto (il chitarrista e polistrumentista Valerio De Paola al posto del trombettista brasiliano Gileno Santana e l’ufficiale incorporazione, stavolta anche discografica, di Michele Salgarello nel ruolo che sul precedente “Pleasures” era stato ricoperto dal tedesco Jonas Burgwinkel), infine, cosa molto più rilevante, lo spessore compositivo ed espressivo del nuovo repertorio contenuto in “Back Home”, stavolta talmente efficace e personale da farmi accantonare alcune piccole perplessità generate dall’ascolto del disco precedente.
Incasellare “Back Home” in uno specifico genere o scena musicale è impresa ardua e un po’ complicata, il che, a mio avviso, dovrebbe già indurvi a supporre che qualcosa d’interessante e speciale queste tracce l’abbiano davvero e riescano anche bene a manifestarlo. Mi spiego, i nuovi poLO non suonano né post-jazz né post-rock, ma nemmeno calcano la mano su una precisa sintassi “progressive”, “jazz-rock”, “new wave” “avant folk”, “ambient” o “alternative pop”. Di volta in volta, brano dopo brano, sono diverse o tutte queste cose insieme, un ottovolante sonoro zeppo di rimandi e influssi sia radicati nel passato sia appartenenti all’immediato presente.
Ne scaturisce una visione estetica duttile e polivalente, che andrebbe bene a braccetto tanto con quella dei britannici Polar Bear e Get The Blessing quanto con quella degli americani Kneebody o di molte formazioni della nuova scena scandinava. Si deve poi riconoscere che in breve tempo Paolo Porta e Andrea Lombardini sono riusciti a trasformare la loro creatura in un’entità musicale salda e strutturata, una band vera e propria dove il timone e la rotta vengono lasciati con piena fiducia anche agli ultimi arrivati, specialmente a De Paola, il cui nome ricorre spesso tra i crediti compositivi dei dodici brani originali.
Tra essi è difficile trovarne uno meno che eccellente e prescindibile, anzi insieme caratterizzano una qualità che merita d’essere subito sottolineata: il suono, registrato e catturato in modo così perfetto da evidenziare le più sottili sfumature timbriche e armoniche d’ogni strumento ed effetto. Vale anche la pena di rimarcare come l’entrata in formazione di Valerio De Paola sia risultata particolarmente indovinata e strategica, avendo rivoluzionato in modo positivo l’approccio creativo del progetto e favorito la definitiva messa a punto di una formula strumentale ora più che mai brillantemente basata sulla forma-canzone. Pennellata da accordi di chitarra acustica e trascinata dal languido sax di Porta l’iniziale Eggplant muta lentamente la sua fisionomia da sospesa ipnosi a tenue inquietudine notturna di stampo metropolitano, lasciandosi trafiggere a metà corsa da granulose note di chitarra elettrica ed effetti elettronici. Più nervoso, insistente e viscerale il tema proposto invece da Tragicomedy, con basso e batteria che contrappuntano in modo denso e pneumatico le parti discorsive di sassofono e chitarra elettrica, quest’ultima calamita di ulteriori effetti digitali che amplificano lo stile e il gusto contemporanei del pezzo.
Successivamente giunge Owl, uno dei brani più sorprendenti e affascinanti del lotto, vuoi perché c’è di mezzo un banjo fantasmagorico e cantilenante vuoi perché l’atmosfera si carica di una maniacalità “hard boiled”, ritmicamente grave e cadenzata nonché acidamente deviata dalla tonalità timbrica della chitarra elettrica. Uno di quei pezzi che diresti figlio del Bill Frisell ispiratissimo di “Quartet” o Nashville”, nelle sua logica e struttura gemello del più arioso e altrettanto splendido Wally, dove echi di “americana” cinematica intersecano iridescenti arcobaleni sonori di stampo jazz-pop. Bella anche l’idea fusion-pop che gira intorno alla moderna viscosità “urban jazz” della title track mentre Mirror è una perlacea ballad canterburiana alla Robert Wyatt magistralmente cantata da De Paola, premessa alle articolazioni rock-progressive di Boris. Apparentemente effimera, la vena sperimentale del quartetto è invece ovunque tenace e presente, solo che gioca e lavora a favore della vis melodica, come d’altronde dimostrano Symbiosis, Jow, Sodermalm e la finale reprise strumentale di Mirror, composizioni tra loro climaticamente e stilisticamente differenti eppure portavoci di un ecclettismo ricercato, sempre attento a coinvolgere se non a sorprendere l’ascoltatore. Dunque perché esitare, mettetevi subito in casa “Back Home” e provate anche voi i PoLO, un quartetto con ottima musica intorno.
Voto: 8/10
Genere: Creative Music / Contemporary Jazz / Alternative Pop-Rock
Musicisti:
Paolo Porta – tenor sax, bass clarinet
Valerio De Paola – guitars, electronic, voice on # 5
Andrea Lombardini – bass
Michele Salgarello – drums
Brani:
01. Eggplant
02. Tragicomedy
03. Owl
04. Back Home
05. Mirror
06. Wally
07. Boris
08. Yellow Girl
09. Symbiosis
10. Jow
11. Sodermalm
12. Mirror (Reprise)
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