MAT

0
4

Un disco non bello, ma molto di più. Importante e ambizioso al punto da indurre i suoi artefici a intitolarlo con la stessa ragione sociale sotto cui agiscono. Di solito ciò accade quando un artista si riconosce e si rispecchia in ciò che ha saputo creare. Quando è soddisfatto dei significati e delle emozioni che insieme ad altri ha condiviso e desidera comunicare. Non per nulla la rivista specializzata Jazzit ha scelto di riproporlo (con veste grafica diversa), a distanza di pochi mesi dalla sua uscita ufficiale, come allegato del numero di febbraio. “MAT” sintetizza e restituisce in modo esemplare le influenze e i tanti interessi sia musicali che intellettuali che ispirano un giovane trio di sicuro grande avvenire.

 

Principalmente quelli su cui piace far leva al suo leader Marcello Allulli, sassofonista e compositore romano di nuova generazione, musicista preparato (si è diplomato al Berklee College Of Music), di forte personalità, naturalmente incline agli incontri avventurosi, aperto e curioso quel tanto che serve ad appropriarsi di radici folkloriche e suoni del passato o a cimentarsi con tendenze innovative figlie del presente.

 

A dimostrarlo c’è il suo percorso artistico, irregolare e mutevole, ma con una lucida logica di fondo che emerge sia dalle tante collaborazioni effettuate (tra cui quelle con Fabrizio Bosso, Israel Varela, Glauco Venier, Giovanni Falzone, Maria Pia De Vito, Ettore Fioravanti, Antonello Salis, Rita Marcotulli) sia dai tanti album e progetti finora realizzati. Tra questi ultimi val la pena di citare e ricordare il travolgente e aggressivo trio Nohaybanda (power jazz-core degno concorrente di quello brevettato dagli ZU, con Fabio Recchia ed Emanuele Tomasi) ma anche quello altrettanto sovversivo, sebbene più ricercato, del R.A.J., messo in piedi insieme a Michele Rabbia e Antonio Jasevoli.

 

Così come già accaduto nel precedente (e sorprendente) album di debutto “Hermanos” (Zone di Musica, 2011), questo nuovo lavoro ripropone la collaborazione con Glauco Venier (nella viscerale e poetica modernità di SRG) mentre sceglie come voce di raccordo principale quella di Antonello Salis, qui chiamato a svolgere in tre brani (uno dei quali a lui appositamente dedicato) quel ruolo di interlocutore privilegiato che nel precedente disco era stato invece affidato a Fabrizio Bosso. Citando di passaggio anche i cameo della brava Greta Panettieri e del trombettista David Boato, spendiamo adesso qualche parola in più per i protagonisti, ossia la musica e chi le da voce. Dicevamo in apertura di un disco assai bello, programmatico e sincretico, ma non per questo facilissimo. Difatti la sua bellezza e originalità (sia formale che espressiva) si rivelano a fuoco lento, ascolto dopo ascolto.

 

La penna sagace di Allulli (autore di sei brani brani originali e arrangiatore di altri due, Bachianas Brasileira N. 5 di Heitor Villa-Lobos e Volesse il cielo di Vinicius de Moraes, resa nota nel 1975 da una versione curata da Guido Bardotti per la magistrale voce di Mia Martini) si rivela efficace sia nell’architettura dell’insieme sia nella decorazione degli interni. La fusione e rielaborazione dei diversi linguaggi estetici (ciò che altri definirebbero con il termine “contaminazione”) avviene e procede senza strappi, usando particolare eleganza anche quando gli strumenti si contorcono e surriscaldano nei ritmi epilettici e nei toni dissonanti di Sergej / Goes To Holliwood e Bisness. Struggente in senso cinematico e incline a umori mediterranei è l’introduttiva Bof (in cui il tema melodico del tenore viene sfrangiato dai toni obliqui e metallici della sei corde di Francesco Diodati e dal variopinto contrappunto percussivo di Ermanno Baron) mentre Cesira è un allegro e ardito esperimento di post-bop e ragtime che viaggia spericolato sui tasti del piano suonato da Salis e sugli intrecci ipersincopati di chitarra elettrica, sax e batteria. Sensuali e nostalgici scenari sudamericani si aprono invece davanti agli occhi grazie al delicato lirismo di Ande e Bachianas Brasileira N. 5 laddove lo stesso pathos mette le ali all’immaginario marino di Manta e a quello più squisitamente tanguero di Canzone per Antonello, con un Salis che elargisce un bel saggio della propria arte strumentale sia con la fisarmonica diatonica che con la cordiera del piano.

 

Dal punto di vista interpretativo ed esecutivo restano da sottolineare le qualità differenti ma complementari dei tre musicisti. Se Allulli dimostra uno stile equilibrato e brillante, schivo ai gesti improvvisativi che non siano propriamente al servizio della musica, dal lato opposto Francesco Diodati imprime ovunque il marchio ruvido, estroverso ed eccitante della sua chitarra e dei suoi effetti a pedale genialmente interpolati. Un plauso a parte lo merita, infine, Ermanno Baron, eclettico suggeritore e vibrante cesellatore di accenti poliritmici che denotano sia il rigoroso bagaglio tecnico maturato nei contesti accademici sia il genio inventivo conseguito ed esercitato sul terrreno delle sonorità sperimentali e afroamericane.

 

 

Voto: 8/10

Genere: Contemporary / Creative Music / Avant Jazz

 

 

Musicisti:

Marcello Allulli – tenor sax

Francesco Diodati – guitar

Ermanno Baron – drums

Antonello Salis – piano, accordion on # 2, 3, 6

Glauco Venier – piano on # 10

David Boato – trumpet on # 2

Greta Panettieri – vocals on # 5

 

 

Brani:

01. Bof

02. Sergej / Goes To Hollywood

03. Cesira

04. Manta

05. Volesse il cielo

06. Canzone per Antonello

07. Ande

08. Bachianas Brasileira N. 5

09. Bisness

10. SRG

 

 

Links:

Marcello Allulli

Zone di Musica