E’ Jazz Show al Music Art di Napoli

0
3

“E’ vero, manco da Napoli da non so più quanto tempo”,  ha detto Lino Patruno con la sua voce pastosa, col  glorioso banjo a tracolla e la  cordialita’ ormai olimpica, assiso al centro del palco come un vero, inamovibile imperatore del jazz.

“Ma sapete perchè?” ha chiesto poi subito, concludendo sornione ma in realta’ con amarezza: “perche’ nessuno mi invita”.  E allora: “quelli del Music Art” – il patron Giuseppe Reale,  Giuseppe de Lollis e tutti gli altri – non potevano avere idea migliore per inaugurare la nuova stagione (che proseguira’ con un profilo sempre alto, a partire da sabato prossimo, che vedra’ infatti sul palco rinnovato di vico Santa Maria della Neve l’eccellente proposta del vocalist e pianista Larry Franco, c’e’ tutto su www.musicartnapoli.it).

Li ringraziamo, di tutto cuore, per la sensibilita’ culturale (e il colpo basso da autentici appassionati, s’intende)  che ha consentito, anche nel capoluogo partenopeo, di festeggiare gli ottant’anni di un maestro del jazz. Il pubblico del Music  Art  e dei cultori ha risposto alla grande,  decretando il trionfo dell’iniziativa. La citta’ – istituzioni,  musicisti, stampa, televisioni – molto molto meno, ma basta, guardiamo al positivo.

La Riverside Jazz Band fondata nel 1954 a soli vent’anni, i Gufi, gli innumerevoli programmi in Rai tra cui Portobello con Enzo Tortora, le colonne sonore in primis quella di “Bix” di Pupi Avati, i libri, i dischi e  le collaborazioni con leggende del jazz come Joe Venuti, Teddy Wilson, Bud Freeman, Albert Nicholas e tanti, tanti altri. Tutto questo e’ il volto noto, la figura popolare di Lino Patruno.

Ma anche proprio il suo Jazz Show, e cioe’ questa formazione, elastica, sempre uguale e sempre diversa, nella quale  sono passati e passano i migliori del jazz tradizionale in Italia, di impianto squisitamente cameristico anche quando a suonare sono in tanti! E con cui Patruno da non so piu’ quanti anni ha veramente ridisegnato il senso piu’ profondo del suonare jazz “classico”, reinventando un approccio “filologico” nel fraseggio, nel suono, nel gusto degli arrangiamenti, perfino nella riproposizione di strumenti d’epoca.

Reinventando:  quindi alla fine, altro che conservatorismo, sperimentando! E la cosa piu’ bella e’ che il risultato di tutto questo rigore artistico e’… il divertimento! Di chi suona e, anche e soprattutto, di chi partecipa dall’altro lato del palco.

E cosi’ e’ stato ieri sera, per tutti coloro che si sono procurati un posto al Music Art. Dinoccolato, polemico al punto giusto,  fra storie del passato e tanta voglia di suonare (si e’ scusato per un dolore al braccio che gli impediva di esprimersi al massimo: poteva evitarselo, visto che, generosissimo ed entusiasta come sempre, non se ne era accorto nessuno!), ha lasciato tutti a bocca aperta con un sound pieno e denso, eppure al tempo stesso limpido e cristallino, contando sul talento del chitarrista elettrico (si fa per dire: amplificazione ridotta al minimo, naturalmente niente effetti)  Vincenzo Barbato e dei suoi assoli  intransigentemente “twenties”; di Michael Supnick, autentico specialista di tromba e trombone in vintage style (ha definitivamente conquistato il pubblico cantando e interpretando con spasso “Just a gigolo”);  del grande Mauro Carpi, emulo del sound e del fraseggio di Joe Venuti proprio come il leader lo e’ di quello di Eddie Lang  e vera “scoperta”, tra tante altre e ormai gia’ tanto tempo fa, di Patruno;  e di Guido Giacomini al contrabbasso, il cui fondamentale ruolo di sostegno ritmico oltreche’ armonico in una formazione senza batteria e’ stato svolto in maniera sobria e sicura.

Ma non finisce qui. Perche’ dopo aver deliziato il pubblico per vario tempo con questa scacchiera musicale, sulle note di “Sweet Sue” e poi di una irresistibile versione di “Avalon” di Al Jolson, Patruno ha introdotto Clive Riche.

Portentosi assoli di fischio (ragion d’epoca!), gusto teatrale, comico e maliconico, abbigliamento come Sinatra vicino al lampione sulla copertina dell’lp ‘In the wee small hours’, il vocalist di Leeds imposta la voce in modo diverso da brano a brano, cosicche’ sembra di trascegliere da una variegata raccolta di vecchi 78 giri. In “Pennies from heaven” si e’ materializzata accanto a lui la bravissima Michela  Sabia, in un duetto romantico e riuscito.

Ultimo ospite, un pianista, ancora un  campione della ricerca delle sincopi originali del ragtime e degli altri stili originari della musica di New Orleans. Stiamo parlando di Alberico Di Meo, che in  un sipario solistico di pregio ha omaggiato prima Fats Waller poi Gershwin eseguendo nell’ordine “Ain’t mishbeavin” e “I got rhythm”.

Poi, tutti insieme per il gran finale, un’apoteosi ragionata con “When the saints go marchin in’ ”. E il bis? “China boy”, “dedicata a Bix”, annuncia Patruno.  E qui la battaglia per l’assolo piu’ bello e’ vinta, definitivamente.  Dal pubblico.

 

Lino Patruno Jazz  Show
Associazione Music Art
Napoli, sabato 8 ottobre 2016