È appena uscito l’ultimo disco di uno dei gruppi più interessanti ed innovativi del panorama musicale, probabilmente il trio che meglio indica la nuova strada che il Jazz potrà intraprendere.
E non è un caso che questa strada parte dall’Europa.
I Leucociti, globuli bianchi, sono una parte del sistema immunitario umano in grado di proteggere il corpo da agenti patogeni e infezioni.
Questi globuli devono continuamente rinnovarsi per svolgere al meglio la loro preziosa funzione.
La musica di questo fantastico trio non poteva avere titolo migliore anche se questo fosse stato il loro primo disco.
E sì perchè quando si affacciò alle grandi platee il Trio di Esbjòrn Svensson, gli e.s.t. per intenderci, era il 1999 (anche se il loro primo lavoro risale al 1993) ed il Jazz, come sempre ha fatto, cercava di affrontare l’ennesima evoluzione del suo linguaggio, ancora una volta dagli USA.
Prima con il grande movimento degli M-Base, collettivo che da metà degli anni ’80 ha portato avanti l’idea di una nuova musica fondata sulla multimedialità e sull’estemporaneità della performance con protagonisti come Steve Coleman, Cassandra Wilson, Greg Osby, Robin Eubanks tra gli altri.
Poi, nei primi anni ’90 si affacciarono i giovani leoni del new-hardbop, musicisti di talento come Roy Hargrove e Joshua Redman che avevano rinnovato la scena ma che, alla fine di quella decade, avevano diluito inevitabilmente la loro forza innovatrice.
Insomma, dalla madre patria del Jazz non scorreva più linfa vitale.
È in quel contesto che l’arrivo degli svedesi e.s.t. portò una ventata di aria buona nel jazz, e lo fece utilizzando una nuova sintassi che rigenerava ancora una volta il linguaggio originale di questa musica mai ferma, nella sua forma più classica, il piano trio.
“cosa può un piano trio essere oggi che non sia stato prima?” ebbe a dire Pat Metheny all’ascolto degli e.s.t.
Non è sufficiente pensare che questo sia dovuto esclusivamente alla nazionalità del trio, anche se bisogna riconoscere che l’Europa, dagli anni ’70 in poi, ha partecipato in modo fondamentale all’evoluzione della musica di origine afroamericana, perdendo quel principio di emulazione che l’aveva caratterizzata al principio.
E neanche l’utilizzo di strumenti “anomali”, dall’elettronica o il radio transistor fino alle modulazioni vocali, possono giustificare l’ascolto di una voce nuova e bella come questa.
Si, sono elementi rilevanti, ma non basta.
Il valore della musica del trio di Esbjòrn Svensson va ricercato nella bellissima cantabilità dei temi, nell’utilizzo di ritmiche fortemente coinvolgenti, come e più del rock e, su tutte queste qualità, nella vasta capacità d’invenzione solistica del leader e di capacità improvvisativa del trio.
Questo forse è il nuovo percorso che intraprenderà il Jazz e questo LEUCOCYTE lo rappresenta al meglio.
Il sound unico degli e.s.t., la complice interazione tra i musicisti, l’emergere di una sola sensibilità musicale, hanno dato vita a quello che è, secondo me, il progetto più interessante del panorama.
Si dice che questo fantastico interplay e questa inesauribile vena creativa fosse stimolata (oltre che dai tredici anni di vita del trio) da continui incontri totalmente liberi e senza finalità produttive dei componenti che, durante le pause dei loro tour, si riunivano in studio a suonare in piena spontaneità, senza utilizzo di arrangiamenti o di parti scritte, solamente lasciando “respirare” loro musica.
Anche molte composizioni che trovano posto nei lavori del passato, sembra che si siano sviluppate e, definitivamente fissate su disco, grazie proprio a questo atteggiamento genuino e caratterizzante nei confronti della loro creatività e splendida composizione.
LEUCOCYTE è la registrazione di due giornate di jam session del trio presso il “301 Studios” di Sydney, Australia.
Ascoltate la lirica introduzione al disco in “Decade”, lasciatevi pulsare dentro il basso di “Earth” o la poesia del pianoforte in “Contorted” e tutta la poderosa ritmica di “Premonition” vi risuonerà nell’anima.
Godetevi il pianismo ricco di echi jarrettiani e l’ironia del suo mugugno in “Jazz” e lasciate andare il lettore avanti, a volume alto, nel futuro di questa musica fino alla suite di “Leucocyte”, divisa in quattro movimenti tra cui “Ad Mortem”, nel quale trova posto un’unica cellula naturale del pianoforte che si sviluppa come un mantra in altre sonorità, stritolate e rese echi siderali dall’elettronica, fino all’ultimo brano, “Ad Infinitum”, che afferma una consapevolezza e lascia una speranza già nel titolo.
La pubblicazione del disco, purtroppo, è successiva alla morte del pianista e leader Esbjòrn Svensson, ma questo non deve essere interpretato come un testamento o come un omaggio alla scomparsa.
La musica qui racchiusa, è un battesimo, è l’ennesima prova che il Jazz è vivo, sempre nuovo e vegeto, se creato con gli strumenti della vera Arte che, come dicevo all’inizio, difendono il Jazz da morte certa.
Musicisti:
Esbjòrn Svensson, grand piano, electronics, transistor radio
Dan Berglund, double bass, electronics
Magnus