Le metamorfosi di Tony

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E allora? Che state combinando? Se avete iniziato a leggere per poter ridere, avete sbagliato palazzo, perche’ questa non e’ una storia comica. Questo e’ un autentico dramma … ‘na tragedia.


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C’era una volta …
Ebbene si, questa non e’ una storia come “Pierino e il lupo” di Prokofiev! È una fiaba in qualche modo musicale, ma e’ in realta’ una storia come tante altre, come troppe.


Dunque, c’era una volta un ragazzo di buona famiglia, educato come tanti e mosso da una grande passione per la musica: si chiamava Tony. Era figlio di immigranti figli di emigranti: i suoi genitori erano americani, anzi, se proprio vogliamo essere precisi, extra-comunitari. Studiava il sassofono dall’eta’ di dieci anni e ne aveva poco meno di quindici quando, durante una delle sue prime uscite con gli amici, ando’ in una birreria dove si suonava una musica per lui ancora sconosciuta, il jazz. Tra un panino con l’hamburger ed un boccale di birra, il nostro amico rimase folgorato da un musicista che suonava il sax tenore a velocita’ supersonica: si trattava del famosissimo Johnny “Six” Sax che eseguiva “Countdown”, una composizione di John Coltrane, colui che era inconsapevolmente diventato un caposcuola per il suo strumento.
Tony quella sera torno’ a casa estasiato da tanta perizia tecnica e per tutta la notte non pote’ fare a meno di pensare al suo idolo, a colui che avrebbe voluto essere e che invece non era. Si disse: “Devo imparare anch’io a suonare il sax a quella velocita’, cosi’ diventero’ anch’io bravo, ricco e famoso come quello li’. Ma la prima cosa che devo fare e’ conoscere quel musicista, carpirne tutti i segreti, scoprire cosa mangia, cosa beve, se si droga, che strumento usa, come porta i capelli, con quale piede scende dal letto, che magliette indossa, di che colore sono le sue mutande, se le porta …”
[La clonazione era gia’ iniziata molto prima che nascesse la pecora Dolly, la buonanima.]


Negli anni che seguirono, Tony compro’ tutti i dischi di Johnny “Six” Sax, trascorrendo molte ore al giorno a suonare ripetendone gli assolo, esercitandosi come mai aveva immaginato dovesse fare: imparo’ a memoria le sue frasi su “Giant Steps”, “My Favourite Things”, “Naima”, “Cousin Mary”.


Era ossessionato dall’idea di dover diventare come il suo idolo al punto che un giorno decise di rapirlo e di tenerlo rinchiuso nella propria casa, e cosi’ lo aggredi’ all’uscita di un jazz club addormentandolo con il cloroformio. [Aveva imparato questa tecnica dalla sua assidua lettura dei fumetti di Diabolik].
Dopo due giorni di intontimento Johnny “Six” Sax finalmente si sveglio’, vedendo il suo rapitore alzare con aria minacciosa un sax tenore al punto che sembrava volerglielo scagliare in faccia. Ed invece si vide porgere un bicchier d’acqua, un caffe’, uno spartito, ed il sax che in quel momento riconobbe come il suo.


– “Ehi, ma tu chi sei? Dove mi hai portato? E poi, lo sai che sto morendo di fame?”


– “Chi sono? Io sono Tony, colui che prendera’ il tuo posto nel cuore della gente. Io diventero’ piu’ bravo e famoso di te. Ma poi, perche’ mi chiedi da mangiare? Io ti ho sempre visto con un sax tra le labbra, ti ho sempre ascoltato suonare un sacco di note. Mica possiamo permetterci il lusso di mangiare, noi artisti. Noi dobbiamo soltanto suonare, suonare, suonare, piu’ velocemente possibile. Il cibo lasciamolo alle persone normali”.


Fu cosi’ che Tony imbraccio’ il sax per suonare un paio di scale a 220 di metronomo.
Johnny rimase a dir poco meravigliato da quanto stesse accadendo, ma decise di accettare la sfida. Esegui’ le stesse scale ad una velocita’ tale che il metronomo non riusciva a stargli dietro.


– “Oh, cazzo!” – esclamo’ Tony – “Ma come ha fatto?”.


Si avvicino’ per complimentarsi e stringergli la mano, e fu allora che si accorse del motivo per cui Johnny era soprannominato “Six”.
Aveva … sei dita per mano.


Johnny “Six” Sax fu rilasciato senza il pagamento di un riscatto e si mostro’ particolarmente comprensivo: non sporse denuncia. Ma quella non fu la fine di un dramma, bensi’ l’inizio. E gia’, perche’ da quel momento il nostro amico Tony decise di sottoporsi ad intervento chirurgico per farsi … impiantare un dito supplementare per mano. D’altronde, cosa c’era di strano? Ci aveva provato anche Schumann ad escogitare un sistema per ampliare l’articolazione delle sue dita, ma senza successo, visto che stronco’ sul nascere la propria carriera di pianista.
E cosi’, dopo mesi di attesa e dopo essere andato in malora per il pagamento dell’intervento in una lussuosa clinica svizzera, Tony torno’ in Italia, pronto a trascorrere sei mesi di riabilitazione prima di riprendere gli esercizi sullo strumento e ritrovare cosi’ una nuova tecnica.


Ma lui la musica ce l’aveva nel sangue, per cui dopo soli due anni dall’intervento, divenne il pistolero piu’ veloce del West … ehm, il sassofonista piu’ veloce d’Italia. Fu cosi’ che arrivo’ a riempire, sempre, tutti i locali in cui andava a suonare, con migliaia di ammiratrici che si strappavano i capelli ad ogni suo assolo.


– “Cari fratello, ecco a voi un crante musichiero, un vero artisto, che noi ci ha dato quello che noi ci abbiamo veramente arrecreato … Popolo di Palomonte, Contursi Termi ed affettivamento di Oliveti Cetro, siamo veramente fiere di avere qui tra noi il grande Tonyyyyyyyyyyy”.
– “Tony! Tony! Tony! Tony! Tony! Tony! Tony! Tony!”.


Riusciva ad andare ad una velocita’ tale che le note si accavallavano, sempre di piu’, fino a diventare un unico suono difficilmente percepibile dall’orecchio umano. Aveva superato, in velocita’, persino il suo mito, la sua fonte di ispirazione, quel Johnny “Six” Sax che da quel momento inizio’ a cambiare il suo stile, ritirandosi momentaneamente dalle scene.
[Si e’ poi saputo che dal sax tenore passo’ al soprano, che riprese a studiare fino a comprendere la grande importanza delle pause, dei silenzi, del suono dello strumento, al punto da essere spesso visto mentre andava a trovare Sonny Rollins sul ponte di Williamsburg, a New York City].


Per Tony i soldi iniziarono ad arrivare, la fama fu presto raggiunta, la felicita’ pure. Almeno cosi’ sembrava.
Di li’ a poco inizio’ infatti per il nostro eroe un altro piccolo dramma. Gli capito’ di ascoltare un disco del sassofonista ‘Rahsaan’ Roland Kirk e di vederlo imboccare tre strumenti contemporaneamente, il sax tenore, lo stritch ed il manzello. Fu allora che decise di imparare a suonare in quel modo, ma si rese conto che la sua bocca era troppo piccola per tre sassofoni. E cosi’ … intraprese il suo secondo viaggio in Svizzera dal suo chirurgo di fiducia per farsi … allargare la cavita’ orale, e magari farsi fare anche qualche otturazione. [L’eta’ avanzava (era sotto i 40 anni) e con lei la carie].


– “Dotto’, io sto male! Sto male! Devo riuscire ad imboccare tre sassofoni per volta … e, visto che vi trovate, perche’ non mi aggiungete un testicolo? Sapete, le mie prestazioni con le donne sono in calo.”


Dopo il duplice intervento, bocca e palle, ci furono per Tony altri sei mesi di riabilitazione durante i quali si nutri’ con omogeneizzati e flebo. Dopo due anni, pero’, ritorno’ ad essere il piu’ veloce del West, questa volta con tre sax contemporaneamente.


Durante la pausa di una sua esibizione al “Tonyland”, un club chiamato cosi’ in suo onore esattamente come accadde a Charlie Parker con il “Birdland”, qualcuno gli fece notare che era si’ veloce, ma che aveva dodici dita e … non era cieco come Rahsaan. Ed allora cosa combina il nostro eroe? Ritorna in Svizzera per farsi tagliare le due dita precedentemente impiantate e per … farsi cavare gli occhi.


– “Dotto’, io sto male! Sto male! I miei risultati non sono omologabili, perche’ ho due dita in piu’ e poi ci vedo. Vuje capite? Je ce vego!!!”


– “E vire ‘e nun ce rompere cchiu’ o pasticciotto. Je nun c’ ‘a faccio cchiu’ cu’ chisto. Ma chesta e’ ‘na clinica, mica e’ n’officina!”


– “Dotto’, avite ragione! Ma io sto male! Sto male! Anzi, visto ca ve truvate, pecche’ chella palla ca m’avite miso ll’ata vota nun m’ ‘a levate? Sapite pecche’? E’ scommoda! Nun me riesco cchiu’ a mettere ‘e mutande. E poi … beh … non so se posso dirvelo … ma … sapite comm’e’ … io ce l’ho troppo lungo, sproporzionato, mi arriva alle ginocchia … nunn’e’ ca m’ ‘o putite accurcia’ ‘nu poco?”.


– Ma je me sò scucciato. Ma che facimme? Mettimmo, levammo, mettimmo, levammo …


L’intervento ebbe luogo a Casablanca, e quando si arrivo’ ad accorciargli il pene per l’eccessiva lunghezza, un infermiere gay ebbe a dire:
– “Ma nunn’ e’ ca se putessero allunga’ ‘nu poco ‘e cosce? Accussi’ ‘e mantenimme ‘o stesso ‘e proporzioni …”.


Dopo l’ennesimo intervento, Tony riusci’ di nuovo a ritornare ai livelli di un tempo, perche’ lui la musica ce l’aveva nel sangue … non era mica un Pinco Pallino qualsiasi. Aveva studiato con il Maestro Antonio Scannagatti e si era perfezionato sui dischi di Johnny “Six” Sax. Era un grande, lui. E poi fu molto felice di vedere i suoi risultati finalmente riconosciuti dal C.I.O., il Comitato Olimpico Internazionale. Il suo record di 12.547 note in un solo minuto fu omologato come la migliore prestazione di sempre al sax tenore.


Fu invitato dall’esimio Maestro Tiburzi per suonare come solista ad un concerto in onore di Gioachino Rossini. Lui era Tony, uno che poteva cimentarsi in qualsiasi repertorio, mica era un Pinco Pallino qualsiasi.
Era una calda serata di agosto, e Tony si trovo’ sul palco di fronte ad un’orchestra di 20 elementi. Gli sembrava di rivivere le mitiche sessions della fine degli anni ’50 di Miles Davis e Gil Evans. Il Maestro Tiburzi era solito ritirarsi nella sua casa di campagna nei pressi di Caianello per elaborare i suoi arrangiamenti, e per quell’occasione tiro’ fuori delle partiture particolarmente articolate.
Il concerto inizio’ con l’Ouverture de “La gazza ladra”, ma dopo le prime battute accadde una cosa incredibile, al punto che tutti, dal direttore ai musicisti fino al pubblico, restarono inorriditi per una valanga di note che imperverso’ nella calda notte.
L’orchestra era perfetta, ma Tony accavallo’ le note al punto da sortire l’effetto di un torrente in piena, di un’autentica calamita’ naturale.
Quando Tiburzi si trovo’ costretto ad interrompere l’esecuzione guardando in malomodo il nostro eroe, questi rispose che stava semplicemente suonando quello che leggeva su uno speciale ‘spartito braille’, e cosi’ il maestro gli rimprovero’ di non essere in grado di distinguere le note vere da quelle … depositate da mosche cavalline.
Tony si lavo’ le mani e fuggi’ via inorridito, cadendo in un lungo periodo di profonda depressione.


Fu allora che decise di andare a fare il muratore, seguendo l’esempio del ‘Colossus’ Sonny Rollins che pare si impegno’ come scaricatore di porto durante il suo ritiro. Ed anche qui riusci’ a battere un po’ di primati: 100 kg. di malta di cemento impastati a mano in due minuti e quarantasette secondi; dieci metri quadrati di tramezzi in laterizio eretti in quattro minuti e ventisette secondi, intonaco compreso; 275 punti luce installati in una sola giornata, insieme ad un bidet, un lavandino, ‘nu scaldabagno e ‘nu cesso.
Cio’ che lo colpi’ di quel mondo fu l’impossibilita’ di comunicare con i suoi colleghi che, non solo non amavano il jazz, ma avevano anche serie difficolta’ con la lingua italiana.
Fu infatti letteralmente bombardato dal capomastro che non esitava ad impartirgli continuamente una serie di comandi:
“Tony, vai a sturare la colonna frecale”.
“Tony, chiudi la chiave terrestre”.
“Tony, aiutami a fare questo preventino”.
“Tony, non hai ancora portato il certificato medico. Vatti a fare l’attogramma. Non l’atto grande … l’attogramma, quell’esame per controllare il cuore”.
“Tony, vai a fare le copie della perimetria”.
“Tony, controlla il capitolare”.
“Tony, fai passare un pò d’aria, apri gli obli’ … si, gli obli’ … Ma come? Non capisci? … Quei tre obli’ … un oblo’, due obli’, tre obli'”.
“Tony, domani vieni ad aprire il cantiere a quelli dell’aria condizionale”.
“Tony, non dimenticare di accendere l’autoclan”.
“Tony, devi ancora mettere la topolatura nel corridone”.
“Tony, devi attintare tutta la casa, dalla ‘A’ alla ‘Zero'”.
“Tony, il cornicione fallo tutto, ma fermati nella spigula”.
Fu allora che Tony non riusci’ piu’ a contenersi, ed esplose dicendo:
– “‘A spigula? E si, e magari ‘nce metto pure ‘na sogliola ‘e marmulo!!! Ma c’avimmo fatto, ‘o mercato d’ ‘o pesce?”.


Per questa risposta fu licenziato e ritorno’ a vivere in una depressione tale da fargli meditare il suicidio.


Dopo un anno e mezzo fu pero’ ancora l’ascolto di un disco a fornirgli la giusta carica e ad infilargli l’ennesimo tarlo nella testa. Era uno ambizioso lui, e non poteva pensare che nella prima meta’ del Novecento, in Europa, era stato attivo un chitarrista tzigano di nome Django Reinhardt. Tony aveva imparato a memoria una composizione di John Lewis che portava il suo nome, “Django” appunto, ma non immaginava fosse dedicata ad un musicista che suonava la chitarra … senza utilizzare il mignolo e l’anulare della mano sinistra. E come la suonava, quella chitarra!!!
Poiche’ al sax aveva dimostrato di essere piu’ grande di tutti, persino piu’ grande dell’immenso Johnny “Six” Sax, Tony comprese che era giunto il momento di cambiare e di passare alla chitarra, uno strumento sul quale avrebbe potuto portare il linguaggio di derivazione coltraniana che aveva sviluppato, fino alle estreme conseguenze, al sax tenore.
Studio’ per cinque anni al cospetto del mestro Eugenio Trombetta, figlio dell’onorevole Cosimo, perfezionandosi con i chitarristi di jazz piu’ attivi sulla scena, da John Abercrombie a Jim Hall, da Joe Diorio a Pat Metheny, facendo con i dischi di Wes Montgomery quanto aveva fatto al sax tenore con i dischi di John Coltrane e Johnny “Six” Sax. Era diventato anche alla chitarra il piu’ veloce del West. Era Tony, lui, mica un Pinco Pallino qualsiasi.


Ma non era soddisfatto!!! Voleva essere il piu’ veloce del West, ma con tre sole dita della mano sinistra. “C’e’ riuscito Django a suonare cosi’, non vedo perche’ non possa riuscirci io”, disse una volta ad un giornalista che lo intervistava.
Fu cosi’ che Tony si reco’ in Svizzera per la quarta volta per farsi … amputare il mignolo e l’anulare della mano sinistra. Anzi, per dimostrare che era bravo non quanto Django, ma piu’ di lui, decise che non era il caso di farsi impiantare un nuovo paio di occhi. Era Tony, lui, mica un Pinco Pallino qualsiasi!


Fu scritturato di nuovo al “Tonyland” per due settimane di concerti in duo. Chiamo’ accanto a se’ “un altro grande musicista”, un batterista dalla solida struttura, una macchina irrefrenabile, un autentico ‘BobCat’ che si fregiava di aver suonato con i piu’ grandi della storia del jazz e che sosteneva di essere trascurato da una stampa incompetente. Fu un successone, gente in delirio, milioni di copie dei suoi dischi vendute in tutto il mondo, la vittoria per sei anni di seguito di tutti i possibili premi come migliore musicista polivalente. Vinse anche la medaglia olimpica nel decathlon e miglioro’ il suo precedente primato suonando 17.223 note in un solo minuto, questa volta alla chitarra, con sole tre dita ad una mano e senza vederci.
Era un grande, lui, mica un Pinco Pallino qualsiasi. Ed era veramente fiero di essere riuscito nel suo intento: arrivo’ a disputare tre olimpiadi in tre discipline diverse, vincendo anche il Grande Slam. Che classe!!! Che portento!!!


Ma i guai per Tony non erano finiti.
Il C.I.O. gli impedi’ di esibirsi per cinque anni per manifesta superiorita’ in competizioni ufficiali: gli venne ritirata la ‘cabaret card’. Fu cosi’ che divenne una sorta di Alfredo Binda della musica, ed a nulla valsero i cortei di protesta dei suoi fans, i ‘sit in’, gli scioperi della fame organizzati dai radicali.
Cadde in una lunga crisi che lo avrebbe segnato per sempre. Fu ricoverato al “Casatiello Hospital” dove gli venne praticato l’elettroshock e gli furono somministrate pesantissime dosi di sedativi, ma non tanto da sopprimere del tutto la sua vena creativa. Era il giorno di Pasqua quando lascio’ l’ospedale dopo due anni di ricovero: in quell’occasione compose un ultimo brano che intitolo’, analogamente a quanto fece Charlie Parker, “Relaxin’ at Casatiello”.
[Da allora, in suo onore, il casatiello e’ diventato un rustico tipico della tradizione pasquale].


Quell’anno Tony decise di regalarsi un periodo di tranquillita’, e cosi’ si imbarco’ su un piroscafo per una crociera intorno al mondo. Conobbe moltissima gente, riprese il contatto con le donne, riacquisto’ un bel colorito grazie alle lunghe sedute elioterapiche che teneva sul ponte della nave, e soprattutto riusci’ a stare lontano dalla musica e da tutti i problemi che questa gli aveva creato.
Ma quando la nave giunse in prossimita’ della East Coast americana, Tony subi’ nella mente un frenetico accavallamento di immagini e suoni. Udi’ le voci di alcuni passeggeri che riconobbero lo skyline di New York, la Statua della Liberta’, le Twin Towers ancora in piedi, l’Empire State Building, e cosi’ non pote’ fare a meno di pensare al jazz, a Duke Ellington e la sua Harlem, ai mitici anni del be-bop, ai famosi locali di Manhattan, alla Carnegie Hall, agli anni del free ed a tutti i linguaggi musicali che in quella citta’ si erano succeduti, alle avanguardie, alla sperimentazione dei musicisti che si esibivano alla Knitting Factory ed al Tonic. Il peggio fu che nella sua mente prese forma un brano che comprendeva tutti gli stili, e cosi’ gli sembro’ di ascoltare Count Basie che dirigeva “Free Jazz” di Ornette Coleman, con la linea di basso di “A Love Supreme”, il tema di “Summertime”, il drumming sincopato di “Meditation On Integration”, i campionamenti di John Surman, le parole allegre di “Fenesta vascia”: al sax Charlie Parker e John Zorn; alla tromba Miles, Bix, Dizzy, Dave Douglas ed Austin Forte; al pianoforte Cecil Taylor, Bill Evans e Frank Tape; al contrabbasso Mingus, Jimmy Blanton e Ron Carter; alla batteria il suo compagno di tante avventure, quel rullo compressore di ‘BobCat’ che non lo aveva mai abbandonato, neanche nei momenti piu’ bui.


Fu cosi’, quasi per incanto, che sali’ sulla nave un grande della storia del jazz, uno di quegli eroi che avevano illuminato il suo percorso artistico e metamorfico e che avevano ispirato racconti e film dal sapore bariccato-tornatoriano. Era … James P. J.J. Gege’ Di Giacomo Johnson, una figura mitologica indescrivibile, a meta’, anzi ad un terzo, tra un pianista di ragtime, un trombonista bop ed un batterista carosoniano. Si era trasformato al punto da non essere riconosciuto dai suoi stessi fans; e pensare che Tony, quando ci vedeva, aveva voluto nel suo studio tutti i poster che ne testimoniavano i cambiamenti.
Era invecchiato James, ma aveva ancora quell’andatura dinoccolata tipica dei grandi artisti, andatura dovuta piu’ agli anni di notti insonni alle prese con jam-sessions, alcool e droga, che non ad un effettivo intorpidimento delle giunture. Fu cosi’ che si diresse verso Tony per sfidarlo al cospetto di piu’ di mille spettatori. Era tornata l’era delle grandi sfide:
“Duke Ellington contro Count Basie” … “Ohhhhhhhhhhhh”;
“Ella Fitzgerald contro Billie Holiday” … “Ohhhhhhhhhhhh”;
“Dexter Gordon contro Wardell Grey” … “Ohhhhhhhhhhhh”;
“Lee Konitz contro Warne Marsh” … “Ohhhhhhhhhhhh”;
“Al Cohn contro Zoot Sims” … “Ohhhhhhhhhhhh”;
“Steve Lacy contro Evan Parker, a colpi di soprano” … “Ohhhhhhhhhhhh”;
“Muhammad Ali’ Cassius Clay contro Mahatma U.T. Gandhi, duello a percussione” … “Ohhhhhhhhhhhh”.


– “Ed ora, cari fratello, ho l’onore di presentare la sfida del secolo. Un evento che non avreste mai immaginato per la sua portata. Una vera battaglia a colpi di note. Fiato alle trombe, Lo Turco!!! Ecco a voi James P. J.J. Gege’ Di Giacomo Johnson contro Tonyyyyyyyyyyy”.
– “Tony, Tony, Tony, Tony, Tony, Tony …”.
– “James P. J.J. Gege’, James P. J.J. Gege’, James P. J.J. Gege’, James P. J.J. Gege’, James P. J.J. Gege’, James P. J.J. Gege’ …”.
Gia’ si immaginavano i titoli dei giornali: “Scontro fra titani”; “La musica dei giganti”; “Un delirio di strumenti”.


Le tifoserie erano schierate in maniera abbastanza equilibrata. C’erano striscioni che coloravano la lussuosa sala da ballo del piroscafo ed i cori imperversavano senza sosta in un’atmosfera da Olimpiade, cosa che esalto’ enormemente i due protagonisti.
– ” … Ecco sulla sinistra James P. J.J. Gege’ Di Giacomo Johnson che parte per un assolo di trombone, mentre a centrocampo la ritmica incalza schiacciando l’avversario nella propria area di rigore … il trombone continua a galoppare all’attacco, lancia la nota sulla fascia sinistra, l’audience e’ disorientata, un ultimo colpo di coulisse … ed e’ GOOOOOAAAAAAALLLLLLLL!!! Uno a zero”.
Tony fu preso di sorpresa, e fu impossibilitato a reagire per tutto il primo tempo … soprattutto perche’ James P. J.J. Gege’ approfittava della sua cecita’ per nascondergli strumenti, note e spartiti e addirittura per sgambettarlo durante i suoi assolo. Dopo un goal realizzato con le bacchette commettendo un fallo di mani non rilevato dall’arbitro ecuadoriano Byron Moreno, tra l’altro in fuori gioco per aver steccato al trombone un DO sopra il rigo, James P. J.J. Gege’ Di Giacomo Johnson ando’ al riposo in vantaggio per 2 a 0.
Fu in quel momento che Tony ebbe una di quelle idee che lo avevano reso unico al mondo. Gli venne in mente di aver parlato qualche giorno prima con il Dottor Guarracino, un biologo che insegnava all’Universita’ di Pollenatrocchia e che aveva il suo laboratorio sul piroscafo. Guarracino gli aveva raccontato delle sue ricerche sui delfini, sicche’ Tony approfitto’ di quel quarto d’ora di riposo per farsi … impiantare il cosiddetto ‘terzo orecchio’, una specie di sonar che i delfini hanno per comunicare e per individuare il movimento dei corpi.
Alla ripresa del match fu tutta un’altra storia. Tony non si lascio’ sfuggire una sola nota, dando fondo alla sua polivalenza artistica e sportiva e sfruttando tutta la sua velocita’, sicche’ Di Giacomo Johnson rimase completamente fuori dal gioco. Fu cosi’ che Tony prima accorcio’ le distanze grazie ad una splendida versione di “On Green Dolphin Street”, poi pareggio’ al novantesimo con l’esecuzione di “Dolphin Dance” con cui riusci’ a cullare e ad addormentare finalmente il suo avversario. In questi brani riusci’ a prendere degli splendidi assolo utilizzando gli ultrasuoni acquisiti con il terzo orecchio, a tonalita’ talmente acute da stordire non solo James P. J.J. Gege’, ma addirittura l’intera platea, che si libero’ alla fine del tempo regolamentare in un fragoroso applauso.
Fu allora, quando il golden goal era ormai nell’aria, che accadde una cosa stupefacente. Le magiche note che Tony aveva suonato richiamarono la bellezza di 1000 delfini che, con le loro evoluzioni intorno al piroscafo, fecero agitare le acque al punto da far cadere in mare James P. J.J. Gege’ Di Giacomo Johnson. L’arbitro non pote’ fare a meno di assegnare cosi’ a Tony la vittoria per k.o. tecnico al tie-break del primo tempo supplementare.
Fu cosi’ che Tony, non solo si riapprioprio’ della corona unificata delle federazioni pugilistiche, ma riusci’ a battere altri due primati: fece dimenticare le 56 balene arenatesi nella baia di Cuernavaca alla morte di Mingus e cancello’ la presenza delle zanzare negli stati di New York, New Jersey e Massachussets.


Il giorno dopo la nave salpo’ alla volta del Sud America, ma per tutto il tempo non si fece altro che parlare dell’entusiasmante match che aveva incantato l’intero equipaggio e tutti i passeggeri, che inaugurarono, ancora ebbri di suoni, il “Tony Fans Club”.
Per riconoscenza, Tony decise di tenere quella stessa sera un seminario ad accesso gratuito nella sala che lo aveva visto trionfare, approfittando anche della presenza a bordo del suo fido batterista.
Dopo le prime due ore trascorse a raccontare la storia del jazz con dei frammenti di brani eseguiti dal vivo e ad aver impartito i primi rudimenti di armonia, Tony decise di tenere un concerto con un programma che intendeva celebrare i compositori piu’ battuti della storia. E cosi’, in duo con il suo fido ‘BobCat’, passo’ da Gershwin a Cole Porter, dalla coppia Rodgers-Hart ad Irving Berlin. Poi … Duke Ellington.


Quando Tony attacco’ i meravigliosi accordi di “In A Sentimental Mood”, il pubblico cadde in un religioso silenzio, le luci si abbassarono, le stelle fecero capolino ed un raggio di luna entro’ ad illuminare dolcemente la pedana come un riflettore, uno spot. [Prima o poi dovevamo abituarci agli spot!!!]
Introduzione, giro di basso, spazzolate del ‘BobCat’, primo chorus strumentale eseguito magistralmente da Tony, accordi di piano al secondo chorus [perche’ Tony, da bravo musicista, sapeva suonare anche il piano]. Ma proprio nell’attimo in cui si accingeva ad attaccare al sax il magnifico tema del Duca, dalla prima fila si alzo’ OiVitaPrimaDea, una cantante che, con voce angelica, attacco’:
– “Munasterio ‘e Santa Mood, tengo ‘o core scuro scuro, ma pecche’ pecche’ ogni sera, penzo a Napule comm’era, penzo a Napule comm’e’. Funtanella ‘e Capemonte, chistu core me se schianta, quanno sento ‘e di’ d’ ‘a ggente ca s’e’ fatto malamente ‘stu paese, ma pecche’ …”.
Tony resto’ sbalordito, e mentre cercava di comprendere il nesso tra il jazz e la canzone napoletana, udi’ tutto il pubblico intonare il seguito.
– “No nunn’ e’ ‘o veeeeeeeeeeeero, no nun ce crero, e moro pe’ ‘sta smania ‘e turna’ a Napule, ma c’aggia fa’, me fa paura ‘e ce turna’”.
– “Ueeeeeeeee!!! Ma che state cumbinanno? Chesta nunn’e’ ‘Munasterio ‘e Santa Chiara’. Vabbe’, mò suoniamo ‘Maiden Voyage’ di Herbie Hancock. Siete pronti?”


Per evitare problemi, Tony attacca subito il tema. Due chorus di assolo, accompagnamento batteristico che ricorda Tony Williams – un altro Tony! Quanti Tony? Troppi Tony! Ma questo e’ un racconto politonale… -, giro di basso, timidi accordi al piano ed improvvisa entrata vocale della cantante:
– “Si duorme o si nun duorme, oi bella mia…”
– “Ueeeeeeeeeeeeeeeeee!!! Ma ‘a vuò ferni’, o no? Ma che e’, ‘a festa ‘e Piererotta? Basta mò! Suoniamo ‘Footprints’ di Wayne Shorter, sino’ me ne vaco.”


Questa volta Tony attacca alla sua solita, altissima velocita’, nasconde il tema come se stesse suonando Lee Konitz, interrompe, varia il gioco, emette nuovamente ultrasuoni, spezza il tempo, lo ricuce, lo lava, lo stira, lo indossa ma, mentre si accinge ad esporre il tema, c’e’ ancora la cantante che attacca:
– “Tu stai malata e canti. Tu stai murenno e canti. Sò nove juorne nove, ca chiove chiove chiove. E se fa fredda l’aria, e se fa cupo ‘o cielo. E tu dint’ a ‘stu gelo, tu sola canti e muori. Chi si’? Tu si’ ‘a canaria! Chi si’? Tu si’ l’ammore. Tu si’ ll’ammore, ca pure quanno chiove, canta canzone nove. Gesu’, ma comme chiove. …”


L’esasperazione di Tony raggiunse il limite, e cosi’ decise di giocarsi l’ultima carta. ‘Round Midnight’ frammentato, ogni tre battute cambio di tempo (ogni quattro sarebbe stato troppo facile), tema nascosto, accelerazione improvvisa, assolo in 7/11, tema eseguito al contrario, salti di accordi presi a battute alternate, quando il pubblico in coro attacca:
– “E ‘a luna rossa me parla ‘e te…”


Tony pianse per la disperazione, anche perche’ effettivamente il cavallo di battaglia di Renzo Arbore non c’entrava proprio nulla con il gioiello di Monk. E cosi’, affranto, si getto’ in acqua sperando di farla finita. Poverino Tony. Precipito’ in malomodo su una zattera con una violenza tale da procurarsi fratture multiple ed un forte trauma cranico: svenne, e cosi’ fu trascinato dalle correnti verso il Mar dei Caraibi, fino ad arrivare sulle coste dello Yucatan.
Finalmente approdato, Tony si sveglio’ ma era stanco, molto stanco. Non ce la faceva piu’ di tutte quelle competizioni e soprattutto gli dava fastidio il fatto che il mondo intero non avesse ancora capito che era lui il piu’ forte. Ma, visto che si trovava in Messico, decise di fare un giro nei luoghi in cui Mingus, Charlie Mingus [“Mi chiamo Charles”, disse con voce severa il contrabbassista dall’aldila’] … dicevo, nei luoghi in cui Charles Mingus aveva speso l’ultima parte della sua vita. Passo’ prima nella natia Nogales, citta’ divisa in due dal confine tra Arizona e Messico; poi a Tijuana, dove Mingus si era ispirato per un bellissimo disco registrato nel 1957; infine Cuernavaca, dove in seguito sarebbe morto anche Gil Evans. Con lui, come sempre, il fido ‘BobCat’.
Era un posto mitico, quello, e nell’aria aleggiavano le note delle composizioni del grande contrabbassista: ‘Self-Portrait In Three Colors’, ‘Goodbye Pork-Pie Hat’, ‘Los Mariachis’, ‘So Long Eric’, ‘Better Git It In Your Soul’, ‘Peggy’s Blue Skylight’ e tutte le altre. C’era un’atmosfera magica, ma Tony provo’ un grosso dispiacere quando, sulle note di ‘Pussy Cat Dues’, il suo fido ‘BobCat’, per la prima volta nella sua vita, si innamoro’, andando via per sempre facendo le fusa.
“Purrrrrrrr, purrrrrrrrr, purrrrrrrrrrrrr”.
“Miaooo … miaooooo … miaoooooooo … mieeeeeaooooooooooo … meeeeeeeeeeeaaaaaaaaaaaaaaaoooooooooooooooooooowwwwwwwwwwwwwwwwww!!!!!!”
Tony resto’ senza parole. Riusci’ soltanto a dare al suo amico una confezione maxi di 24 Control Jane(h), preservativi realizzati apposta per i sassofonisti, tenori e soprani, ma non si rese conto del fatto che quegli aggeggi si sarebbero irreparabilmente graffiati se manipolati da unghie feline.


Dopo quella dolorosa sensazione, il nostro eroe prosegui’ nel suo pellegrinaggio sulle orme di Mingus. Fu colpito dal fatto che, nonostante la grave malattia, il grande Charles [“OK! Va bene Charles!!!”] prosegui’ imperterrito nella sua produzione musicale, realizzando dischi come Me, Myself An Eye e collaborando al capolavoro di Joni Mitchell, Mingus appunto.


“He is three
One’s in the middle unmoved
Waiting
To show what he sees
To the other two
To the one attacking – so afraid
And the one that keeps trying to love and trust
And getting himself betrayed
In the plan – oh
The devine plan
God must be a boogie man”.


Decise di andare a trovare la guaritrice che ebbe in cura Mingus nell’ultimo periodo della sua vita, per farsi aiutare a porre fine ai suoi mali. Fu cosi’ condotto in una capanna, dove fu subito avvolto da fumi e profumi di pozioni magiche. Rimase li’ inebriato per due giorni e quando usci’ si rese conto di aver ormai superato il punto di non ritorno. Non e’ che non potesse piu’ guarire dalle sue malattie, ne’ tantomeno riconfigurare il suo stato originario come si puo’ fare con un computer formattato, “format C:” ed e’ fatta. Se ‘T’ sta per Tony, “format T:” non funziona, si ha un errore di sistema, si blocca tutto, finisce il gioco, il racconto, la vita di un uomo.
E Tony non era piu’ un uomo. Era diventato un’essenza, un concetto. La sua metamorfosi si era a sua volta trasformata, non era piu’ volontaria, chirurgica, calcolata. Infatti, un bel giorno gli capito’ di vivere un brevissimo momento kafkiano, al risveglio, rendendosi conto di essere diventato un altro e non riconoscendosi allo specchio.
Poi la sua metamorfosi divenne addirittura di matrice darwiniana, consapevolmente darwiniana, nel senso che ormai Tony era diventato una specie a se’ stante, in continua evoluzione, trasformandosi naturalmente a seconda delle esigenze musicali che incontrava.
Cosi’ … usci’ da quella seduta senza gambe, un tronco umano, testa e braccia su un ‘carruociolò, semplicemente perche’ per fare musica non aveva bisogno delle gambe. Cosa era lui? Un sassofonista? Un chitarrista? Ed allora, di cosa aveva bisogno? Di braccia, mani, polmoni, bocca. Nulla piu’!
Non aveva fame, ne’ freddo, ne’ sonno … e neanche desiderio ‘e vase. E non aveva bisogno di una donna, ne’ di un amico. Ormai per lui esisteva soltanto la musica, anzi diciamo che stava diventando musica, perdendo lentamente la sua consistenza corporea.


Tony riusci’ in qualche modo a farsi accompagnare all’aeroporto, anche se alla dogana fu scambiato per un bagaglio, completamente impacchettato e scaraventato nella stiva, giungendo a casa in una condizione di torpore assoluto. Non aveva capito bene cosa, ma sapeva che qualcosa, qualcosa di grosso, stava per accadergli.
Disfece i suoi bagagli e per rilassarsi mise su un disco, “Conversations With Myself” di Bill Evans. Si spoglio’ e si stese sul letto cercando di immergersi subito nel mondo dei sogni.
Ma si sa, e’ quando si e’ in uno stato di dormiveglia che i freni inibitori vengono recisi, lasciando il giusto spazio alla fantasia. Ed e’ proprio in quella fase che la musica riesce a scavare profondamente nella mente umana.
Ebbene, quella fase duro’ per tutto il disco finche’, stremato, Tony riusci’ a prendere sonno.


Quello che doveva essere un ascolto rilassante si rivelo’, al risveglio, di una drammaticita’ sconvolgente. In realta’ non fece altro che confermare a Tony le strane sensazioni che stava provando in quei giorni. Il desiderio di poter riprodurre le tre linee di piano sovraincise da Bill Evans lo aveva fatto diventare un mostro, un enorme granchio, ‘nu rancio fellone. Una testa con sei braccia. Ma Tony non si scompose. Si trascino’ al pianoforte ed attacco’ la splendida melodia di “Gloria’s Step” … sei mani che svolazzavano con effetti orchestrali sul tappeto bianco e nero della tastiera.
Passo’ tutto il giorno sulle composizioni di Bill Evans: “Time Remembered”; “Interplay” e “Loose Bloose” sulla stessa struttura armonica; “Turn Out The Stars”; “Very Early”; “Re: Person I Knew” e “N.Y.C.’s No Lark”, omaggi in anagramma. Per non parlare dei brani altrui sui quali il pianista aveva lasciato il suo indelebile segno. Giunse cosi’, suonando, fino a sera.


Era stanco Tony, sempre piu’ stanco, ed ancora una volta non riusci’ a fare altro che stendersi goffamente per terra [… ormai sul divano non riusciva piu’ a starci …], pigiare un tasto del telecomando della sua tv e restare incantato davanti alle immagini di un documentario su Max Ernst e Giorgio De Chirico. E gia’, la metafisica. Sembrava una caso ma non lo era. Niente era mai stato un caso nella sua vita.
Cio’ che lo colpi’ maggiormente fu pero’ ancora la musica: una colonna sonora con momenti straordinari in cui si incrociavano sei sassofoni soprani. Nonostante fosse stanco, resto’ sveglio fino alla fine per poter leggere i titoli di coda … “Musiche composte ed eseguite da Steve Lacy”. “Islands”. “Labyrinth”.
Sei linee di sassofono. Lui, con sei braccia, ne avrebbe potuto suonare soltanto tre e cosi’ penso’ che c’era qualcuno che in questo lo batteva. Provo’ allora ad addormentarsi, confidando nella sua natura metamorfica che lo avrebbe fatto risvegliare con … dodici braccia.


Tutto cio’ pero’ non accadde, e per tre motivi: innanzitutto perche’ il suo corpo di rancio fellone non aveva lo spazio per poter accogliere altre sei braccia; poi perche’ la sua bocca era larga per poter accogliere soltanto tre sassofoni; infine perche’ lui non immaginava neanche lontanamente, al contrario del suo DNA (che ormai aveva preso il sopravvento sulla sua mente), che quelle linee di sassofono erano state incise da Lacy in sei momenti differenti.
Fu un dramma.


Tony decise di fare di tutto per incontrare Lacy, conoscerlo, compiendo quello che sarebbe stato … il suo ultimo viaggio.
Parigi. La Ville Lumie’re.
Tony riusci’ a trovare l’indirizzo di Lacy dall’elenco del telefono, prese un taxi ed in dieci minuti era li’.


“Ed ora? Che faccio, busso? E poi, sono sicuro che mi apre? Potrebbe anche aver paura di un essere abnorme come me. Ma io sono cosi’, non posso farci niente. E poi, cosa gli dico? Magari fingo di essere un giornalista che vuole intervistarlo. Ma si, faccio cosi’. Gli domando di Duke Ellington, di Cecil Taylor, di Gil Evans. Mi faccio raccontare la storia di Coltrane che imbraccio’ il soprano dopo aver ascoltato proprio lui. Gli chiedo delle sue esperienze con attori come Antonio Neiwiller e Leo De Berardinis; ballerini, artisti, poeti. Oppure mi faccio raccontare di quando ando’ via dall’America per evitare di suonare un jazz troppo commerciale.
Che faccio, busso? Ma si!!!”.


Lacy giunse alla porta in pochi secondi, apri’ e, sebbene avesse di fronte una creatura sovrumana, non si lascio’ impressionare minimamente. Anzi, guardo’ negli occhi Tony senza dire nulla, immobile, aspettando come il piu’ grande dei pistoleri la prima mossa del nemico.


– Ciao Steve. Io sono …


– Ciao Tony. Entra


Prima che Tony finisse di parlare, Lacy lo invito’ ad accomodarsi nel suo studio, una stanza grande e quasi vuota. In un angolo, un materasso ben ordinato. Accanto, un leggio con gli spartiti ed il sax che riposava poggiato sulla sua campana. Dall’altro lato, una poltrona con un gatto che dormiva placidamente, drizzando di tanto in tanto le orecchie.
Per l’emozione Tony ammutoli’. Inizialmente rimase incantato da quella casa essenziale. Poi riusci’ soltanto a sfilare rapidamente dalle fondine i suoi tre sax – tenore, contralto, soprano – dando cosi’ vita al piu’ grande magma sonoro che orecchio umano avesse mai udito. Dopo tre minuti di autentico uragano, Tony si interruppe, cercando di capire a quel punto cosa potesse fare Lacy.


– “Per favore, un pò di swing!”.
Lacy suono’ cosi’ una sola frase di soprano.


Un pò alterato per quello che poteva sembrargli un affronto, Tony raddoppio’ la velocita’, migliorando ulteriormente il suo primato.


– “Per favore, un pò di swing!”.
Lacy rispose con una sola nota, lunga.


Ancora Tony, letteralmente infuriato come mai gli era capitato, tiro’ fuori dai suoi strumenti una vera bomba sonora.


Lacy, dal canto suo, resto’ zitto. Silenzio assoluto.


Quel silenzio duro’ un minuto, due minuti, cinque minuti, un’ora, un giorno, una vita.


Non e’ che Tony non ascolto’ piu’ nulla per il resto dei suoi giorni. Gli accadde semplicemente di acquisire la conoscenza del tempo … non quello del metronomo, qualcosa di piu’. Il tempo come entita’ flessibile alla quale poter adattare la propria esistenza.


Gli passarono cosi’ per la mente i nomi ed i volti dei musicisti scomparsi prematuramente, bruciando le tappe e concentrando una vita intera in pochi decenni [il tempo e’ davvero un concetto relativo]:
Bix Beiderbecke … Eddie Lang … Fats Waller … Glenn Miller … Charlie Christian … Django Reinhardt … Fats Navarro … Charlie Parker … Clifford Brown … Billie Holiday … Oscar Pettiford … Dick Twardzik … Booker Little … Lee Morgan … Herbie Nichols … Eric Dolphy … Bud Powell … John Coltrane … Wes Montgomery … Albert Ayler … Wynton Kelly … Roland Kirk … Jaco Pastorius … Tom Cora … Massimo Urbani … Michel Petrucciani. Michel, la perfetta corrispondenza tra corpo ed arte, con quelle due manone che erano uno spettacolo a vedersi.
Chi per dissolutezza, chi per malattia, chi per incidente, morirono quasi tutti prima dei quarant’anni, alcuni molto prima, altri appena dopo. Eppure, nessuno di loro ha lasciato per strada una sola nota non suonata. Hanno tutti compiuto il loro percorso artistico, giungendo cosi’ alla fine per motivi … biologici. E gia’, perche’ quando ti capita di morire, in qualunque modo ed a qualunque eta’, e’ perche’ tutto sommato hai abbassato la guardia, perche’ sai di aver detto e dato tutto.


Ma Tony sapeva che gli mancava ancora qualcosa per compiere il suo percorso, e quel qualcosa gli era ormai vicino, molto vicino.


Satori … l’illuminazione.


Essendosi impossessato del concetto di tempo, aveva improvvisamente compreso tutto. La musica di Thelonious Monk, con quei vuoti cosi’ pregni di tensione, e poi ancora … ma poi, cosa c’e’ di piu’ della musica di Monk? Musica in cui struttura e pelle si scambiano i ruoli ed in cui il tempo diventa spazio, dilatandosi, accorciandosi, rendendosi flessibile, mutevole … aperto. In quell’apertura Tony ci infilo’ tutto se stesso, comprendendo quanto gli spazi vuoti possano dare l’opportunita’ di immaginare, mentre una musica serrata, tutta scritta, eseguita velocemente, senza pause … non puoi far altro che subirla.


Less is more. Il meno e’ piu’.


“Lover Man”, il momento piu’ alto dell’arte di Bird, una drammaticita’ espressa tutta nelle note mancate.


Ornamento e delitto.


Da quel momento Tony inizio’ a togliere, a sottrarre, a dilatare il suo tempo ed il suo spazio. Riusci’ a farsi piacere la sua musica, scandendo per bene il ritmo, cullandosi in carezzevoli armonie, cantando dolci melodie.


Nica’s Dream


Melodie che rallentavano sempre piu’, diventando ballads.


My Funny Valentine


Darn That Dream


Ma le melodie e le armonie ad un certo punto rimasero sottintese nella sua musica … non c’era bisogno di esporle. Potevi cantarci anche altro.


E fu cosi’ che, liberatosi dalle sue catene, ebbe una visione. Vide la ragazza dal pollice grosso fare l’autostop sulla Route 66, simbolo di un’intera generazione, una generazione trascinata dal ritmo di Art Blakey e dagli “accordi di gomito” di Monk. Oh, Kerouac, Jack Kerouac … e poi Allen Ginsberg, Borroughs, Ferlinghetti, Corso, Cassady … padri di una prosa spontanea, libera, pregna degli staccati del be-bop … poeti che stavano “su ventiquattr’ore a bere una tazza di caffe’ nero dopo l’altra, ad ascoltare dischi su dischi di Wardell Gray, Lester Young, Dexter Gordon, Willie Jackson, Lennie Tristano e tutti gli altri” … ed ancora Gysin, si … Brion Gysin … “Songs” … Luvzya Luvzya Luvzya … really really Luvzya … Junk Is No Good Baby … Good Baby Is No Junk … Baby Junk Is No Good … permutazioni di parole che si fanno musica, suono, sovvertendo le regole e semplificandosi sempre piu’ fino a diventare soffio … respiro.

La sottrazione che Tony andava operando piu’ o meno velocemente – tanto la velocita’ dipende dal tempo, e’ anch’essa un concetto relativo – quella sottrazione lo porto’ a diventare un semplice ritmo … lento … perfettamente cadenzato … sempre piu’ lento … percepibile … fruibile … abitabile.
E questa semplificazione opero’ sul suo corpo un’ultima, definitiva trasformazione: Tony divenne … un cuore.
Un unico cuore che portava il tempo, il ritmo … che inizio’ ad essere l’unico, ultimo riferimento della sua vita.
Un cuore che … pulsando … sempre piu’ piano … lo condusse in Bauci, citta’ invisibile, dove Tony giunse a contemplare … affascinato … la propria … assenza.

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