Dario Cecchini,
il “capobanda”, l’anima della prima orchestra italiana di strada che
“suona e balla”, ci parla del mondo dei Funk Off: gli inizi, la musica e
il resto…
01. Funky made in Vicchio
02. Un puzzle di 15 pezzi + 2
03. Intervista a Dario Cecchini
04. ‘Una banda cosi” e altri dischi…
05. Le 50 VERITA’ di Dario Cecchini
Dario Cecchini, il “capobanda”, l’anima della prima orchestra italiana di strada che “suona e balla”, ci parla del mondo dei Funk Off: gli inizi, la musica e il resto…
Sound Contest: In precedenti interviste hai affermato che Pepper Adams e’ la tua guida personale mentre armonicamente il tuo lavoro e’ stato influenzato da Nick Brignola. Cosa intendevi esattamente?
Dario Cecchini: Parlo di guide musicali. Nick Brignola e’ stato per me molto importante e ho studiato e trascritto molti dei suoi lavori. In una certa fase della mia formazione musicale mi ha fatto capire cose del linguaggio strumentale e armonico. Pepper Adams e’ invece il riferimento della gran parte dei baritonisti moderni. Anche di lui ho trascritto molto e addirittura su di lui ho fatto la mia tesi in jazz. E’ la grinta, il linguaggio, la tecnica del sax baritono moderno. Oggi penso che Nick Brignola mi abbia aiutato piu’ all’inizio del mio studio approfondito sul sax baritono. Pepper e’ il riferimento odierno.
S.C.: Quali sono gli elementi dei due piu’ evidenti nella tua musica?
D.C.: Mah, alla fine uno studia per crearsi un proprio linguaggio, non e’ detto che poi si debba sempre estrinsecare in maniera evidente la “radice” del proprio studio. Anzi, quello che studi lo devi poi interiorizzare e filtrare attraverso la tua musicalita’ e sensibilita’. Senza dimenticare che anche il periodo in cui vivi, i luoghi da cui provieni, la musica che hai respirato in generale, e un sacco di altri fattori personali lasciano in te una traccia indelebile e caratterizzano il tuo modo di suonare.
S.C.: Chi sono i Funk Off?
D.C.: Domanda da un miliardo di dollari! Sono quindici persone, fra se’ diversissime per carattere e indole, che fanno musica credendoci fino in fondo. Sono un gruppo che fa della forza di squadra la propria forza. Sono 14 amici, (molto, molto amici… potremmo dire “una grande famiglia”), che hanno creduto in una mia idea e che da 13 anni la seguono. Forse possiamo anche dire che i Funk Off sono un gruppo che ha rivisto e in qualche maniera attualizzato il concetto di Banda e della musica fatta in formazioni di soli fiati e percussioni.
S.C.: Che musica suonano i Funk Off?
D.C.: I Funk Off suonano una musica che attinge soprattutto ritmicamente e armonicamente a tutta la black music quindi jazz, soul, funk ma che vengono sintetizzati in maniera personale e, a mio parere, molto italiana. Per definire la nostra musica ho coniato il termine Funk Made In Vicchio, non e’ jazz, non e’ soul, non e’ funk, ma e’ Funk Made in Vicchio.
S.C.: A parte i musicisti, cosa e’ cambiato da “Uh yeah!” a “Una banda cosi'”?
D.C.: Spero e penso molto. La scrittura dei brani, gli arrangiamenti, la preparazione dei musicisti, la compattezza della band, la qualita’ della registrazione e della post-produzione. Penso che un musicista debba sempre essere alla ricerca di qualcosa e cercare di progredire. A volte questo puo’ farti prendere delle strade sbagliate e a non essere contento dei risultati ma a me va bene cosi’. Meglio sbagliare qualcosa che ricomporre e risuonare quello che ho gia’ fatto.
S.C.: La scrittura bandistica e’ molto diversa dal funky o dal soul, qual e’ stata la difficolta’ piu’ grande nell’adattare questo linguaggio ad una formazione da banda?
D.C.: Non lo so…. Io penso le cose e poi le strumento. Non mi sono mai posto il problema della formazione senza strumenti elettrici o della ritmica tradizionale. Sono suoni, che li faccia una chitarra o una sezione di sax o di trombe, basta tradurre in suoni quello che pensi. Ovvio che ogni strumento ed ogni sezione di strumenti ha il proprio caratteristico sound, ma conoscendolo lo puoi adattare e modellare a tuo piacimento.
S.C.: I tuoi ragazzi si sono adattati con facilita’ a questo nuovo linguaggio?
D.C.: Direi di si’, con tante prove, ma direi di si’. Sono tutti appassionati di jazz, forse piu’ di acid jazz, funk, soul. Quindi il linguaggio lo conoscono. Molti di loro avevano gia’ collaborato con me in altri progetti e sanno piu’ o meno quello che voglio e come lo voglio. Anche io li conosco bene e quando scrivo penso molto a come ognuno di loro suonera’ la propria parte cercando il piu’ possibile di calibrare la scrittura pensando a loro come singoli.
S.C.: Cosa rimane dell’esperienza e dello stile della Banda di Vicchio nei Funk Off?
D.C.: Bella domanda! Direi senza dubbio molte cose, di sicuro lo spirito di andare a suonare con passione e tanta voglia di divertirsi. Di fatto siamo ancora una banda…. Facciamo una musica diversa, ma lo spirito e’ quello. Volendo potrei dire nel bene e nel male!!
S.C.: La vostra comune origine, Vicchio, e’ un elemento esclusivo?
D.C.: No, assolutamente no! La musica unisce e non divide. Il grosso del gruppo e’ sempre stato Vicchiese, ma ci sono sempre stati elementi non del paese fin dall’inizio: Alessandro Suggelli e’ di San Piero (FI), un paese a
S.C.: Nei vostri cd ci sono sempre collaborazioni interessanti e con grandi musicisti. Come scegli le vostre collaborazioni? Quali caratteristiche di questi musicisti si intonano ai vostri percorsi?
D.C.: La maggior parte dei musicisti ospiti dei nostri CD sono amici e musicisti con i quali ho trascorsi e collaborazioni precedenti o ancora adesso in atto. Ad ognuno di loro ho chiesto di suonare o cantare non brani a caso, ma quelli che pensavo si sposassero bene alla loro sensibilita’ e al loro carattere. Fra l’altro sono persone che conoscono ed apprezzano lo spirito dei Funk Off.
S.C.: Non e’ mai capitato che nonostante l’intesa umana e il feeling intellettuale non si sia creata alchimia tra voi e gli ospiti?
D.C.: No, mai. Un po’ per il livello dei musicisti ospiti nei nostri brani, un po’ perche’ li conoscevo bene e so che sono tutti musicisti in sintonia con i Funk Off e con la nostra musica.
S.C.: In alcuni testi si canta in italiano, altri sono misti. Quale lingua pensi sia piu’ immediata per questo genere di musica?
D.C.: Se lo domandi ad un anglofono sono sicuro che ti dira’ che l’unica lingua per questo sound e’ l’inglese. Pero’ poi le parole non sono altro che un mezzo per esprimere dei concetti ulteriori e quindi ognuno ha voglia di esprimersi nella propria lingua. Non per niente il rap, che nasce come il jazz, il funk e il soul in America, in ogni parte del mondo viene fatto anche nella propria lingua.
S.C.: Il vostro ambiente piu’ autentico e’ la strada, ma nessuna banda propone coreografie mentre suona! Come ti e’ venuto in mente?
D.C.: Piu’ che altro direi che la strada e’ il punto da cui abbiamo iniziato. Di fatto oggi si avverte la completezza del progetto assistendo sia alla parte marciante che ad un concerto su palco. L’idea della coreografie mi venne perche’ volevo la massima energia e il massimo coinvolgimento nella musica da parte dei musicisti. Il movimento fa parte del vivere la musica e quindi diventava un elemento basilare per il mio concetto artistico dei Funk Off. Di fatto non mi sono inventato niente, le band funk lo hanno sempre fatto. Lo stesso si puo’ dire per le grandi Marchin’ Band americane tipo quelle dei colleges. La novita’ e’ che in questo caso viene fatto da una banda di soli strumenti a fiati e percussioni che suonano una musica di matrice black.
S.C.: Ci parli del Jazz Club of Vicchio?
D.C.: Il Jazz Club of Vicchio nasce nel 1997, soprattutto grazie a Nicola Cipriani che ne e’ tutt’ora il motore principale. A Nicola, che in quegli anni veniva a lezione di saxofono ed armonia da me, prese la fissazione del jazz in quegli anni ed io un pò per scherzo e un pò per davvero gli dicevo: “Ma perche’ non rifondiamo il Jazz Club of Vicchio? Si potrebbero fare dei concerti, organizzare delle cose…“.
Il Jazz Club of Vicchio era un jazz club che mio padre e mio zio misero su con i loro amici negli anni ’50. Si ritrovavano in un bar in Piazza Giotto a Vicchio che aveva diverse stanze dietro e avevano sistemato una di queste per sentire i dischi jazz che compravano un pò per uno. Nessuno di loro conosceva l’inglese e quindi tradussero “Jazz Club di Vicchio” in “Jazz Club of Vicchio”, italianizzando un pò goffamente. Come nome era troppo bello per lasciarselo scappare e quindi noi lo abbiamo mantenuto assieme al loro vecchio logo. Dopo una lunga presidenza di Nicola oggi del JCOV e’ presidente l’altro mio compagno di sezione baritoni, Giacomo Bassi.
S.C.: Mi dai una definizione sintetica di genere dei vostri quattro dischi?
D.C.: Direi che sono un percorso mio e della band. Sia a livello compositivo che esecutivo. Secondo me gli album sono molto diversi l’uno dall’altro e spero sia sempre cosi’. In “Uh Yeah” si sente l’energia, l’agitazione e se vuoi anche l’incoscienza della cosa nuova, dell’idea fresca che trova in qualche maniera una sua strada. Andando avanti c’e’ un pò piu’ equilibrio tra musica ed energia, piu’ arrangiamento, le strutture dei brani si fanno piu’ articolate ed interessanti. Per rispondere esaustivamente alla tua domanda direi che definizione sintetica di genere e’ una sola: Funk Made in Vicchio.
S.C.: Ma questa chiavetta per la Funkyfamily?
D.C.: Per rispondere a questa domanda ti devo parlare della Funkyfamily che e’ una nuova modalita’ di contatto che la Funk Off vuole instaurare con i propri “fans/amici”. La nascita della chiavetta e’ un modo per sollecitare la crescita della Funky Family. Gli utenti che si registrano con la chiavetta potranno inserire le loro gallery, i loro video, commentare i contenuti degli altri e avere a disposizione una serie di strumenti come la tag gallery, ascoltare in streaming una selezione dei brani della funkoff, vedere alcuni rough registrati alle prove, e stare in contatto con i componenti. Tutto cio’ sara’ al momento solo in streaming e l’uscita ufficiale e’ prevista nel periodo subito prima di Umbria Jazz Winter ad Orvieto. In breve sara’ uno spazio esclusivo per i Funk Off e i loro amici.