E’ un jazz ecumenico, angolare, quello che Fabrizio Bosso propone in “Tandem”, terzo capitolo discografico del suo contratto con Verve che recensiamo in anteprima, dopo l’a tratti quasi commovente “Purple” con lo Spiritual Trio e le “visioni” nu jazz di “Magic Susi” con Marco Moreggia. Esce ufficialmente il 4 novembre, anticipando di un giorno il quarantunesimo compleanno del trombettista torinese, ormai acclamato Re Mida del nostro jazz, e regalando la bonus track di Estate a chi lo acquisterà in versione digitale. L’ uscita dell’album è stata anticipata dal singolo Wide Green Eyes, una nuova ispiratissima composizione di Bosso, che coloro che lo hanno prenotato su iTunes hanno ottenuto in anteprima. Fa coppia con il leader (“un duo delle meraviglie”, si commenta già in rete), quel talento intrattenibile che è Julian Oliver Mazzariello, gia’ insieme a Bosso in tante altre avventure musicali in studio e live e qui atteso a una prova importante.
Prova che il pianista nato a Londra, ma con radici campane, centra in pieno, confermando una tecnica spaziosa, profonda, ma soprattutto un tocco, un suono, una capacità di ascolto, di senso poetico.
La track list è affascinante ma anche impervia, perché riproporre canzoni e temi grandi come Luiza di Jobim o Windmills Of Your Mind di Michel Legrand significa andare alla ricerca di chiavi interpretative all’altezza dei brividi di emozione che gli originali fanno provare. Bosso e Mazzariello, insieme sul tandem, fra salite e discese, con la naturale, immediata impellenza di chi è concentratissimo a macinare strada, sintetizzando inconscio e ragion pura come chiunque fa quando va di corsa sulla discesa ripida; con candore e, in fondo, semplicità (niente è più complicato che riuscire ad essere semplici, ha sentenziato qualcuno), riescono a declinare nuovi tempi – interstizi, rigogoli, ma valgono un tesoro – per quelle emozioni là.
Con l’approccio disarmato, a volte deliziosamente dixieland/bop della scatenata/dinoccolata tromba di Bosso, ormai maestro di stile indiscutibile e ferreo “director in music” (Have You Met Miss Jones – ci piace ricordare che Bosso ha suonato non solo con gli High Five ma anche con gli Italian Hot Five! ), gimcanando (si può dire?) attraverso la carica di spontaneità, quasi creaturale, che sorregge lo “scherzo” di Oh Lady Be Good, o lo stupore che pervade la You Don’t Know What Love Is iniziale, piena di riserbo e di meditazione, ma anche di impeto, di note altissime, lunghissime e drammatiche; grondando swing – sono originali, non c’è la pietra di paragone ma fa lo stesso, no? Anzi meglio così – in Dizzy’s Blues e in Goodness Precious, firmata da Mazzariello, una golosità per palati fini quest’ultima e probabilmente vertice creativo di tutta la raccolta.
Un discorso a parte meritano i featuring di Fabio Concato e della Mannoia, presenze “clamorose” eppure coerenti nel percorso artistico, peraltro sfaccetatissimo, di Bosso, le cui incursioni nel mondo della canzone italiana, che lo hanno poi portato fino alla ribalta di Sanremo, rimandano a cose già storiche come “Italian standards” con Paolo Di Sabatino, praticamente il suo secondo disco o giù di lì.
Gigi ci fa ritrovare un grande Concato, è un momento di intensità che Bosso e Mazzariello rendono perfetto con una scelta in simbiosi decisiva e significativa: quella di dipingere pennellate lievi sullo sfondo. E null’altro. Roma nun fa la stupida stasera, quella cantata da Manfredi nel’ 62 in modo impagabile, magico e impareggiabile, suggello di un’epoca definitivamente svanita, con la meravigliosa faccia tosta degli artisti geniali, cui rispondeva il coro femminile nella strofa di “lei” nel “Rugantino” originale; ecco, come immaginarsela arpeggiata da corde di spessore così diverse come quelle dell’interprete sensibile di Dalla e di Pino Daniele, di De Gregori e dei brasiliani?
Eppure, bastano le battute introduttive di tromba e piano a farci avvertire che il ponentino è un vento imprevedibile, prima ancora che malandrino, e basta l’ attacco della Mannoia, romana di Roma pari pari come l’interprete di Tanto pe’ cantà, a riaprire un conto che sembrava bello e pagato. Così, quando il canto commosso di Fiorella si ferma e parte l’assolo di Bosso si è ormai presi dal sospetto che Trovajoli, Garinei e Giovannini, immaginabilmente sornioni e lungimiranti, come con un patto in deroga, avessero già previsto tutto.
Jazz dalla portata universale, dicevamo all’inizio, dal dettato esperanto, a vocazione popolare un po’ nel senso che a questo aggettivo si dava negli anni Settanta quando, contraendolo, si diceva pop. Eppure questo è appunto, e in fondo null’altro, che jazz. E della più bell’acqua, cameristico, rigorosamente acustico.
A firma del musicista di jazz più noto al grande pubblico che l’Italia abbia mai avuto da vari anni a questa parte.
E dunque?
E dunque niente. Questo è un duo ma senza partita doppia, quella spetta ai ragionieri. Fabrizio e Julian Oliver vanno in tandem, lo abbiamo detto e lo ripetiamo, seguiti da un cagnolino immaginabilmente sornione e lungimirante anch’ esso – ma del resto vedi immagine di copertina, stile Verve appunto, quella dei tempi favolosi di Norman Granz – e quantunque le ruote della loro bici solchino sicure il terreno, loro mostrano beati la silhouette, tanto per rubare un’espressione, e cioè quella che la scrittrice Fred Vargas ha coniato per il suo antieroe di carta, Jean-Baptiste Adamsberg, di spalatori di nuvole.
Musicisti:
Fabrizio Bosso – trumpet
Julian Oliver Mazzariello – piano
Fabio Concato – vocals on #2
Fiorella Mannoia – vocals on #8
Brani:
01. You Don’t Know What Love Is
02. Gigi
03. Have You Met Miss Jones?
04. Wide Green Eyes
05. Dizzy’s Blues
06. Luiza
07. Goodness Gracious
08. Roma Nun Fa La Stupida Stasera
09. Windmills Of Your Mind
10. Oh Lady Be Good
11. Taxi Driver