BENNY GOLSON: Io sono leggenda…

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Compositore almeno quanto sassofonista Benny Golson e’ uno dei “grandi vecchi” dell’epoca d’oro del jazz. Attraverso la sua vita e la sua opera e’ possibile ricostruire quasi tutta la storia del jazz che va dagli anni Quaranta ai Settanta-Ottanta del Novecento. Si diceva di lui che, anziche’ comporre brani, scrivesse standard. E in effetti sono decine i suoi brani nel repertorio di ogni jazzista.
Golson nella sua carriera ha suonato davvero dappertutto. Fino ad arrivare ad eseguire il suo brano forse piu’ famoso, “I remember Clifford”, nella chiesa di San Tommaso a Lipsia sull’organo che fu di Giovanni Sebastiano Bach.


 


Il suo primo strumento fu il pianoforte che aveva nella casa di Philadelphia. I suoi zii lo suonavano e lui ne era affascinato. Comincio’ a prendere lezioni a 75 cent a settimana da Jay Walker Freeman. Era deciso a diventare un pianista, ma un evento avrebbe cambiato i suoi piani. Tutto accadde ad un concerto di Lionel Hampton. Il sipario si apri’, comparvero i musicisti, tutti vestiti allo stesso modo, le luci sugli strumenti. Poi l’assolo di Arnett Cobb su “Flying home” fece il resto. Aveva 14 anni e da quel momento esistette solo il tenore.


La madre lo sostenne economicamente in questa nuova avventura. Golson comincio’ ad ascoltare i dischi di Tex Beneke con Glenn Miller, di Bud Freeman ed Eddie Miller. Comincio’ a memorizzare gli assoli di Coleman Hawkins e di Lester Young. Ma chi lo colpi’ davvero fu il tenore di Don Byas. Aveva un suono potente ed una tecnica raffinata, che gli permetteva di giocare su intervalli ampi.


In quegli anni compagno di studi di Benny era il coetaneo John Coltrane, trasferitosi a Philadelphia dal North Carolina. Tutti i pomeriggi erano insieme a studiare sassofono. “I vicini avrebbero voluto ucciderci”, ricorda spesso Golson durante i suoi concerti.


Charlie Parker non lo entusiasmava. Anzi, un giorno decise di “investire” 10 cent in un jukebox per ascoltare un suo disco. I pezzi erano “Now’s the time” e “Billie Bounce”. Era la musica piu’ “strana” che avesse mai ascoltato.




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