Amirani Records non ha bisogno di tante presentazioni, così come Gianni Mimmo, l’uomo che vi sta dietro e che nel tempo ha forgiato il prezioso catalogo di questa etichetta quale refugium peccatorum di istanze sonore e voluttà creative in ammirevole equilibrio tra concettualità e spontaneità. Varata nel 2005, la creatura del sassofonista e produttore pavese (tra tante occupazioni anche esperto riparatore di strumenti a fiato) funge sia da atelier delle sue uscite discografiche sia da cantiere-laboratorio per progetti che coinvolgono artisti esteri e italiani all’insegna di stimolanti concepimenti nell’alveo della musica creativa più sottotraccia. A fronte di una cinquantina di titoli in catalogo (compresi cinque che rientrano però nella collana “Contemporary”) ci premuriamo qui di segnalare e raccontare le ultimissime pubblicazioni dell’etichetta, facendo però prima un piccolo salto indietro per recuperare due uscite meno recenti ma d’intriseco valore estetico, proprio perché accomunate dalla presenza di Gianni Mimmo e del suo straordinario sax soprano.
GRANULARITIES Scenes From A Trialogue
Amirani Records, 2016
Voto: 8/10
Granularities è la ragione sociale di un trio anglo-italiano d’eccezione che affianca il soprano di Gianni Mimmo ai corni di Martin Mayes e alle percussioni di Lawrence Casserley, quest’ultimo anche responsabile della parte elettronica per via di singolari alterazioni e modulazioni di segnale. Già sulla carta foriero di meraviglie, il progetto non smentisce affatto le attese interpretando in “Scenes From A Trialogue” una drammaturgia improvvisativa in tre atti, ognuno suddiviso in due “scene” e preceduto nell’ordine da un’apertura e due intervalli. Un totale di nove tracce (registrate a Chiltern Hills, in Inghilterra, con la supervisione di Matt Saunders) a comporre un dialogico sviluppo armonico, timbrico e tonale effettuato in assoluto “tempo reale”. Nelle salde mani dei tre musicisti il suono si dilata e contorce, evapora e si risolidifica, generando brano dopo brano diversificate casse di risonanza e atmosfere pregne di mutevoli “specificità”. Così dalle spettrali e quasi siderali figure di Overture si transita alle pigolanti e interlocutorie fasi di Act 1, Scene 1, per poi navigare le tra alte e basse maree di tono e timbro di Act 1, Scene 2. La grave e “granulare sintesi” espressa da Casserley ben si sposa con il fraseggio curioso, disinibito e dinamico di Mimmo, tanto da suggerire all’inglese interpolazioni sempre opportune e versatili mediante frequenze e onde sinusoidali che creano fondali laminati, acquorei e iridescenti. Più oltre il discorso assume connotati elettroacustici sempre più cangianti, costringendo ambient e rumorismi al limite della cacofonia in un fantasmatico recinto paracameristico (Act 2, Scene 1), concitazioni pneumatiche e alterazioni percussive in allucinate sospensioni nel vuoto, (Act 2, Scene 2), lasciando alle due scene finali del terzo atto un perverso ma eccitante gioco di chiaroscuri e turbolenze. Un epilogo che ribadisce non solo la qualità della proposta ma anche il calibro tecnico e la vulcanica inventiva del trio.
GIANNI MIMMO Prossime Trascendenze
Amirani Records, 2016
Voto: 8,5/10
Tutto un mondo creativo, che parte da Earl Brown, Morton Feldman e John Cage, passa per Jackson Pollock, Alexander Calder e Felice Casorati e giunge a György Ligeti, Karlheinz Stockhausen e Anthony Braxton, sembra chiamato all’appello e invocato dalla musica di “Prossime Trascendenze”. Attenzione però, i nomi appena citati sono appena una piccola parte delle influenze, esperienze e “trascendenze” tirate in ballo da Gianni Mimmo con questa validissima raccolta. A volerli quantificare, gli interessi e le intenzioni del Nostro scavalcano infatti ogni ovvietà. Sono passioni e sentieri che alimentano in modo interconnesso e costruttivo l’indagine e l’ispirazione del sassofonista nei meandri di una produzione che, capitolo dopo capitolo, si afferma sempre più logica, fertile ed eloquente. Di fruizione certamente non facile e immediata, l’opera rasenta tuttavia traguardi d’indubbia eccellenza. Realizzate da Mimmo tra il 2014 e il 2015, tutte le composizioni dell’album prendono vita da canoni e modelli tipici della graphic notation. Non solo, per un paio di esse (Daphne e The Nestled Thought) ispirazione e sviluppo partono dall’enigmatica iconicità femminile di due dipinti di Felice Casorati: “Daphne”, appunto, e “Donna sdraiata”. Entrambe eseguite da un sestetto che comprende Gianni Mimmo (soprano) Michele Marelli (corno di bassetto) Mario Mariotti (tromba in do), Angelo Contini (trombone) Benedict Taylor (viola) e Fabio Sacconi (contrabbasso), tali partiture catturano interesse sia per un amalgama timbrica elegante ma al tempo stesso serrata, sia per un astrattismo austero e ondivago che apre simultaneamente le porte del camerismo colto-sinfonico e quelle in cui si ritrovano ad agire insieme (trascinate da un’evidente sensibilità contemporanea) scrittura e libera improvvisazione. Tale dialettica genera colori tra il vivido e lo sfumato nei cinque brani multipli per quintetto (2014) affidati a una formazione del tutto diversa (anche strumentalmente) in cui ritroviamo Mimmo affiancato da Mario Arcari (corno inglese), Martin Mayes (corno francese), Alison Blunt (violino) e Marco Clivati (percussioni). Qui i nuclei sonori si distanziano maggiormente nella loro forma e sostanza, con motivi e ipotesi espressive sorprendenti soprattutto per quanto riguarda il lavoro di contrappunto del violino rispetto ai sentieri imboccati dai fiati. In questo disco il soprano di Mimmo suona anche più personale e originale, libero da influssi e approcci basati sulla lezione di Steve Lacy: qui la sua voce assertiva si rivolge ad altre tendenze e altre suggestioni, senza per questo risultare meno avvincente e importante.
SESTETTO INTERNAZIONALE Aural Vertigo
Amirani Records, 2017
Voto: 7,5/10
Ulteriore conferma delle ragnatele collaborative tessute dal sopranista è “Aural Vertigo”, album ascritto ad un Sestetto Internazionale in cui agiscono Gianni Mimmo (sax soprano), Harri Sjöström (sax soprano e sopranino), Alison Blunt (violino), Achim Kaufmann (piano), Veli Kujala (fisarmonica in quarto di tono) e Ignaz Schick (giradischi). Al di là dell’acclarata rinomanza e bravura degli interpreti la pubblicazione pone in risalto la propensione per insoliti accostamenti di strumenti in modo da sortire risultati espressivi e palette sonore quanto mai singolari. Nella fattispecie si tratta di due lunghe tracce registrate dal vivo nel corso di un tour finlandese che nel 2015 ha toccato sia Helsinki che Turku. Lungo l’ascolto le vertigini sonore suggerite dal titolo sono in effetti molteplici ed emergono all’improvviso offrendo in ogni momento occasioni di continua sorpresa. In entrambi i brani (Aural e Vertigo) suoni e armonie s’intrecciano in modo spontaneo e progressivo, un po’ sulla falsariga delle lunghe performance dei Necks. La differenza, come dicevamo, la fa l’interazione, non comune, di un giradischi e di una fisarmonica in quarto di tono con ance, violino e piano. Il puntillistico ruolo dei suoni gestiti e infilati da Schick nella trama ordita dagli strumenti ravviva con rumori, scratch e flussi sonori irregolari una narratività collettiva che transita da toni aspri e pungenti a temi melodiosi ricchi di pathos. In Vertigo il dialogo intrecciato da Mimmo, Sjöström e Kujala si scatena con grande maestria sul terreno di prassi impro-free, sospinte con modi garbati verso un iridescente camerismo neoclassico dal pianismo filigranato di Kaufmann e dal magistrale gioco d’archetto della Blunt. Incredibile poi il vortice caotico che emerge nella parte finale della composizione, un tuono d’energia che squarcia e sbilancia quanto congegnato in precedenza con meticolosa cura e inventiva. Ne consegue una musica polifonica circolare e dinamica, capace di fondere fisicità e astrattismo nel segno di una libertà espressiva e improvvisativa d’altissimo livello.
SZILÁRD MEZEI & NICOLA GUAZZALOCA Lucca And Bologna Concerts
Amirani Records, 2017
Voto: 7,5/10
Incontro inusuale anche quello tra il piano del bolognese Nicola Guazzaloca e la viola dell’ungherese Szilárd Mezei. Di Guazzaloca, prolifico pianista, compositore e docente formatosi sotto la guida di colossi della scuola di Chicago e New York quali Roscoe Mitchell, Muhall R. Abrahms, Anthony Braxton e William Parker, s’era apprezzato e lodato da più parti il precedente “Tecniche arcaiche”, album dal vivo per piano solo e oggetti pubblicato nel 2015 sempre su Amirani. Riguardo a Mezei possiamo dire di un musicista attivo da anni su più fronti e progetti personali, disseminati in una consistente discografia che lo vede talvolta alle prese anche con violino e contrabbasso. Tra la coppia il feeling era già scattato grazie all’album “Underflow” (Leo Records, 2011), in cui i due univano le loro forze a quelle del sassofonista italo-britannico Tim Trevor-Briscoe. Il nuovo “Lucca And Bologna Concerts” documenta invece il tandem in azione dal vivo in otto brani; quattro estratti da una performance lucchese del 2015 in seno al Counterpoint International Festival e altrettanti estrapolati dall’esibizione bolognese effettuata nel 2016 in occasione dell’Angelica Festival. Stante il fatto che l’ambito del confronto è quello della libera improvvisazione più assoluta, le otto tracce testimoniano come su questo stesso tavolo di gioco la coppia sparigli le carte normalmente a disposizione e getti assi vincenti a profusione, ottenendo in ritorno punti e risultati eclatanti. L’andatura complessiva delle quattro improvvisazioni lucchesi appare più vivace e a tratti tellurica, ritmicamente e armonicamente sostenuta da guizzi individuali, convergenze, botte e risposte mantenute su alte frequenze. Qui, ancora una volta, ascoltiamo Guazzaloca scandagliare le possibilità espressive del piano sfruttandone l’intera meccanica e struttura, sia quella esterna che interna (tasti, cassa, tavola armonica e cordiera). Mezei non è da meno e la sua sollecitazione dello strumento arriva anch’essa al limite sulla scorta di una tecnica da vero fantasista. Mantenendo lo stesso modus operandi, le quattro tracce bolognesi vedono invece la coppia penetrare nei meandri di una dialettica espressiva più sottile e ricercata, più variegata nell’alternanza tra pause radenti il silenzio ed intricate esplosioni di suono. Sfumature e dettagli che inglobano capacità davvero non comuni d’intendere l’esplorazione del suono, il reciproco ascolto e l’esercizio della creazione istantanea.
LUCA SEGALA LIBERTRIO La rete di Indra
Amirani Records, 2017
Voto: 7/10
Con “La rete di Indra” del Luca Segala Libertrio si rientra invece nei canoni dell’afroamericana più godibile e verace. Frutto di un’incisione milasese in studio del 2015, il disco in questione propone otto composizioni originali firmate dal sanremese Luca Segala (sax tenore) alla testa di un trio completato da Gianluca Alberti (contrabbasso) e Tony Boselli (batteria). La mescolanza di radici free, umori post-bop, slanci impro e motivi blues-swing innerva in modo fresco e accattivante la linea melodica delle singole tracce. La bontà della scrittura e dell’esecuzione già si apprezza dall’iniziale Tony’s Hungry, ipnotica danza poliritmica che insieme ai fraseggi melodici del sax offre un bel cono di luce al lavoro di contrabbasso e percussioni, qui istigati a gettare un solido ponte tra Africa e Medioriente come usavano fare i primissimi Masada di Zorn. L’emissione di Segala esprime timbri aciduli alternati ad altri di grana più limpida e nitida, proiettando così un cromatismo luminoso sull’ampia gamma di sonorità e ritmi apportata da Alberti e Boselli, ambedue messi sempre in condizione di farsi notare durante lo svolgimento dei brani. Al clima sperimentale e introverso di Acqua si contrappone quello sensuale e notturno de L’occhio di Nina mentre Little Suite e la finale Prendi i soldi e scappa aderiscono nello spirito della loro impostazione e struttura al frizzante e goliardico lessico della scuola olandese. Un disco fruibile ma per nulla banale, a dimostrazione che il catalogo Amirani non è solo ricettacolo di suoni e proposte che premono sulle meningi.
GIANNI LENOCI & FRANCESCO CUSA We Cats
Amirani Records, 2017
Voto: 8/10
Ultimissimo titolo Amirani pubblicato in catalogo (siamo al numero 52), “We Cats” sancisce l’incontro al vertice tra Gianni Lenoci (piano, anche preparato, e flauto in legno) e Francesco Cusa (batteria). Il musicista pugliese e quello siciliano hanno in verità background piuttosto dissimili ma in questa registrazione effettuata in studio a Monopoli si concedono l’uno all’altro al meglio delle loro capacità, conseguendo in modo facile ed esemplare un risultato finale degno di applausi. Qui il loro dialogo prende forma in un unico brano improvvisato per cinquantuno minuti di musica avvincente e proteiforme. La coppia parte in sordina, in modo circospetto, attendendo una scintilla creativa che non tarda ad arrivare. Cusa stuzzica nervosamente i piatti mentre Lenoci agisce tra tastiera e cordiera. Dopo il sesto minuto i due sono già a bordo, nella cabina di comando di un aeroplano che lentamente decolla tra accordi pieni, acciaccature, sfregamenti, note percussive e sbattimenti ritmici. Raggiunta una certa quota il volo resta orizzontalmente sospeso nel vuoto, cullato da una lieve inerzia microtonale. D’improvviso, al quindicesimo minuto, si affronta una moderata perturbazione atmosferica generata dal frenetico sovrapporsi timbrico e ritmico dei rispettivi strumenti. Un paio di minuti dopo torna la quiete. L’atmosfera è tersa, neoclassicamente rarefatta. Arriva quindi un pindarico crescendo di piano accompagnato da un intenso rollio percussivo. Il velivolo prende velocità ma segue una rotta folle e irregolare, rischiando a tratti di precipitare. I due piloti se ne accorgono e riprendono il controllo sui tempi pressanti di moderne variazioni impro-jazz. Dopo il trentesimo minuto spengono inspiegabilmente i motori, facendo vibrare il suono con labili rintocchi. Il viaggio riprende su motivi prima ripetitivi e poi istericamente sconnessi. La tastiera di Lenoci arde note su note, la batteria di Cusa accelera la loro combustione. Al quarantacinquesimo la conversazione diventa concitata, il velivolo risale in quota un’ultima volta. Il viaggio però volge al termine, la meta è all’orizzonte. Si plana e atterra dolcemente, cullati dall’infantile e impercettibile soffio del flauto. File under: impro aerodinamica.
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