WILLIAM PARKER: The Thin Black Line

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Tra mitologia e spiritualismo, tradizione e sperimentazione, quella di William Parker e’ “una sottile linea nera” tesa a congiungere due ombelichi del mondo della propulsione musicale: New York e Grande Madre Africa. Contrabbassista, polistrumentista, compositore, scrittore e autore di opere per teatro, danza e cinema, William Parker nasce il 10 gennaio 1952 nel quartiere del Bronx a New York. I suoi primi maestri sullo strumento sono Richard Davis, Wilbur Ware e Jimmy Garrison mentre come professionista la sua formazione prende il via nella vibrante scena “Loft Jazz” newyorkese degli anni Settanta, frequentando i mitici studi RivBea di Sam Rivers e il We in cui ha modo di suonare e incidere come sideman con Frank Lowe, Sunny Murray, Don Cherry, Billy Bang, Daniel Carter, Billy Higgins, Milford Graves e Bill Dixon. Nel 1974 pubblica il suo primo album in qualita’ di leader e compositore, Through Acceptance Of The Mystery Peace (autoprodotto e tirato in sole 500 copie con il marchio personale Centering, poi ristampato dalla Eremite nel 1998 e nel 2003), un settetto in cui figurano anche Billy Bang, Charles Brackeen e Jemeel Moondoc. Nello stesso anno incide con il Music Ensemble e suona per la prima volta con Cecil Taylor in un concerto tenuto alla Carnegie Hall dalla sua Big Band. Delle formazioni guidate dal rivoluzionario e leggendario pianista William Parker diventera’ un perno stabile nel corso degli anni Ottanta, ma nello stesso periodo contribuira’ in modo incredibile e ubiquitoso anche ai progetti e ai relativi album di Peter Bròtzmann, Peter Kuhn, Jimmy Lyons, Jemeel Moondoc e David S. Ware. Nel magico quartetto messo in piedi da quest’ultimo ha modo di conoscere il giovane ed emergente pianista Matthew Shipp, dei cui album e progetti Parker diventera’ nel corso degli anni (e fino a tutt’oggi) collaboratore chiave, condividendo inoltre l’altra fondamentale esperienza nei Note Factory di Roscoe Mitchell. Nella prima meta’ degli Novanta e parallelamente ad altri numerosi incontri, dischi e i sodalizi artistici (Roy Campbell, Charles Gayle, John Zorn, Derek Bailey, Collective 4tet, Ellen Christi, Joe Morris, Marco Eneidi, Laurence D. “Butch” Morris, Rob Brown) il contrabbassista emerge finalmente come leader e compositore a tempo pieno, dando vita al sestetto (poi quartetto) “In Order To Survive” e alla “Little Huey Creative Music Orchestra”, progetti ad ampio raggio creativo il cui ricchissimo spettro sonoro e concettuale sara’ brillantemente illustrato da album acclamati dalla critica quali In Order To Survive (1993), Flowers Grow In My Room (1995), Compassion Seizes Bed-Stuy (1996), Sunrise In The Tone World (1997), The Peach Orchard (1998), Posium Pendasem (1998), Mass For The Healing Of The Word (1998) e Mayor Of Punkville (2000). Ai primi anni zero risalgono invece le costituzioni simultanee del trio con Daniel Carter e Hamid Drake (che inaugura i lavori con l’album Painter’s Spring) e del formidabile “William Parker Quartet”, progetto in cui, oltre al fedele batterista Hamid Drake, il contrabbassista chiama a far parte il sassofonista Rob Brown e il trombettista Lewis Barnes. La convergenza di alte temperature free, cromatismi hard bop, umori e ritmi nordafricani e viscerali linee folk-soul-blues hanno subito reso il quartetto un vero e proprio marchio di fabbrica della peculiare e dinamica concezione musicale di Parker. Come nella musica di Mingus i temi spesso non sono separati dalle improvvisazioni. Gli assolo e le improvvisazioni collettive sono inseriti in una sovrastruttura compositiva che rende possibile la diversificazione senza la disgregazione dei costituenti. Spesso le composizioni realizzate da Parker per questo gruppo (come anche per la Little Huey Creative Music Orchestra) sono delle suite i cui vari mezzi espressivi (spesso eterogenei) vengono giustapposti e intrecciati. Altrettanto frequentemente capita che passaggi d’improvvisazione collettiva, fortemente agitati e liberi, si risolvano in temi pregni di equilibrio e gusto melodico e dove i cambi di tempo e di ritmo producono una gran varieta’ di contenuto emotivo. Ci si puo’ rendere conto di cio’ in album brillanti realizzati da Parker con questo organico quali O’Neal’s Porch (2000), Raining On The Moon (del 2003, dove la formazione si amplia a quintetto con la vocalist Leena Conquest) e soprattutto con lo splendido Sound Unity del 2005, tra i vertici artistici dell’ultimo William Parker, che in veste di sideman e co-leader ha aggiunto al suo nutrito carnet di collaborazioni quelle con Anthony Braxton, Milford Graves (insieme a lui cointestatari del bellissimo Beyond Quantum pubblicato lo scorso anno dalla Tzadik), Mat Maneri, Frode Gjerstad, Alexandre Pierrepont, Mike Ladd, Eri Yamamoto e Tony Malaby. Tra le sue ultime produzioni il progetto recital dedicato a Curtis Mayfield insieme al poeta Amiri Baraka, il doppio quartetto per il disco Alphaville Suite ispirato all’omonima pellicola di di Jean Luc Godard (2007) e gli album Corn Meal Dance, Summer Snow (2007), Double Sunrise Over Neptune e Petit Oiseau (2008), mentre di recentissima pubblicazione sono Live At Dunais (in duo con la contrabbassista Joelle Leandre) e Washed Away (in trio con la pianista francese Sophia Domancich e Hamid Drake).


 




Se come scrittore, poeta e teorico Parker ha affidato le sue acute riflessioni a diversi saggi e libri quali “Music And Shadow People (divenuto anche una piece teatrale), “The Mayor Of Punkville”, “Documentum Humanum” e “Who Owns Music”, il suo intenso attivismo sul fronte della divulgazione e diffusione delle arti e dei suoni sperimentali, considerati dal punto di vista prospettico della cultura e della tradizione afroamericane, si riflette dal 1994 ad oggi nell’ideazione, organizzazione e direzione (principalmente in collaborazione con la consorte Patricia Nicholson Parker, danzatrice e coreografa) del Vision Festival di New York, tra le piu’ importanti e rilevanti kermesse mondiali per quanto riguarda l’avant jazz e altre espressioni artistiche collaterali (danza, letteratura, cinema, teatro, installazioni, arti grafiche e visive). Tale vastita’ di interessi coincide e si amalgama perfetttamente con il pensiero e la concezione musicale a tutto tondo di William Parker, da sempre riluttante a giocare il semplice ruolo di musicista venerato e affermato nel circuito spesso ghettizzato dell’afroamericana “alternativa” o “free radical chic”. Perche’ se da un lato per Parker e’ importante mantenere liberta’ d’azione e trovare una naturale corresponsione nei principi estetici e programmatici che animano e influenzano le attivita’ delle piu’ affermate e valide etichette discografiche indipendenti del settore (Aum Fidelity, Thirsty Ear, Black Saint, Soul Note, Eremite, Roaratorio, Cadence, Hat Hut, Splasc(h), Ayler, Leo, Silkheart, Delmark, FMP, Enja, Rastacan, Tzadik, DIW, Avant, Boxholder, Okka Disk, Victo, Rogue Art, Clean Feed, tutti marchi nel cui catalogo si possono rintracciare i segni della sua produzione come leader e non), dall’altro il suo impegno civile, sociale e intelletuale sul fronte dei diritti e delle rivendicazioni del popolo nero (integrato a un pacifico e costruttivo messaggio multirazziale e interculturale) lo conducono a non rigettare alcun mezzo e canale espressivo che possa rendere la sua musica piu’ incisiva, condivisibile e aggiornata secondo lo spirito e i problemi reali dei tempi correnti. Concepiti partendo da questi punti di vista, i progetti e le composizioni di William Parker hanno spesso e volentieri inglobato messaggi scritti e testi cantati o declamati, non solo per meglio comunicare e sensibilizzare, ma anche per riconciliare il linguaggio del free o dell’avant jazz con la vecchia tradizione orale del blues, del gospel e del folk di matrice afroamericana, una fusione, quella tra suono e parola, “outing” e musica, a cui le nuove correnti jazz e l’afroamericana improvvisata degli ultimi vent’anni (con l’unica eccezione, oltre a Parker, di Steve Coleman) hanno troppo spesso rinunciato in barba alla lezione di seminali figure “polemiche”, “antagoniste” e “ribelli” del secolo scorso quali Charles Mingus, Sonny Rollins, Max Roach, Albert Ayler e Archie Shepp o di enclavi della black music altrettanto battagliere quali l’AACM di Chicago e il BAG di Saint Louis. Va tuttavia precisato che l’impegno civile e politico di Willliam Parker per la comunita’ di colore ha acquistato con il tempo un carattere piu’ realista, superando i tipici temi razziali dell’orgoglio, della frustrazione e della vulnerabilita’ per rivolgersi invece a uno spiritualismo etico e filantropico interazziale, per l’essere umano in se’ e per se’, spiritualismo che trae forza vitale tanto dalle radici culturali e musicali dell’Africa quanto dal messaggio “militante” di figure e artisti chiave quali Amiri Baraka, Curtis Mayfield, Marvin Gaye, e Miriam Makeba. In modo meno ascetico rispetto ad altri dichiarati spiritualisti che hanno segnato l’era del free di ieri edi oggi (John Coltrane, Albert Ayler, Pharoah Sanders, Charles Gayle e David S. Ware), William Parker si interroga e cerca di fornire delle risposte pragmatiche sul ruolo odierno dell’artista e sulla funzione della musica (e delle arti in generale) in qualita’ di agenti e strumenti deputati non solo al soddisfacimento di piaceri estetici ed intellettuali ma anche e soprattutto al cambiamento e al rinnovamento interiore in favore del singolo e della collettivita’. Cio’ spiega anche il fatto che essendo stato spesso interrogato sul tipo di musica che suona e crea, Parker abbia piu’ volte sorprendentemente negato che si tratti di jazz (free, avant o di qualsiasi altro tipo), affermando piuttosto, in maniera netta e decisa, che si tratti di una lega costituita da “black music”, “world music”e “cosmic music”.


 




Nel piu’ recente e corposo Book Of Sound, William Parker mischia ulteriormente le carte del suo proverbiale eclettismo sonoro con un repertorio consistente ed esteticamente multisfaccettato, una summa di influenze, esperienze, ricordi, suggestioni, omaggi e dediche (a bambini e ai caduti in guerra nel mondo, a Miriam Makeba, Albert Ayler, Jackie Mclean e Barack Obama) che nella forma canzone e nelle godibilissime trame iperacustiche del suo nuovo Chamber Trio (progetto di recente costituzione, non ancora documentato da alcuna registrazione ufficiale) trova la strada piu’ congeniale per sollecitare insieme la tradizione colta occidentale e quella piu’ ancestrale e spirituale africana, la popular black music e la libera improvvisazione afroamericane. Composizioni dai colori materici e avvolgenti in cui il contrabbassista del Bronx contrappunta il lirismo denso, percussivo e obliquo della giovane pianista nipponica Eri Yamamoto anche con strumenti etnici tradizionali quali kora e flauti di bambu’, sottolineando ancor di piu’ le fascinose e raffinata performance vocali e i passi di danza della strepitosa cantante e ballerina texana Leena Conquest.


 


 


 


 




Links:


William Parker : www.williamparker.net


William Parker Sessionography: www.bb10k.com/PARKER.disc.html

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