PAOLO ANGELI ad OfficinaMusica 2012, ovvero di miracolose moltiplicazioni

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Ieri, invitato ad un concerto, avevo deciso di aderire con la curiosita’ (piuttosto delle aspettative) che deve sempre accompagnare un nuovo incontro con la musica. E invece, all’improvviso mi ritrovo ad assistere nientedimeno che al… Miracolo della moltiplicazione! L’evento (e quale evento piu’ evento di un miracolo?) e’ annunciato, con tanto di pensiero e passione, da un Olindo apostolico che illustra il primo passo di un coraggioso cammino verso una nuova, piccola terra promessa per l’arte nell’apparente deserto campano.


 



Si abbassano le luci. Si comincia. Ed ecco che appare un personaggio sorprendente: non ha proprio l’aspetto di un homo technologicus o di un etnomusicologo che ci si attenderebbe (entrambi i titoli professionali sono comunque rigorosamente reali), quanto piuttosto di un molto singolare pescatore che, a sentirlo parlare, quando abbandona periodicamente gli impegni musicali per tornare ai ritmi naturali della terra sarda d’origine, e’ anche cacciatore di funghi di orientamento “primordialista” (chissa’, magari qualcuno lisergico l’avra’ pure beccato accidentalmente) dall’evocativo nome di Paolo Angeli. L’aria strampalata, un pò persa, quasi clownesca, aderente maglietta striata bianco e blu, tra certa pittura oleografica e la vaga citazione della storica divisa dell’amico-maestro Metheny, a piedi scalzi, si siede (sorriso impacciato o strafottente?) e con gesto imprevedibile s’arrotola il generoso pantalone da tai-chi fino al ginocchio. Il mio venerando portatile cerebrale mi conferma: deve essere proprio un musicista-clown, un discepolo di Jean-Baptiste Thierre’e del Circo immaginario, un papabile candidato per  lo scoppiettante quartetto francese de Le Quatour o almeno per la Banda Osiris, sua prole d’oltralpe!  E la sensazione permane quando lo vedo imbracciare la sua canna da pesca dall’apparente forma chitarroidale ed immergere, quasi tentennando, i piedi nell’acqua (non si vede, pero’ sara’ freddina).


 



Dev’esserci un mare molto ricco da quelle parti se il pescatore sardo con la sua canna magica continua a tirar su perle sonore e varieta’ di flora e fauna acquatico-musicali di ogni tipo: assoli di chitarra rock anni ’70 con tanto di distorsore, sonorita’ ora africane o arabeggianti, ora balcaniche o orientali si incrociano con teutonici rumori cosmici; seducenti fantasie ispaniche e melodiche riletture di canzoni Bjork si accompagnano a sconfinamenti nei territori minimalisti di certa avanguardia musicale del Novecento (c’e’ anche una composizione di Fred Frith); improvvisazioni di impronta jazzistica si alternano a complicati e virtuosi arpeggi acustici alla Robert Fripp – si sente in alcuni brani la struttura compositiva “per addizione” tipica delle frippertronics e di certi “paesaggi sonori” (soundscapes) di Brian Eno – per poi finire in esplosioni punkeggianti. Ma ci sono anche delle soste: pause e silenzi che, non lo si dimentichi, sono parte integrante della musica.


 


 



 


 



Angeli esegue varie suite, come lui stesso le definisce, che si presentano ognuna come viaggio senza alcuna meta stabilita dove, grazie al raccolto spazio scenico di “OfficinaMusica”, il pubblico gioca il suo vitale ruolo dialogico con la propria intimita’ ed attenzione. Ed ecco che l’archetto di quella che si e’ battezzato – con nome forse un pò troppo gastronomico – come “chitarra sarda preparata” vola, striscia, sfiora, vibra, percuote, sfrigola sulle innumerevoli corde e sulla cassa esplorando ogni elemento di uno strumento geneticamente modificato, nel cui DNA sono pero’ ancora rintracciabili i codici linguistici del folk sardo con le risonanze dei sonos e dei canti a tenores.


 



Tra un’esecuzione e l’altra il pescatore dell’Oceano della Musica parla, commenta, interloquisce col pubblico. Ma c’e’ un’ulteriore sorpresa: canta anche. E lo fa bene, con una bella voce, precisa e decisa che in qualche tratto ho avuto l’impressione abbia eseguito anche qualche diplofonia (due suoni emesse simultaneamente). E qui ha pescato direttamente dal repertorio rituale religioso delle antiche misteriose tradizioni della sua isola d’origine.  Tuttavia sono solo tappe. Per lui, che oggi vive prevalentemente a Barcellona, un piccolo ritorno a salutare i parenti a casa.


 



Il viaggio riprende. La canna-chitarra con i suoi infiniti timbri, voci, effetti si trasforma e si moltiplica senza sosta. Come in un vasto mare, la musica si riflette e si riproduce. Attraversando tutte le distanze, superando barriere geografiche e culturali, confini di tempi e di generi, sfuggendo ad ogni appiattente tentazione classificatoria. Si spinge per brevi tratti fino agli abissi dell’atonalita’, dell’improvvisazione pura. E’ il regno di Nettuno ma anche quello di Proteo: il suono-oggetto ora e’ un corposo contrabbasso ritmico (bellissimi gli armonici), ora un melodioso violoncello il cui ricciolo campeggia sontuoso ed elegante sulla paletta della chitarra, ora un sitar con le sue lunghe vibranti risonanze, ma anche, incredibilmente, perfino una batteria di timpani o forse di tamburi esotici. Se solo socchiudi gli occhi hai la sensazione che la stessa immagine del musicista si sia sdoppiata in una figura sfocata, translucida che si sta separando dal suo corpo. E chissa’ se e’ solo l’effetto dello sguardo obliquo tagliato in due dalla parte superiore dei miei occhiali prog.


 



Ma, come se cio’ non bastasse, all’occorrenza ci sono anche i rinforzi: casuali oggetti sottratti al loro utilizzo funzionale inseriti e spostati, prima di essere buttati letteralmente via, per modificare i suoni gia’ multiformi partoriti dalla chitarra-non-chitarra, note prodotte manipolando frequentemente, “a volo”, oltre ai vari comandi della console, persino i cavicchi (o bischeri, che dir si voglia) adibiti all’accordatura dello strumento. Per non dire della doppia pedaliera, utilizzata – oltre che per azionare gli “effetti” elettronici sulle voci – in parte come quella della tradizione organistica colta, con frequente ricorso al basso ostinato (tecnicamente, se ho ben intuito, uno dei pedali “memorizza” in continuo l’ultima nota piu’ grave suonata), ed in parte per richiamare l’accompagnamento strumming di una chitarra acustica.


 



Benche’ l’originalita’, la magistrale ingegnosita’ e la storia stessa del particolare strumento (che vanta, come noto, l’amichevole adozione di Pat Metheny) realizzato da Angeli potevano rischiare di ridurre la fruizione del concerto-evento a semplice spettacolo, esibizione, “mostra” sonora, in nessun momento si e’ avuta l’impressione che protagonista della serata fosse solo lei, la chitarra sarda preparata. Tanto meno che quel metissage linguistico mostrasse seppur lontanamente parentele con certe esperienze di contaminazione artificiale, da laboratorio, del tipo Gotan Project, per intenderci, col loro sapore plastificato.


 



No, perche’ in questa musica qui c’e’ l’anima, il Panis Angelicus che si fa pane per le orecchie affamate di chi vuole ascoltare. E perche’ Paolo Angeli – che ieri sera per la quasi totalita’ di noi spettatori e’ stato una scoperta, benche’ abbia all’attivo gia’ sette album noti forse piu’ all’estero che da noi – e’ un vero comunicatore, un arti/sta in senso duplice – usa contemporaneamente tutti e quattro gli arti, generando ritmi segnati da energici colpi di tallone sulla pedana o, altrove spazzolando, come in un delicato accompagnamento da jazz ballad, i piedi nudi su sacchetti di plastica – un musicista e compositore appassionato, ma anche un uomo con uno spiccato senso autoironico che quando gli parli a fine concerto avverti subito come un’anima rimasta semplice, “sincera”, differente, spinta profondamente solo dalla voglia di conoscere e comunicare con la musica, al punto che, come ha ripetuto durante il concerto, quando comincia ed il pubblico condivide, non smetterebbe mai di suonare.


 



OfficinaMusica “Contaminazioni e altri suoni” 2012


Officina Teatro, San Leucio (Caserta)


Martedi’ 13 Novembre 2012


 



PAOLO ANGELI “solo”


chitarra sarda preparata

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