Drifters / Love Is The Devil

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Fatevi un bel regalo, gente, ficcatevi nelle orecchie il nuovo doppio album di Alex Zhang Hungtai aka Dirty Beaches e lasciatevi trafiggere la corteccia cerebrale dal rockabilly mutante e spettrale di questo genietto taiwanese con passaporto canadese. “Drifters / Love Is The Devil” è la seconda uscita in chiave “maggiore” dopo il sorprendente “Badlands” del 2011, due titoli che si divincolano da un produzione “minore” copiosa e avventurosa, fatta di cassette autoprodotte, singoli su vinile, CD-R, compilazioni, colonne sonore e “split release” in edizione limitata. La prolificità di Zhang Hungtai va di pari passo alla sua inarrestabile foga di sperimentare incroci sonori e culturali all’insegna di un’austera e sotterranea “bassa fedeltà”, lì dove un’esotica ripetitività di matrice “Post Punk” e “Kraut-Pop” sposa il sex appeal di Elvis Presley, il cavernicolo e deviato suono dei Cramps e l’allucinato verbo “No Wave” forgiato da DNA e Suicide.

 

Le influenze e i dettagli appena sottolineati rappresentano, tuttavia, solo il lato più evidente e riconoscibile dell’alchimia sonora brevettata da Dirty Beaches. Coadiuvata anche dai titoli, la sua musica aspira, infatti, ad una intercontinentalità senza confini, accogliendo nel proprio grembo radici americane e africane, ritualismi e motivi asiatici, decadenti suggestioni mitteleuropee. Ciò spiega anche la doppia natura dell’opera, per metà vocale e per l’altra metà completamente strumentale, lasciando, anzi, a quest’ultima il compito di investigare inquietanti e dolenti scenografie “noir ambient” che sembrano spesso rifarsi all’estetica cinematica di David Cronenberg, John Carpenter e David Lynch. Pur muovendo dal sottosuolo, il raggio d’azione di “Drifters / Love Is The Devil” è perciò davvero ampio e consistente. Il canto deformato e schizofrenico, licenzioso e brillantinato, mutua tanto dal registro Fifties di Roy Orbison ed Elvis Presley quanto da quello Eighties di un drogatissimo Alan Vega travestito da Bruce Springsteen.

 

Limiti e difetti dell’autoproduzione più estrema e della strumentazione a più basso costo, trovano in brani quali Night Fly, I Dream In Neon, Belgrade, Elli, Casino Lisboa, Mirage Hall e Landscapes In The Mist sepolcrali esercizi di blues-rockabilly in salsa elettronica, sfregiate coregrafie disco-funk accompagnate ad alienanti scenografie jazz-industrial, orrorifici riverberi surf-rock tumulati in arcaiche e misteriose danze orientali. Suoni, ritmi e voci “trash-zombie” che provengono da squallidi ed oscuri bassifondi, desolati e sperduti come spiriti dannati che cercano nel livido soffio di una tromba alla Chet Baker (Greyhound At Night), negli accordi malinconici e minimali di un piano, di un organo e di una chitarra fantasma (This Is Not My City, Alone At The Danube River, Berlin) una vana speranza di redenzione e consolazione.

 

 

Voto: 8/10

Genere: Alternative Lo-Fi / No Wave / Rockabilly / Synth-Pop

 

 

Musicisti:

Dirty Beaches – vocals, guitar, trumpet, electronics, delay, loop pedals, piano, keyboards

 

 

Brani:

Drifters:

01. Night Walk

02. I Dream In Neon

03. Belgrade

04. Casino Lisboa

05. ELLI

06. Aurevoir Mon Visage

07. Mirage Hall

08. Landscapes In The Mist

 

Love Is the Devil:

01. Greyhound At Night

02. This Is Not My City

03. Woman

04. Love Is The Devil

05. Alone At The Danube River

06. I Don’t Know How To Find My Way Back To You

07. Like The Ocean We Part

08. Berlin

 

 

Links:

Dirty Beaches

Zoo Music