Yiddish Melodies In Jazz

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A differenza della letteratura e del teatro in lingua yiddish, che già alla fine del ‘700 avevano iniziato ad assumere una propria identità culturale, la musica klezmer ha raggiunto solo nell’ultimo scorcio del XX secolo una sua dichiarata dignità artistico-formale, cessando così d’essere l’ultimo anello di congiunzione mancante alla catena che rappresenta il ricco e fervido ambito d’espressioni radicate nella cultura ebraica. Ciò che sembrava esser andato completamente distrutto per via dell’Olocausto e dei progrom staliniani rinacque inaspettatamente per mano di quei musicisti ebrei che riuscirono a riparare negli Stati Uniti. Qui essi arrichirono il loro partrimonio musicale dai forti accenti melodici tzigano-balcanici con elementi presi in prestito da generi e stili musicali fondamentalmente occidentali quali il country, il rhythm ‘n’ blues, il fox-trot, il rock ‘n’ roll, e soprattutto il jazz.

 

Il ritmo del klezmer non s’inserisce facilmente nel tempo dei 4/4 e non è un caso fortuito il fatto che una volta emigrati in America molti musicisti ebrei si siano trovati più a loro agio avendo a che fare con il sofisticato idioma del jazz (vedi tra tutti il famoso clarinettista Benny Goodman). Inoltre la musica klezmer predilige l’improvvisazione e solo in rarissimi casi si affida alle partiture scritte (i vecchi klezmorim non sapevano affatto leggere il pentagramma). Lo stile ornamentale, tipico del klezmer, richiama poi alla memoria alcuni lineamenti cari al Barocco e certamente l’intera gamma improvvisativa e quasi teatrale di un abile klezmorim, chaimata in gergo “Dreydleskh” e “Shleyfer”, rende palese tale influsso, sebbene non ci sia alcun trattto estetico in grado di avvalorare questa ipotesi.

 

Questo lungo ma necessario cappello introduttivo serve a sottolineare l’importanza di un disco come “Yiddish Melodies In Jazz”, non solo il secondo album consecutivo di Gabriele Coen nella prestigiosa collana “Radical New Jewish Culture” del catalogo Tzadik ma anche e soprattutto un lavoro prezioso e sofisticato, che alza ambiziosamente la posta in gioco all’interno di un discorso estetico, qual è quello promosso da Zorn in questa speciale sezione, che spesso ci ha abituato a una manipolazione della musica ebraica e del klezmer dal carattere assai spegiudicato e avanguardistico. Con quest’opera, infatti, il sassofonista e clarinettista romano parte da un selezionato discorso filologico di materiali e motivi sonori tradizionali del klezmer confluiti miracolosamente nel repertorio jazzistico più mainstream e popolare del Novecento Americano, offrendone una rivisitazione creativamente snella, singolare e contemporanea, avendo anche come scopo quello di far riemergere lo spirito delle radici, dello swing e del blues ebraico originale dal quel processo musicale di grande ibridazione e integrazione. Ciò spiega anche la scelta di reintitolare in lingua yiddish titoli di brani e composizioni ribattezzati in inglese e interpretati da grandi personaggi e artisti quali Benny Goodman, Nick La Rocca, Ella Fitzgerald, Billie Holiday, Mickey Katz e Shelly Manne.

 

La freschezza e l’originalità del repertorio proposto (in cui figurano due soli brani originali firmati dal leader; Jewish Five, dai caratteri marcatamente jazzistici e Mazal Tov From Tobago, influenzata da climi e ritmi caraibici nel segno e nello stile assai speciale del pianista Irving Fields) si riscontra già nella traccia iniziale, Bublitcki (1938), remake di Benny Goodman del brano Beygelekh di Abe Schwartz, contrassegnata da un ipnotico e sofisticato ritmo “drum ‘n’ bass” che sboccia nella vertigine nervosa e armonica intessuta da piano, sax e chitarra elettrica. Ancora ad Abe Schwartz si deve Di Grine Kuzine (nota all’epoca come My Little Cousin), un jazz-blues introdotto da una marcetta tradizionale che il bravissimo chitarrista Lutte Berg fa pendere dalle parti acidule e sbilenche di Marc Ribot, mentre il clarinettto di Coen accompagna, vivacizza e sottolinea il tutto in modo ironico e sornione. Si prosegue con il prologo del contrabbasso e i tratti pianistici (spigliati e ricercati) di Liri, dove comunque il clarinetto del leader la fa ancora da padrone, com’è opportuno che sia in un genere come il klezmer, la cui contagiosa allegria e frenesia swingante, stettamente imparentata con quella delle prime formazioni dixieland, si sprigiona nella favolosa Yosel Yosel. Un bel lifting moderno, di carattere coltraniano, è operato anche su Yiddish Mame, struggente e malinconica composizione che esalta lo spirito folk e l’anima blues dell’Est europeo. Resta da dire solo di Leena From Palestina (1920), una delle tracce più intriganti e riuscite del disco, intelligentemente posizionata come titolo di coda di un’operazione storico-estetica tanto preziosa, avvincente e strumentalmente esaltante quale certamente è “Yiddish Melodies In Jazz”, elegante esempio di come si possano efficacemente erigere ponti culturali e musicali tra passato e presente

 

 

Voto: 8/10

Genere: Creative Music / Modern Jazz / World-Folk-Blues

 

 

Musicisti:

Gabriele Coen – soprano sax, tenor sax, clarinet

Pietro Lussu – piano

Lutte Berg – electric guitar

Marco Loddo – double bass

Luca Caponi – drums

 

 

Brani:

01. Bublitcki

02. Di Grine Kuzine

03. Liri

04. Jewish Five

05. Yosel Yosel

06. Der Shtiler Bulgar

07. Bei Mir Bist Du Schoen

08. Mazal Tov From Tobago

09. Yiddish Mame

10. Leena From Palestina

 

Links:

Gabriele Coen

Tzadik Records