Ad agosto di quest’anno Brad Mehldau festeggera’ quarant’anni, diciassette dei quali impiegati a diventare uno dei maggiori interpreti ed esegeti del piano jazz su scala mondiale, soprattutto (ma non solo) nella canonica formula in trio. Il suo percorso artistico e’ stato tanto intenso quanto prolifico, anche discograficamente parlando. Tappe bruciate con caparbieta’ e applicazione, apertura mentale rispetto ai generi e un’inconsueta logorrea critico-saggistica sulla propria e altrui produzione musicale. In quanto a successo, risultati e riconoscimenti, il pianista statunitense sarebbe gia’ a meta’ dell’opera ma intanto sigilla il traguardo della sua prima (e precoce) maturita’ artistica con un doppio album destinato sicuramente a divenire un caposaldo della sua discografia nonche’ uno dei titoli caldi per le playlist jazz di fine anno.
Da basi piu’ complesse e premesse diverse, Highway Rider riparte giusto li’ dove s’era fermato il discorso esteticamente trasversale di Largo, l’album del 2002 con cui Mehldau si affermo’, al pari di Esbjòrn Svensson, fautore di un jazz creativo, sincretico e visionario, aperto alle suggestioni del pop e del rock come pure alle sonorita’ e alle strumentazioni elettroniche. Adesso come allora e’ il produttore e compositore Jon Brion l’uomo chiave della situazione, colui che filtra con successo le idee e i “desiderata” artistici di Mehldau, suggerendogli il “modus operandi” piu’ ottimale per esprimerli sul piano formale e strutturale.
E cosi’ il Mehldau solista e improvvisatore si affianca a quello compositore e arrangiatore, pervenendo con questa interpolazione di ruoli a un felice controllo dei propri mezzi e dei suoi piu’ assidui collaboratori. Tra questi (la sezione ritmica del suo trio rinforzata dal batterista Matt Chamberlain) e una nutrita schiera di orchestrali diretta da Dan Coleman spicca la presenza del sassofonista Joshua Redman, sodale ritrovato e datore di lavoro dei primi anni di carriera, che con un elegante discorso dialettico con la tastiera del leader e un formidabile linguaggio individuale sigla lo spessore narrativo e l’affascinante qualita’ immaginifica di molti ottimi brani dell’album, soprattutto in Don’t Be Sad, nella solare The Falcon Will Flay Again, nell’esotica e ritmata Capriccio, nella cantabile Sky Turning Grey e nel bellissimo colloquio per solo tenore e piano di Old West.
Con Highway Rider Mehldau attinge ispirazione da due secoli di storia musicale (le influenze sono ben dichiarate dal Nostro nelle dettagliate “linear notes” che accompagnano il disco), avvicinando al jazz di ieri e di oggi l’impressionismo colto-contemporaneo e il romanticismo classico europeo, la cantabilita’ della forma canzone pop alla dimensione visiva delle colonne sonore cinematografiche. Un esperimento ambizioso e poderoso, attuato tramite un processo creativo tutto dal vivo che da’ ugual spazio spazio a scrittura e improvvisazione. In tal modo e attraverso varie combinazioni e possibilita’ (dal piano solo al quintetto, con e senza orchestra) il pianismo lucido e tecnicamente superbo di Mehldau emerge sul campo con una ricca tavolozza di accenti e colori, mediando tra la libera astrazione improvvisativa e la turgida sensualita’ swingante del jazz, tra il moderno magnetismo cinematico e l’elegante compostezza della musica classica.
Non e’ azzardato, infine, affermare che al pari di Secret Story per Pat Metheny e Have A Little Faith per Bill Frisell, Highway Rider rappresenti per Brad Mehldau un avventuroso viaggio su un’autostrada musicale a multipla corsia estetica, nonche’ la prova inequivocabile del suo modo originale ed eclettico di rinverdire la duttilita’ infinita del jazz nell’alveo della tradizione classica e della moderna canzone popolare.
Voto: 8/10
Genere: Modern – Orchestral Jazz / Classical, Contemporary
Musicisti:
Brad Mehldau- piano [CD1:1-5, 7; CD2:1-6, 8], pump organ [CD1:2; CD2:3], Yamaha CS-80 [CD1:4], orchestral bells [CD1:7; CD2:1, 8]; handclaps [CD2:2];
Jeff Ballard – percussion [CD1:1, 5; CD2:2], snare brush [CD1:2], drums [CD1:7; CD2:1, 4, 6, 8]; handclaps [CD2:2];
Joshua Redman – soprano sax [CD1:1, 5; CD2:2, 8], tenor sax [CD1:2, 7; CD2:1, 3, 5]; handclaps [CD2:2];
Larry Grenadier – double bass [CD1:2, 4, 7; CD2:1, 3, 4, 6, 8]; handclaps [CD2:2];
Matt Chamberlain – drums [CD1:2, 4, 5, 7, 8; CD2:2, 3]; handclaps [CD2:2];
Orchestra with Dan Coleman – conductor [CD1:1, 2, 6, 7; CD2:1, 7, 8];
The Fleurettes – vocals [CD1:5]
Brani:
CD1
01. John Boy
02. Don’t Be Sad
03. At The Tollbooth
04. Highway Rider
05. The Falcon Will Fly Again
06. Now You Must Climb Alone
07. Walking The Peak
CD2
01. We’ll Cross The River Together
02. Capriccio
03. Sky Turning Grey (For Elliott Smith)
04. Into The City
05. Old West
06. Come With Me
07. Always Departing
08. Always Returning
Links:
Brad Mehldau: www.bradmehldau.com
“Highway Ryder” linear notes: www.bradmehldau.com/writing/papers/highway_rider.html
Nonesuch Records: www.nonesuch.com