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Quasi fossero gli inviati speciali di un “Chi l’ha visto?” del jazz “out of borders” gli Heliocentrics scovano e ripropongono all’attenzione delle masse un altro originale e “dimenticato” maestro, fautore dell’incontro tra improvvisazione e sonorita’ orientali. Importanti e fondamentali quanto quelle di Don Cherry e Tony Scott, l’opera e l’influenza del californiano Lloyd Miller afferiscono un discorso di ricerca e rigoroso studio sul campo della tradizione persiana, con un contestuale abbraccio a quelle culture musicali islamiche, mediorientali e centroafricane che vi stanno dentro oppure a latere.


 



Nato a Glendale nel 1938, tra la prima infanzia e la gioventu’ Lloyd Miller studia piano, clarinetto e fisarmonica, seguendo principalmente l’esempio e le lezioni della madre (pianista e banjoista dilettante) e del padre (clarinettista professionista). I suoi primi passi come musicista sono nel solco della tradizione di New Orleans e di maestri quali George Lewis, Johnny Doods e Jimmy Giuffre. Nel 1957 Miller si trasferisce insieme alla famiglia in Iran per un anno ed e’ li’ che scatta l’attrazione per le musiche e gli strumenti tipici locali. Tornato in patria e conseguita la laurea in etnomusicologia all’universita’ dello Utah, Miller inizia la sua carrierra come musicista professionista suonando nei primi anni Sessanta in Europa con un proprio trio ma anche al fianco di gente come Don Ellis, Eddie Harris, Philippe Catherine, Bud Powell e Kenny Clark.


 



Cruciale e definitiva, la svolta artistica di Miller avviene nel 1968 con la pubblicazione (privata) dell’album Oriental Jazz, seguita l’anno dopo dal trasferimento in Iran per conto del Centro di Studi Mediorientali della Utah University. Miller vi restera’ per sette anni, viaggiando anche tra Afghanistan, Libano e Turchia, imparando a parlare e a scrivere in farsi, a suonare miriadi di strumenti etnici e a eseguire arrangiamenti della tradizione sufi. Negli anni Settanta, agli interessi di musicista e musicologo, Miller aggiungera’ anche altre importanti attivita’ come giornalista, corrispondente, storico dei costumi e della societa’ iraniana, attore e conduttore televisivo, riscuotendo clamore e successo a Teheran con il varieta’ musicale settimanale “Kurosh Ali Kan va Dustan”.


 



Tutto questo per dire di un personaggio ancora misconosciuto ma estremamente rilevante per la storia e lo sviluppo del cosiddetto “ethno-jazz”, mossosi sempre con cautela, discrezione e senza nessun compromesso nel mercato dell’industria discografica. Infatti, con l’unica eccezione dell’antologia A Lifetime In Oriental Jazz (Jazzman, 2009), sono assai rare le pubblicazioni e le registrazioni “originali” di Lloyd Miller oggi reperibili e disponibili.


 



Questo nuovo album in collaborazione con gli Heliocentrics di Malcolm Catto potra’ forse far si’ che a Miller capiti lo stesso ritorno di fiamma e di interesse che hanno ultimamente riguardato la figura e la produzione di Mulatu Astatke. Cio’ che importa, al momento, e’ il concentrato di ottima musica offerta da queste dodici tracce che ben rappresentano il verbo e l’estetica dell’ultrasettantenne maestro californiano. Da par loro Catto e soci ne traducono l’essenza e la sintassi con un linguaggio modernamente appropriato, assai godibile per quanto concerne l’ipnosi strumentale veicolata attraverso scale arabeggianti ed armonie timbricamente esotiche, speziate con vellutate trame “spiritual jazz” e danzanti motivi evocanti l’affascinante tradizione musicale subsahariana (vedi l’iridescente Pari Ruu e anche l’iniziale Electricone). Miller da’ sfoggio del proprio polistrumentismo un po’ dappertutto, sia articolando ottimi fraseggi e libere passeggiate al piano, sia toccando e pizzicando in maniera unica e favolosa le corde di sitar e balafon. Altri momenti topici di questo bel lavoro, da sorseggiare e da gustare come un cocktail rinfrescante nell’afa estiva, i ritmi afrocaraibici di Latin (Cuzco), il jazz-poetry-spoken di Lloyd Lets Loose, l’ascetico clima in punta di flauto e gamelan di Bali Bronze e la flessuosa spirale “new thing” (con intorno le ombre svolazzanti di Alice Coltrane e Pharoah Sanders ad applaudire) che unisce le splendide architetture motiviche orientali di Nava, Modality e Spirit Jazz.


 


 


 




Voto: 7,5/10


Genere: Spiritual Jazz / Middle-Eastern Folk


 


 




Musicisti:


Lloyd Milller – vocals, piano, balafon, sitar, tampura, rebab, flute, percussion


Malcolm Catto – drums, piano


Jake Ferguson – double bass, guitar


Mike Burnham – keyboards


Jack Yglesias – flutes, santur, percussion


Adrian Owusu – guitar, oud, percussion


James Arben – clarinet, tenor sax, baritone sax


Ray Carless –  alto sax, tenor, sax


Max Weissenfeldt – vibes, percussion


Byron Wallen – trumpet


Neil Yates – trumpet


 


 




Brani:


01. Electricone


02. Nava


03. Pari Ruu


04. Salendro


05. Spirit Jazz


06. Modality


07. Rain Dance


08. Lloyd Lets Loose


09. Bali Bronze


10. Latin (Cuzco)


11. Charhargah


12. Sunda Sunset


 


 




Links:


 


Lloyd Miller: www.myspace.com/drlloydmiller


The Heliocentrics: www.myspace.com/heliocentrics


Strut Records: www.strut-records.com

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