MASSIMILIANO ROLFF: hard bop! Si’, ma contemporaneo!

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Massimiliano Rolff e’ uno dei “giovani leoni” del panorama jazzistico italiano. Naked e’ la sua ultima fatica discografica. L’abbiamo incontrato in una delle presentazioni del disco alle Cantine dell’Arena a Verona. E ci ha detto un po’ di cose…


 


S.C. Mainstream e hard bop rappresentano il tuo linguaggio preferenziale, cosa o chi ti ci ha condotto?
Massimiliano Rolff. Mi sforzo sempre di non rinchiudermi dietro l’etichetta di un genere musicale, anche se non posso nascondere la mia predilezione per una musica organizzata, con ampi spazi improvvisativi e soprattutto swingante. Mi sono avvicinato a questi ascolti e ho desiderato suonare questa musica per istinto, dopo molti anni dedicati a generi musicali comunque lontani dal jazz, ho sentito la necessita’ di cogliere quella che, almeno storicamente, e’ la sua vera essenza.


S.C. Qual’e’ stata l’esperienza di studio o di concerto che ha segnato il tuo percorso in modo definitivo?
M.R. Non riesco ad individuare un unico e definitivo momento. Ho svoltato lentamente, cercando di avvicinarmi sempre piu’ a quella musica che amo, che mi fa stare bene e che dimostra di stimolare l’interesse del pubblico, ricercandola, sera per sera, palco per palco.


S.C. Sei alla tua seconda “fatica” discografica. Cosa differenzia Naked da Unit five?
M.R. Unit Five e’ il primo lavoro discografico interamente mio. L’idea era quella di creare musica originale, seguendo modelli di organizzazione musicale gia’ ampiamente consolidati nel linguaggio jazzistico e, in particolare, in quello hard-bop. Per me e per i miei quattro compagni genovesi degli Unit Five, e’ stata una grande esperienza di crescita musicale che ci ha permesso di rileggere con attenzione lo stilema afro-americano attraverso una voce propria, in un contesto estremamente organizzato e arrangiato, che ha richiesto molti mesi di prove e scrittura. Naked e’ completamente un’altra storia. I brani in esso contenuti sono stati composti nell’arco di pochi mesi e la genesi del lavoro e’ durata lo spazio di due concerti. Il terzo giorno siamo entrati in studio e abbiamo registrato tutto. Quasi tutto “buono” alla prima. Con Naked ho cercato maggiore immediatezza e spontaneita’. I brani hanno forme molto semplici e sono appunto “portati a nudo”: “tappeti volanti” per i miei musicisti….


S.C. Come nasce questo ensemble tanto rinomato?
M.R. Per poter creare un album spontaneo, che si completasse nel giro di pochi giorni, per cogliere l’atmosfera ed il feeling tutto in un momento, avevo bisogno di musicisti di assoluta e comprovata capacita’. Appena i miei brani furono pronti li portai ad Andrea (Pozza) che approvo’ il progetto. E’ gia’ qualche anno che ho la fortuna di suonare con Pozza. Andrea e’ un pianista straordinario e di grande esperienza. Ho successivamente chiamato Cisi e Zirilli (con i quali non avevo mai suonato prima!), perche’ insieme a Pozza, sono musicisti che da un lato si ancorano alla tradizione hardbop, ma dall’altro sono in ampia e continua ricerca di un proprio sound, moderno e nel rispetto della tradizione.


S.C. Descrivici una qualita’ significativa di Pozza, Cisi e Zirilli.
M.R. Qualita’ comuni ai tre sono certamente la sobrieta’ e l’umilta’ nell’approccaire la vita e la musica. Scendendo nei dettagli tecnici, posso dire che adoro come Pozza accompagna i solisti, trovo il suono di Cisi insuperabile e mi sorprende sempre la versatilita’ di Zirilli. Tutti elementi che si distinguono ampiamente nel percorso di “Naked” e che ho cercato con avidita’.


S.C. Credi che il jazz moderno stia prendendo una direzione specifica?
M.R. No. Non credo che ci sia una sola direzione, almeno per il momento. Probabilmente, se vogliamo parlare di direzione, la direzione e’ proprio la parcellizzazione… Il jazz sta diventando sempre piu’ un fatto individuale: chi e’ capace di proiettare la propria visione definisce una direzione che resta comunque propria e spesso isolata da grandi correnti.


S.C. Il panorama italiano musicalmente parlando ti soddisfa? Riesci a trovare gli spazi giusti per i tuoi progetti?
M.R. L’italia e’ terrra di talenti, e questo e’ innegabile. Mi sorprendo sempre a scoprire quanti bravi musicisti ci sono nel mio paese. Trovo che ci sia un’ampia scelta di musicisti da coloro che sanno suonare benissimo la tradizione a coloro che osano con la modernita’. Aspetti migliorabili, a mio avviso, sono il desiderio e l’entusiasmo nello scrivere bella musica e la capacita’ di creare progetti stabili che durino nel tempo. Troppo spesso, penso, molti bravi musicisti non dedicano abbastanza attenzione alla scrittura della propria musica e tendono ad accontentarsi e a trovare soddisfazione solo nel proprio strumento, e questo e’ un peccato. Uno dei motivi poterebbe trovarsi proprio nell’incapacita’ di creare progetti stabili, che certamente stimolano la necessita’ ad una scrittura piu’ attenta. Di sicuro non e’ cosa facile mantenere una band stabilmente nel nostro paese: e’ impensabile riuscire a trovare fondi e sponsor che possano coadiuvare questa attivita’ e gli spazi per esibirsi, per quanto spesso adeguati, sono colmi di tante proposte e spesso in grave crisi finanziaria loro stessi.


S.C. Raccontaci il tuo primo concerto da band leader.
M.R. Beh, alla fine di quella gig il mio sassofonista si e’ licenziato(!). Era l’estate del 2005.
Quindi non si puo’ dire che sia stato un grande successo. Era una data estiva in un bel localino sulla riviera ligure di ponente. Proposi tutta musica mia, e mi trovai per la prima volta a dover anche presentare i brani e a parlare con il pubblico, cosa alquanto rara per i contrabbassisti. In effetti fu un’esperienza singolare, dalla quale capii l’importanza e la difficolta’ di essere leader; mi fu chiaro, nello spazio di una sola serata, quanto l’autodeterminazione e la sicurezza del proprio materiale giochi un ruolo primario in un contesto di questo tipo. Da allora in poi le cose sono andate sempre meglio.


S.C. Non e’ strano che un contrabbassista diventi un band leader. Ma come accade per la batteria, e’ insolito questo ruolo per chi sostiene la struttura di un’ensemble, mentre l'”inventore”, l’artista, e’ sempre il pianista o il sassofonista… qual’e’ la tua formazione e cosa ti porta a scrivere per quartetto?
M.R. Arrivo dal basso elettrico e dalla musica rock. Ho un diploma di jazz conseguito in un conservatorio dei Paesi Bassi, dove ho vissuto per quattro anni. Ho fatto tanti tour sia in ambito jazz che rock, negli Stati Uniti e in Europa. Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di accompagnare molti dei migliori musicisti in circolazione in Italia. Ho sempre avvertito la necessita’ di scrivere musica e di avere un gruppo tutto mio anziche’ essere sempre al servizio di altri. Adoro essere al servizio dei miei solisti e della mia musica con il mio contrabbasso: mi piace avere la posizione privilegiata di essere il supporto della musica. Il contrabbasso, in un ensemble jazz, ha un grandissimo peso nella scelta della direzione musicale all’interno di un brano, e questa sensazione di potere stuzzica la mia fantasia…


S.C. Il tuo strumento viene definito come base strutturale di un’ensemble, architettura irrinunciabile. Ma ultimamente si sta rinnovando questo ruolo o almeno non e’ piu’ esclusivo. Si cerca di dare dignita’ espressiva al contrabbasso trattandolo come uno strumento solista con l’aiuto della loop machine per esempio o in duo con voce sola. Ti convince questo tipo di sperimentazione?
M.R. E’ giusto dare pari dignita’ espressiva al contrabbasso, soprattutto alla luce della grande evoluzione stilistica degli ultimi 50 anni, ma non bisogna dimenticare che e’ uno strumento che occupa un registro molto grave, quindi la sua propensione melodica va comunque “maneggiata con cura”. Io non ho mai avuto un atteggiamento virtuoso verso il mio strumento. Semplicemente non e’ una cosa che fa parte di me. Mi piace vedere altri contrabbassisti sbizzarrirsi con il proprio strumento e trovare nuove tecniche, ma solo quando esse sono al servizio di bella musica. Se non c’e’ buona musica e’ inutile.


S.C. Hai mai pensato di realizzare un progetto da solista?
M.R. No. Non ancora.


S.C. Se fossi stato al posto di Glenn Gould, quale dei tuoi pezzi avresti mandato sulla Luna?
M.R. E’ un pezzo che si intitola “The last Dance”, che non ho ancora pubblicato… per ora e’ il mio preferito.


S.C. La prossima “fatica”?
M.R. Per ora sono concentrato sulla promozione di Naked. Voglio ri-registrare con lo stesso quartetto e dare continuita’ alla cosa.
Nel frattempo sto pensando di scrivere della musica originale per una formazione allargata di 10-12 elementi, ma sai … idee ce ne sono sempre molte, devono sedimentare, e crescere. Staremo a vedere.

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