Chi conosce Onofrio Piccolo, patron dell’etichetta discografica Itinera, sa bene che è una vera e propria fucina di idee e di progetti, a volte talmente tanti, che è materialmente impossibile realizzati tutti insieme. Ma non è mai capitato che ne abbia dimenticato o trascurato qualcuno, alla fine riesce a portarli tutti in porto. Ed è da quando ho cominciato a conoscere le sue iniziative che lo sento parlare del suo desiderio di documentare, di riassumere, racchiudere, mettere a bilancio, le varie esperienze che ha totalizzato intorno alle sue diverse creature, prima su tutte il Pomigliano Jazz Festival.
Nato quasi dal nulla nel 1996 – erano anni difficili, in una cittadina operaia, travagliata, la cui economia ruotava attorno al grande stabilimento automobilistico Alfa Romeo “Alfasud”, sorto tra il 1968 ed il 1972 – il Pomigliano Jazz Festival riuscì, grazie alla collaborazione con Umbria Jazz, a portare Herbie Hancock alla sua prima edizione. Da quel momento c’è stato, anno dopo anno, un crescendo ininterrotto di successi, dati dall’avvicendarsi di nomi prestigiosi ma anche e soprattutto dalla miriade di iniziative originali che vedevano materializzarsi inedite contaminazioni di queste grandi star internazionali con i mille talenti musicali che andavano nascendo sul territorio.
Non sono mancati nomi indimenticabili che sono poi diventati, negli anni, grandissimi amici e ospiti abituali del festival, come il grande pianista Chick Corea, il saxofonista Archie Shepp, il batterista Famoudou Don Moye, il pianista Enrico Pieranunzi col clarinetto magico di Gabriele Mirabassi, il pianista cubano Omar Sosa, il saxofonista Benny Golson, il pianista Bobo Stenson, e moltissimi altri.
Proprio in questo consisteva il punto di forza del Pomigliano Jazz: dare valore e scena ai musicisti campani accanto ai mostri sacri del panorama jazzistico nazionale internazionale. Appuntamenti annuali costanti e ininterrotti, eventi spesso gratuiti ed aperti a tutti, in luoghi incantevoli, con iniziative e session inedite ed originali. Un esempio su tutti l’Orchestra Napoletana del Jazz, diretta dal maestro Mario Raja, che raggruppa moltissimi tra i maggiori esponenti del jazz campano e che ogni anno organizza concerti con la partecipazione della star “di turno”, sempre di risonanza internazionale.
Da alcuni anni, proseguendo nel suo precorso di evoluzione e crescita, il PJF è diventato itinerante ed ha affrontato la sfida di invitare il pubblico non più solo ad ascoltare buona musica, ma anche ad apprezzare la cultura e le bellezze dei luoghi, e non più solo nella città di Pomigliano d’Arco ma anche dei borghi più significativi del comprensorio vesuviano, valorizzando così, nel suo insieme, l’offerta artistica e quella culturale ed enogastronomica dei luoghi.
In questa chiave si è innestata Green Jazz, una rigorosa campagna mirata alla promozione degli aspetti ecologici, alla fruizione consapevole dei luoghi, all’attenzione, al rispetto ed alla salvaguardia nella natura, al risparmio energetico ed all’utilizzo di materiali riciclati e riciclabili, alla raccolta differenziata ed al riciclo dei rifiuti.
Si è così avviato, in collaborazione con l’Ente Parco Nazionale del Vesuvio, VesuviusJazz, che ha visto la variegata offerta di concerti svolgersi in luoghi diversificati e prestigiosi quali il Castello Mediceo di Ottaviano, la Cattedrale di Madonna dell’Arco, l’Anfiteatro Romano di Avella, la Villa Augustea di Somma Vesuviana, l’area naturale dei Conetti Vulcanici del Carcavone di Pollena Trocchia, il Museo Emblema di Terzigno e, fiore all’occhiello della manifestazione, l’incantevole cornice del Cratere del Cono Vulcanico del Vesuvio.
In quest’ultimo luogo, in particolare, si sono esibiti diversi artisti spesso con progetti originali assieme a musicisti campani. A titolo esemplificativo citiamo il fisarmonicista francese Richard Galliano che nel 2014 si è esibito in session col sassofonista napoletano Marco Zurzolo, nel 2015 Maria Pia De Vito ha cantato accompagnata dalla tromba di Enrico Rava e dalla chitarra di Roberto Taufic, nel 2016 Enzo Avitabile ha presentato il suo progetto Vesuvius Ascension, ispirato all’orizzonte musicale di John Coltrane con contaminazioni multiculturali, accompagnato dall’indimenticato Rino Zurzolo al contrabbasso e da Ashraf Sharif Khan al sitar. Nel 2017 è stata la volta del flicorno di Paolo Fresu e del bandoneòn di Daniele di Bonaventura, nel 2018 quella del clarinettista Louis Sclavis in duo con il violoncellista Vincent Courtois.
Per la particolare fragilità dei luoghi e per interferire il meno possibile con la delicata e rara fauna dei luoghi i concerti sono sempre rigorosamente acustici e il pubblico è invitato a non applaudire ma semplicemente ad agitare le mani al vento in segno di apprezzamento.
I nomi che abbiamo potuto citare in queste poche righe, senza voler fare torto a tutti gli altri, sono riferiti soltanto ad alcuni singoli eventi degli ultimi anni, ma rendono l’idea della complessità e della vastità della macchina organizzativa che gira attorno ad una grande e impegnativa iniziativa culturale, che rinnova le sue proposte da oltre venti anni attorno al simbolo dell’origine della storia di Napoli e dintorni: il Vesuvio.