You Want It Darker

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«Eccomi, eccomi, sono pronto mio Signore». Il sommo Leonard Cohen ci ha lasciato, già conscio del suo nuovo viaggio. Con stile e saggezza, infilando in tutti i versi contenuti nei brani del nuovo (e purtroppo ultimo) album “You Want It Darker” la consapevolezza della propria fine. Andarsene così fa quasi invidia. Se per un artista c’è una consolazione, a prescindere dal fatto di aver avuto successo o meno, è quella di durare in eterno attraverso le opere create in vita. Leonard Cohen resterà sempre tra noi per le sue canzoni, quelle che abbiamo amato e ammirato all’infinito in passato e continueremo ad ascoltare con ancora maggior intensità in avvenire. Fa impressione constatare quante coincidenze vi siano, tra lui e David Bowie, nel modo in cui sono riusciti entrambi a dirci addio nell’imminenza, quasi presagita, del loro trapasso. La differenza è che Leonard Cohen è riuscito a confezionare un lascito testamentario che sintetizza in modo pressocchè perfetto il suo universo, le radici e i motivi ispirativi della sua arte e della sua esistenza.

“You Want It Darker” è un disco scaturito da uno stato di sofferenza fisica già avanzato. Un congedo che, come egli stesso racconta nelle note interne di copertina, è venuto alla luce per merito del figlio Adam (anch’egli musicista e cantautore sulle orme del padre). «Ad un certo punto, dopo oltre un anno di intense fatiche, sia Pat Leonard che io, casualmente, siamo collassati a causa di seri problemi alla schiena e altre visite sgradite. Nel mio caso, la situazione era cupa, il disagio acuto, e il progetto è stato abbandonato. Adam ha intuito che il mio recupero, se non la mia sopravvivenza, dipendevano dal mio rimettermi al lavoro. È subentrato nel progetto, mi ha messo in una poltrona motorizzata per cantare e ha portato a compimento queste canzoni non finite, preservando ovviamente molti degli ammalianti temi musicali di Pat. È per via dell’amorevole incoraggiamento e della sapiente amministrazione di mio figlio che queste canzoni esistono nella loro forma attuale. Non potrò mai ringraziarlo abbastanza». Composto da nove brani per una durata totale che tocca appena i 36 minuti, “You Want It Darker” prende di petto temi e aspetti centrali nella poetica artistica del canadese: la Bibbia e la spiritualità, le donne e l’amore, i ricordi d’infanzia, le esperienze all’estero e le origini ebraiche, le angosce e le gioie della vita, la dissennatezza, i peccati e la volgarità degli esseri umani.

Accompagnate da quel timbro vocale inconfondibile che ha fatto scuola (profondo e baritonale, virile e viscerale) le canzoni hanno tutte un vestito sonoro sobrio ed essenziale, nonostante il gran numero di musicisti e la varietà di strumenti utilizzati ad hoc. Nell’iniziale title-track (lì dove l’artista declama “Hineni, Hineni, I’m ready my Lord”) il basso notturno e il ritmo felpato si fondono mirabili al liturgico tappeto d’organo e alle voci del coro della sinagoga di Montreal, la stessa che il Nostro frequentava da bambino. Un brano formidabile nella sua malinconica indagine sul mistero della Vita e della Morte, quando spegnere la luce è necessario per accendere l’oscurità. Si prosegue con Treaty, ballad in punta di piano e archi intrisi di maestosa dolcezza, l’invocazione per un patto rivolto sia al Signore sia alla donna amata. Movimenta di poco l’atmosfera la sommessa vitalità in chiave “gospel-soul” di On The Level, mentre il twang nostalgico e la pedal steel persi all’orizzonte della franca confessione di Leaving The Table trovano il loro ideale continuo nel bel giro di chitarra e nelle note di organo e piano di If I Didn’t Have Your Love, una dichiarazione d’amore struggente e appassionata, ricca di quelle belle metafore poetiche di cui Cohen resta insuperato maestro.

Dovunque lo si prenda e si scelga di iniziare l’ascolto, “You Want It Darker” regala emozioni e composizioni che abbagliano sia la mente che l’immaginazione. Partendo, ad esempio, dalla seconda metà della scaletta ci si imbatte subito in Travelling Light, un esotico mix di cori femminili e arrangiamenti dove spiccano le fascinose corde di un ellenico bouzuki e le maliarde note di un violino, elementi che rievocano il periodo vissuto da Cohen in Grecia. La successiva e autobiografica Seemed The Better Way basa invece il testo su un’omonima poesia pubblicata nel 2006 in “Book Of Longing” e vede ricomparire gli stessi elementi ed ingredienti di You Want It Darker (archi, organo e coro d’accompagnamento della Shaar Hashomayim Montreal Sinagogue) mentre stilemi più folk-pop e un invito alla speranza, a non arrendersi, provengono dalla suggestiva Steer Your Way. Chiude il disco la ripresa strumentale (in toccante veste cameristica per soli archi) di Treaty, lì dove le parole e la voce di Leonard Cohen risuonano trascendentali, eterne e penetranti come non mai.

 

Voto: 8/10

Genere: Songwriting / Folk-Pop-Rock

 

 

Musicisti:

Leonard Cohen – vocals, lyrics

Rob Humphreys – drums #1, 4, 8

Patrick Leonard – bass, organ, piano, synth guitar, percussion, drum machine #1, 3, 5, 6, 7, 8

Neil Larsen – organ #1, 5

Michael “Don Miguel” Chaves – keyboards #1, bass #4, 6, 7, 8

Gideon Y. Zelermyer & Shaar Hashomayim Montreal Sinagogue Chorus #1, 7

Patrick Leonard – piano, keyboards #2

Sean Hurley – bass #2

Brian Macleod – drums #3

Bill Bottrell – electric guitar, pedal steel #3, 4, 5

Dana Glover – backing vocals #3, 8

Adam Cohen – acoustic guitar #4, 8

Zac Rae – guitar, mellotron, celeste, keyboards, mandolin, organ, timpano, piano #4, 6

Mai Bloomfield – cello #6

David Davidson – violin #6, 7, 8

Tom Hemby – bouzouki #6

Athena Andreadis – backing vocals #6

Bruce Geitsch – acoustic guitar #8

Alison Kraus – backing vocals #8

Luanne Homzy – violin #9

Etienne Gara – violin #9

Michelle Hassler – viola #9

Yoshika Masuda – cello #9

 

 

Brani:

01. You Want It Darker

02. Treaty

03. On The Level

04. Leaving The Table

05. If I Didn’t Have Your Love

06. Travelling Light

07. Seemed The Better Way

08. Steer Your Way

09. String Reprise / Treaty

 

 

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Leonard Cohen