Con soli dodici “passi” Lanfranco Malaguti avanza spedito “Oltre il confine” dei luoghi comuni. Al veterano chitarrista e compositore romano sono bastati cinque anni e altrettanti dischi per azzerare una già importante carriera trentennale e rinascere nell’alveo di una virginalità sperimentale. Da “Visionary” (2010) a “Papillon” (2014) la sua parabola tecnica e artistica è stata, infatti, tra le più impressionanti registrate sulla scena del jazz italiano. Poi, come solo qui da noi, in termini di visibilità e ritorno economico è stato un disastro su tutta la linea. Pochissimi concerti e nessun festival che abbia avuto l’ardire d’invitarlo. “Oltre il confine” non farà che peggiorare la situazione, visto che si tratta del disco più spavaldo e complesso mai inciso da Malaguti.
Subito da sottolineare è il piccolo ma sensibile “upgrade” della formazione che da un lustro accompagna il leader, vale a dire la fisarmonica dello specialista Romano Todesco al posto del flauto di Massimo De Mattia. Insostituibili e ancora presenti restano, invece, i bravissimi Nicola Fazzini (sax soprano e contralto) e Luca Colussi (batteria). Neanche l’armamentario strumentale dosato e usato da Malaguti può restare senza commento: una sei corde che da elettrica diventa acustica, per poi ancora trasformarsi in una viola, un violino, un organo, un basso o un contrabbasso. A questo miracolo polifonico provvedono due effetti e accessori strategici, ossia un octaver generator applicato ad un overdriver con plettro affusolato e corde zigrinate.
Figlia maggiore di teorie frattali e algoritmi matematici, la musica che risiede in queste dodici tracce (tutte firmate dal chitarrista) è la perfetta quadratura del cerchio (se non l’apoteosi) di quanto già espresso da Malaguti, a differenti livelli, nei tre lavori precedenti. Un nobile modello estetico di riferimento può certamente ravvisarsi nel collega di strumento Elliott Sharp (pioniere nella concezione di ordine e caos che scaturiva dall’applicazione della serie di Fibonacci e di geometrie frattali) anche se qui il risultato finale è assai meno gratuito e barbarico. Serrato e condiviso, il discorso del quartetto parte, infatti, da schemi matematici e razionali per trovare, passo dopo passo, una spontaneità improvvisativa che si esalta nella costruzione di trame armoniche, timbriche e ritmiche alquanto inusuali. Sebbene labirintico e astratto, il suono che ne scaturisce è in costante equilibrio tra brio ed eleganza. Il ruolo di Colussi s’impone quale efficace sostegno e sponda a fraseggi di chitarra, fisarmonica e sax che si aggrovigliano tra loro in linea verticale e orizzontale. Atmosfere sornione e circospette (Passo 1, 4 e 9) si alternano a esercizi “math-jazz” concitati (Passo 11 e 12) e finanche rocciosi (vedi il bellissimo Passo 5). Neppure la melodia si sente straniera in questa estrema fioritura di tempi dispari e accordi imprendibili, che riescono a far convivere nello stesso registro una duplice idea colemaniana (quella di Steve e del compianto Ornette). Vale la pena ripeterlo, “Oltre il confine” non vende caramelle, ma a tanti potrebbe causare un’indigestione di stupore e piacere.
Voto: 8/10
Genere: Impro-Jazz / Creative Music / Contemporary Jazz
Musicisti:
Lanfranco Malaguti – electric guitar, guitar viola, classic guitar, guitar double bass
Romano Todesco – accordion, keyboards
Nicola Fazzini – soprano sax, alto sax
Luca Colussi –drums, percussion
Brani:
01. Passo 1
02. Passo 2
03. Passo 3
04. Passo 4
05. Passo 5
06. Passo 6
07. Passo 7
08. Passo 8
09. Passo 9
10. Passo 10
11. Passo 11
12. Passo 12
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