The Cat With The Hat

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Pensavo, tra me e me, che ci sono sorprendenti analogie tra un navigatore, un jazzista e un gatto… Tutt’e tre, per svolgere la propria missione, devono ricorrere ad un talento comune: l’improvvisazione, indispensabile per risolvere tutti i piccoli grandi problemi in “tempo reale”. Il primo dovrà farvi ricorso per affrontare tutti gli imprevisti e la circostanze della navigazione, il secondo per seguire l’estro del momento creativo durante un’esecuzione, il terzo per sfuggire a un pericolo o per eseguire un’azione di caccia.

Tutte queste caratteristiche ricorrono insieme nel nostro Capitan Capitone, al secolo Daniele Sepe, navigatore jazzista e aspirante “gatto”, per la sua ambiziosa scelta di seguire, in questo The Cat With The Hat, l’orma jazzistica del grande saxofonista, discendente di emigranti italiani in Argentina, Leandro Barbieri detto, proprio forse proprio per le ragioni che dicevo prima, “El Gato”. Il capitano Sepe lascia quindi la navigazione nelle acque mediterranee dei miti greci classici e si dirige verso rotte atlantiche rivolgendo la prua verso l’Argentina alla scoperta del tango e, come ogni buon navigatore, si attornia sempre di un ottimo equipaggio, adatto alle circostanze del viaggio. Sceglie così di accompagnarsi all’eclettico pianista Stefano Bollani, al mago della batteria Roberto Gatto (il cui cognome è una mera casualità…), al profondo trombettista Enrico Rava, tutti musicisti che hanno avuto la fortuna, in passato, di suonare con Barbieri in persona – Rava legato perfino da un certo grado di parentela – e che ne conoscono quindi perfettamente ogni sfumatura espressiva. Ad essi Sepe ha carpito ogni possibile aneddoto personale ed ha indagato ogni  caratteristica e curiosità sulla personalità di Barbieri.

Triangolando agilmente tra le sponde del Golfo di Napoli e quelle dei mari aperti oltre le Colonne D’Ercole, Daniele Sepe chiama attorno a se – perché, come lui stesso dice sempre, “ci piace essere in tanti” – i batteristi percussionisti Hamid Drake, Robertinho Bastos e Claudio Romano, i cantanti Dario Sansone e Lavinia Mancusi, il flautista Roberto Lagoa, i pianisti Bruno Persico, Tommy De Paola e Piero De Asmundis, il bandoneon di Roman Gomez, l’ormai irrinunciabile contrabbasso di Aldo Vigorito e il basso di Davide Costagliola, e mi perdonino tutti gli altri grandissimi musicisti che hanno preso parte al progetto e che non è possibile nominare tutti.

Ma, un jazzista partenopeo che decida di amalgamare il tango e la musica argentina con il jazz e le radici mediterranee, non poteva non coinvolgere il più napoletano di tutti gli argentini, capace di essere al tempo stesso il più argentino di tutti i napoletani, il cantante e chitarrista Diego Moreno, soprannominato “tanghizzo”, il “tanguero-scugnizzo”, nel brano Los Ejes De Mi Carreta, del chitarrista indio Héctor Roberto Chavero Aramburo detto Atahualpa Yupanqui. Dello stesso Yupanqui il brano Io Non Canterò Alla Luna.

Gato Barbieri è stato uno dei punti di riferimento segnanti della gioventù e della formazione musicale di Daniele Sepe soprattutto quando – come lui stesso racconta nelle note di copertina – scoprì che Barbieri era riuscito, allo stesso modo in cui aveva fatto il grande Astor Piazzolla, a coniugare nel proprio stile musicale le espressioni musicali delle sue origini, primo di tutti il tango ma anche tutto un filone tradizionale indio, con la sua passione per il jazz nordamericano. “Eureka” – pensò Sepe – intuendo subito di poter fare altrettanto unendo la sua passione per il jazz con la musica mediterranea delle sue radici. Nasce così la scelta del suo omaggio al Gato, personaggio schivo, riconoscibile a colpo d’occhio per l’inseparabile cappello e alla prima nota per inconfondibile stile graffiante del suo sax. Indubbiamente, ascoltando il disco, si riconosce una profonda affinità tra lo stile esecutivo di Barbieri e quello di Sepe, che riesce a raggiungere, al tempo stesso, una profonda affinità con Barbieri sia sul piano artistico sia sul piano del pensiero politico e sociale, ampiamente sintetizzato nella splendida Song For Che, brano del 1970 di Charlie Haden.

La prova di “contaminazione” (come si usa dire) eccellente di questo disco potrebbe essere Canzone Appassionata, ei E. A. Mario, in cui si confondono la canzone napoletana suonata in stile Barbieri da musicisti partenopei e argentini con influenze indie e jazz.

Un ultimo piccolo omaggio è quello “fuori tema” di Sepe con il suo brano originale Odio L’Estate, chiaramente ispirato al grande successo del Maestro Bruno Martino.

Penso che queste mie poche note possano bastare per stimolare la vostra curiosità. Buon ascolto.