SPRING ROUNDS CON JAMIE BAUM QUINTET

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L’alchimia magica del flauto di Jamie Baum stupisce tutti al Cinema Teatro Torresino dove si conclude da Rassegna “OSTINATI! 2010” curata dal Centro d’Arte dell’Universita’ di Padova.
Le formule, mescolate sapientemente, fanno scaturire reazioni armoniche finora inesplorate, rimestano registri provenienti dai mondi piu’ disparati del linguaggio musicale, dove il jazz piu’ “mainstream” si unisce alle sonorita’ classiche o fortemente contemporanee.

Jamie Baum ha sondato in profondita’ l’inconsistente materia musicale ed ha tradotto il linguaggio della tromba di Miles, del sassofono di Coltrane o di Sonny Rollins, del piano di Bill Evans o di Wynton Kelly in una lezione per uno strumento come il flauto che solo da pochi anni si e’ affacciato sulla scena del jazz, soprattutto grazie al perfezionarsi degli strumenti di amplificazione, e che entra front line nell’organico del suo talentuoso quintetto.

Sembra che Jamie giochi col suo flauto come un genio riuscirebbe a fare con un cubo di Rubik: pochi colori primari da cui riesce a far sgorgare una miriade di combinazioni possibili, infinite connotazioni timbriche, anagrammando ogni fraseggio in una serie interminabile di significati.

Jamie fa del suo flauto un coprotagonista della scena, non primo attore e non comparsa nell’orchestrazione di composizioni che rasentano la perfezione  dal punto di vista armonico, timbrico e nell’improvvisazione studiata fino all’eccesso senza risultare scontata. Un estenuante controllo che non rende dura la materia, ma la  lascia libera di scorrere con fluidita’ nelle note.

Il quintetto inizia la sua performance con “Spring Rounds” (da “Moving Forward, Standing Still” – OMNI TONE 2004, posizionatosi come “Best CDs of 2004”) ispirato al compositore russo Igor Stravinsky.

Il suo animo di viaggiatrice instancabile si manifesta subito col brano scritto in occasione di un viaggio in Nepal dove ha partecipato al “Kathmandu Jazz Festival”.
Tornando a casa dopo i concerti i musicisti passavano nella foresta scura, regno incontaminato di innumerevoli creature, come le scimmie che accorrevano avide alle finestre del loro residence nella speranza di ricavare un pò di cibo. Palpabili i misteri della notte in “Monkeys of Khokana” dove riesce a fissare, parafrasandoli in una miriade di velocissimi passaggi e fraseggi, i loro movimenti: passi felpati nel suono della tromba, l’avanzare nell’oscurita’ di occhi che si accendono come fiammelle luminose e che cambiano continuamente ed improvvisamente direzione attraverso le dita del piano di Colligan che incupisce l’atmosfera fino all’esasperazione,  “combattendo” col tempo continuo di rullante di Hirshfield e con i rintocchi lontani del basso di Weidenmuller. E’ un inarrestabile periodare, un incessante movimento di anime nascoste che vivono una vita parallela nella notte lontana della foresta del villaggio vicino Kathmandu. Una capacita’ di sintesi estrema, eppur capace di fotografare atmosfere che riescono a metterci addosso un pathos “orrendo” e che si fa talvolta minaccioso, che incontra un urlo di tromba che non addolcisce, ma che varia senza mai sospendere la tensione, per poi rassicurarci solo col silenzio del finale. Sopra tutti, vigile, lo sguardo di Jamie Baum, attento anche al piu’ piccolo ed impercettibile movimento della sua band!

L’atmosfera impregnata di sonorita’ eteree ed imperscrutabili ci introducono nel mondo sonoro di “Solace” (dall’omonimo disco edito dalla label Sunnyside Records – 2008). Gli strumenti rievocano giochi prodigiosi che riportano al mondo Orientale, alla meditazione, all’introspezione ed all’elevazione spirituale, quasi una sorta di yoga che si serve dei soffi nella canna della tromba, delle percussioni cupe, del piano che finalmente armonizza e sostiene la melodia. Un lungo interminabile tempo, in cui il periodare di mondi dissonanti si perde nella ricerca di una sovraumana serenita’, traducendo la dissonanza nell’armonia universale del tutto, passando rapidamente dal minimalismo estremo alla coralita’. Jamie sa alternare la sua presenza, giustapponendosi al canto del piano o della tromba e solo raramente rubando in toto la scena. Alterna l’uso del flauto alto con quello basso per un bel tratto di questo viaggio sonoro, lasciando il finale alla tromba che riecheggia atmosfere jazz piu’ tradizionali!

Jamie Baum ha tanto da raccontare, la sua esperienza musicale e’ infinita, eppure non abbassa mai la guardia ed attenta segue, nota dopo nota, con gli occhi sullo spartito, le realizzazioni di tutti, cosi’ come in “Dave’s Idea” (sempre tratto da “Solace”) di respiro piu’ cameristico. Lascia ampio spazio al piano di Colligan che sfiora quasi senza peso i tasti per accogliere nell’armonia il flauto, che e’ cosi’ libero di lanciarsi in un’applauditissima improvvisazione, sostenuta dal rintocco pungente del basso che si amalgama, a sua volta, profondamente al ritmo della batteria; lascia poi il ruolo da protagonista, nella seconda parte del brano, al piano, che si arrampica in lestissimi svaghi.

Evocazioni lontane in “Far Side” (da “Solace”), quella profondita’ imperscrutabile dei luoghi inesplorati che diventa stimolo per nuove investigazioni dello spazio possibile, un brano da ascoltare ad occhi chiusi con la profondita’ dell’emozione e il ritmo dell’immaginazione. La sua musica e’ come quelle forme che passano veloci e che credi di non riuscire a catturare e che invece, a tua insaputa,  ti pervadono fino a trasformarsi in rievocazioni della memoria ed indagini filosofiche sulla materia umana e sull’intelletto.

Le note del suo flauto fluttuano, come danzando, intorno ad un tessuto costante e silenzioso, una danza viva, veloce, che inebria e pervade di profumi esotici l’atmosfera, che non fa fermare il ritmo delle tue emozioni, che aguzza la vista dell’occhio piu’ attento dell’anima e che sorprende, sinuosamente, ad ogni passo, fino a scomparire in punta di piedi.

Un continuo movimento, un instancabile viaggio di esplorazione fisico e reale, nella musica e nella vita, fatto di incontri e di colloqui elettivi di anime che si scambiano ognuna il proprio stile, la propria tecnica e le proprie idee, dialoghi che si trasformano in note e che nascono e muoiono, che non si ripetono, ma che restano dentro nell’esperienza di ognuno, destinati a replicarsi soltanto “In Another Life”!

Ci lascia con il caleidoscopico gioco di colori riflessi di “In the Journey” (da “Moving Forward – Standing Still”), dove i ritmi sincopati si esasperano e glaciali tonalita’ di “blue” si mescolano al violaceo dei rintocchi in lontananza. Musica estremamente contemporanea che diventa arte concettuale in cui i linguaggi ripetuti e inconsueti sembrano non trovare significato se non racchiusi all’interno di un disegno magistrale ed incomprensibile che porta allo straniamento, che trova conforto estremo solo nell’inaspettata soddisfazione dell’orecchio e nello stupore del finale, che raccoglie interminabili applausi per una performance a dir poco indimenticabile!

“Wheeler of Fortune” del finale, brano dedicato al  trombettista Kenny Wheeler (da “Solace”) conclude questo meraviglioso viaggio nelle alchimie contemporanee del jazz della Signora Baum e del suo Quintetto.




JAMIE BAUM QUINTET
per OSTINATI! 2010
Centro d’Arte degli Studenti dell’Universita’ di Padova
Cinema Teatro Torresino, 19 maggio 2010


Jamie Baum, flauto
George Colligan, piano
Jeff Hirshfield, batteria
Johoannes Weidenmuller, contrabbasso
Taylor Haskins, tromba (in sostituzione di Ralph Alessi)

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