Una poesia, una provocazione, una bella canzone

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Il nuovo disco di Mirco Menna si intitola “Il senno del pop” e a guardarlo, dalla copertina s’intenda, sembra proprio un bel disco pop di quelli da classifica per teenager. Si ok, forse sto esagerando, ma il messaggio che arriva, di primo impatto, sembra essere proprio quello. Andiamo oltre perché basta mandarlo in play e capisci l’aria che tira. Sono 8 inediti e due bonus track live di qualche tempo fa dove Menna reinterpreta un vecchio brano eseguito con la Banda Avola e poi un omaggio a Gaber. Archiviato questo ci sono 8 dipinti di un’Italia d’autore che di rado si incontra – almeno a parlare della consueta scena cantautorale a cui siamo abituati. Canzone francese e napoletana nello spirito sicuramente, funambolica e scanzonata in più punti (bellissima “Il descafalatore”), atmosfere leggere di sole come se fossi in riva ad esotiche spiagge come in “Portati da un fulmine” che sembra rendere omaggio a Giannini nel capolavoro “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”. In “Così passiamo” c’è l’aria americana dannata di Tom Waits anche se il video ufficiale di questo brano sembra strizzare l’occhio al passato delle locande. Che belle le melodie un po’ nostalgiche, un po’ disperate, un po’ speranzose come nella struggente “Ora che vai via”. Un disco pregiato di pregiate parole, antico nella tessitura, di gusto nella misura di ogni piccolo dettaglio.

 

 

Ci sono diversi momenti che in qualche modo questo disco richiama un certo fare napoletano… sbaglio? Tra queste canzoni probabilmente proprio “Il senno del pop” lo evidenzia più di tutte…

Mi cogli di sorpresa, non saprei dire… se c’è, è involontaria, probabilmente traspare per motivi di appartenenza: la mia famiglia, per metà, è napoletana. Nella mia vita ho amato, ascoltato, cantato molta canzone napoletana.

 

L’amore e la semplicità di spirito: sembra quasi che chi canta queste canzoni torni un poco bambino. E anche a sentirle si ha quest’effetto… che ne pensi?
Meglio così, se ti fa questo effetto, meglio così. Sono pascoliano in questo senso, “il fanciullino” che è in noi mi piace molto.

 

Che poi per giocare con tutte queste figure allegoriche, la fantasia, le immagini… ma anche un certo tipo di suono molto francese e bohémien, si deve per forza tornare ad essere Bambini?

Mah, più che “tornare” a essere bambini, direi “continuare” a esserlo. Per esempio, bohémien, come dici, è un ottimo modo adulto di essere bambini.

Cosa c’è della tua Bologna in questo lavoro? Sinceramente a parte qualcosa di Napoli, ci ho visto molta poca Italia in genere…

Forse c’è poca Italia “di” genere. Forse c’è poco anche di Bologna, tranne il fatto che tutti i musicisti sono bolognesi. Cosa c’è quindi? Direi che ci sono io che tento di assomigliare a me stesso.

 

Dal vivo oggi, in questo scenario di disinteresse totale: la musica di Mirco Menna come vive dopo tutti questi anni di grande carriera?

Sopravvive, come sembra destino condiviso a molti livelli: si sopravvive. Si tratta, questa sopravvivenza, di viversela bene, di non subirla, di lavorare di fantasia. Assoggettarsi è morire a se stessi e quindi bisogna essere fantasisti, i creativi della propria vita, bisogna essere. A volte mi riesce, perfino.