In occasione della presentazione di ABSENCE, primo lavoro da leader, abbiamo incontrato Ivano Leva, giovane pianista napoletano. Ne e’ venuta fuori una sintesi acuta del suo modo di intendere la musica. E se la consapevolezza di se’ e’ certamente un fondamentale punto di partenza, non e’ difficile prevedere per lui un roseo futuro professionale…
Sound Contest: Mi piacerebbe parlare subito del tuo primo disco da leader, che segue una miriade di collaborazioni, esperienze in ambiti musicali diversi, dalla musica leggera al jazz, dal blues al soul alla classica. Parlare di gavetta mi sembra riduttivo…:-) E tutte queste esperienze mi sembrando significative almeno quanto il tuo primo lavoro discografico.
Ivano Leva: Come spesso accade, la risposta e’ contenuta proprio nella domanda… 🙂
Intendo dire che c’e’ una diretta e biunivoca proporzionalita’ fra le mie esperienze musicali ed il mio primo lavoro discografico: ABSENCE e’, dal punto di vista musicale, il riassunto di tutti i generi musicali affrontati e metabolizzati da circa 20 anni a questa parte (ossia da quando ho iniziato, in maniera piu’ o meno consapevole, a fare della musica la mia professione); tuttavia, rappresentando esso anche -dal punto di vista meramente umano- una sorta di “testamento emotivo” dei miei primi 34 anni di vita, ha significato per me anche un modo per “urlare” al mondo intero chi e cosa io fossi realmente allo stato attuale della mia parabola anagrafica, ben oltre quello che potevano fino ad ora immaginare di me le persone che mi avevano conosciuto in ambiti musicali anche a volta molto lontani dalla mia intimita’ musicale. In un certo senso, e’ stato un pò come un “denudarsi”.
S.C. Cio’ che colpisce e’ il respiro europeo, che non viene meno ne’ in composizioni piu’ “americane” ne’ nel delizioso divertissement “Oh, Susanna”, reso zoppicante dal 7/4 e armonicamente spigoloso. Dalla riflessione sul senso della vita di “Recondito dolore”, dall’interplay intenso, al rock in 7/4 de “Il dubbio”, e’ dunque questa la musica che piace ad Ivano Leva? Qual e’ la genesi di “Absence”?
I.L. Sono cresciuto, jazzisticamente parlando, assorbendo la tradizione specifica del genere (be-bop, hard-bop, cool-jazz) ma con le orecchie sempre puntate anche all’ avanguardia (modale, jazz-rock, free); al bacino di ascolto jazzistico, poi, va aggiunto in maniera prepotente quello di matrice classica (Chopin, Bach, Beethoven, Brahms, Ravel, Debussy, Scriabin, solo per citarne alcuni), che tanto mi ha nutrito negli anni del Conservatorio e che ancora oggi rappresenta probabilmente la mia fonte di ispirazione piu’ viva, oltreche’ essere un momento fondamentale della mia routine di studio giornaliero.
Se a tutto cio’ poi aggiungi il retaggio affettivo degli anni giovanili di militanza nel rock (Beatles, Pink Floyd, Sting…), una personale passione per il cantautorato italiano di spessore (De Andre’, Dalla, De Gregori, ecc…), ed in generale una curiosita’ verso qualsiasi forma musicale, allora capirai che era inevitabile che questa commistione venisse fuori, nel giusto modo, ossia in maniera naturale, non premeditata; da questo punto di vista, mi piace sempre definire la genesi di “Absence” quale una genesi serena ed onesta, ossia concepita in maniera sincera, facendo si che tutte le influenze musicali scivolassero l’una sull’ altra, senza lasciarsi influenzare dalla voglia di fare “questo o quello” per voler necessariamente stupire o, cosa ancora piu’ deplorevole, per tentare di essere forzatamente “un personaggio commerciale e vendibile”.
S.C. Come mai “Absence”? Malinconia, nostalgia, rimpianti, rimorsi?
I.L. Come ho scritto nelle note di copertina, “Absence” sta per assenza, intesa pero’ nell’ accezione piu’ paradossale del termine stesso, ossia vista come presenza di un’assenza. Assenza di cose, luoghi, persone, odori, sapori… insomma, tutto cio’ che e’ ben stipato nei luoghi della memoria del nostro io, e che rappresenta il propellente piu’ importante per continuare ad andare avanti, anche valutando con giustezza il presente; certo, con la consapevolezza che ritrovare la perduta innocenza di quando eravamo bambini sarebbe ormai un ossimoro, ma anche percependo che l’essenza di essa e’ sempre linfa nelle nostre vene emotive.
Rimpianti non ne ho, assolutamente no.
Dolori, cicatrici, tantissime, come del resto ogni individuo, e in un certo senso e’ anche bello che ci siano, perche’ sono testimonianze del proprio viaggio interiore.
Ripeto, rimpianti non ne ho… forse, fra qualche anno, potremo trovarci al massimo a fare qualche re-impianto, inteso come trapianto di capelli, visto che gli anni passano per tutti… AH,AH,AH!!!
S.C. Come hai scelto i musicisti che ti accompagnano nell’avventura di “Absence”?
I.L. Ho scelto i musicisti (Daniele Esposito, Leonardo De Lorenzo e, in un brano, Francesco Maraniello e Giacinto Piracci) valutandone il grado di collimazione col progetto da due punti di vista: quello musicale, inteso come affinita’ stilistica con la musica che avevo scritto, e poi dal punto di vista umano, inteso come ricerca di quel vissuto umano che in qualche modo ci avrebbe accomunato un pò tutti nel modo di valutare le vicende della vita; i risultati musicali, testimoniati sul cd, credo mi abbiano dato ragione.
S.C. Il tuo percorso variegato ed eterogeneo e’ coerente con la tua “sete di conoscenza” e tipico di chi ricerca la perfezione. Del resto e’ quello che ogni musicista dovrebbe fare, stando ben attendo a fermarsi prima di oltrepassare la soglia della follia.
Come giudichi il tuo percorso formativo e le tue esperienze? Cosa ti ha spinto a intraprendere il percorso di studi classico “da grande”? Come ha cambiato il tuo rapporto con la musica?
I.L. Ho scelto il Conservatorio dopo alcuni anni di militanza nel jazz piu’ puro e fondamentalista, perche’ sentivo di dover assolutamente ultimare strade avviate solo in parte agli inizi dei miei studi, e mosso anche dalla certezza (rivelatasi poi matematicamente fondata) che completare gli studi classici avrebbe cambiato il mio modo di fare musica, di ascoltare musica, di emozionarmi nel vivere il mio viaggio nella musica… quindi, la mia vita in generale!
Nel fare questa scelta, mi sentii dare del “folle” da molti miei colleghi jazzisti puri, che irridevano tale decisione e la ritenevano una semplice perdita di tempo.
A distanza di anni, dopo un Diploma in Pianoforte, le mie giornate sono dense di musica: studio, ascolto, scrivo, analizzo, e di nuovo studio… non mi fermo mai! I criticoni di cui sopra, invece, trascorrono le loro giornate giocando con la Playstation, visitando siti porno e lamentandosi delle difficolta’ economiche… non ero io quello che perdeva tempo? Eh, eh, eh.
S.C. Sei passato anche per il tango, collaborando con un grande amico di Sound Contest, Diego Moreno, al progetto “Cada di’a canta mejor” dedicato a Carlos Gardel. Il disco e’ stato dichiarato nel 2008 Patrimonio di interesse culturale dall’ Ambasciata Argentina di Roma. Come e’ nata questa collaborazione?
I.L. Diego e’ un caro amico, oltreche’ un musicista che porta avanti un bellissimo progetto.
Ho suonato in quasi tutti i suoi dischi piu’ recenti; e con lui abbiamo anche condiviso il palco in occasione di una tournee teatrale con Enzo Decaro, alcuni anni fa.
Ah, a proposito, cucina anche delle fantastiche empanadas (piatto tipico argentino)!!
S.C. E poi tante altre collaborazioni di alto calibro. Quali quelle che ricordi come piu’ significative per la tua crescita e quelle che ricordi con piu’ affetto?
I.L. Tutte, davvero tutte! Anche quelle degli inizi, dove le paghe scarseggiavano e le ramanzine abbondavano… Ma, col tempo, capisci che anche i rimproveri avevano una loro legittima motivazione, per cui ne fai tesoro e non sbagli piu’… almeno non in quel modo, perche’ poi l’infallibilita’ non e’ di questo pianeta… bisognerebbe scomodare Qualcuno molto in alto… beh, ripensandoci, pero’, c’e’ stato Arturo Benedetti Michelangeli, che era piu’ in alto anche di Lui, il sommo creatore… eh,eh,eh!
S.C. Tra le tue attivita’ c’e’ anche l’insegnamento. Com’e’ cambiata la platea dei musicisti in erba, dei tuoi discenti, dall’affermazione delle scuole di musica fino ad “Amici”?
I.L. Personalmente, ritengo che i talent show se da un lato abbiano potuto minimamente polarizzare l’attenzione dell’ascoltatore medio (molto distratto da tante insulsaggini, al giorno d’oggi) verso la musica, dall’altro lato stanno definitivamente contribuendo a distruggere il gusto per il Bello e per la musica raffinata: l’attenzione principale e’ volutamente spostata su musica di bassa lega, in cui il fattore-immagine prevale totalmente sul contenuto; il tutto, poi, infarcito della solita sequela di lacrime, pettegolezzi ed altre porcherie varie.
E le scuole di musica, troppo assetate di denaro e ben lontane dal sentirsi insignite di un ruolo altamente culturale, non fanno altro che incentivare ancora di piu’ questo fenomeno, puntando non piu’ a creare Musicisti, persone colte, quanto invece “personaggi” in grado di nutrire l’industria del trash televisivo.
S.C. Conoscendoti immagino che “Absence” rappresenti per te un punto di partenza, piu’ che di arrivo. Quale sara’ il tuo prossimo “punto di partenza”?
I.L. Attualmente porto avanti molti progetti, e ne sono molto contento. Oltre al trio, suono anche nel quartetto INFECTED (con G. Piracci, M. DeTilla e C. Romano), un progetto di inediti che presto sara’ documentato su cd.
Poi sono coinvolto in alcuni duo di musica da camera, fra cui uno (col violinista G. Borrelli) incentrato su Mozart.
Ho anche “in sospeso” un trio elettronico (con D. Chiantese e S. Brancaccio), con cui spero di riprendere a provare il piu’ presto.
Ma, prima di ogni cosa, sto gia’ scrivendo materiale per un nuovo cd e dalle prime composizioni che stanno venendo fuori credo di poter dire che sara’ molto diverso dal primo, sia per l’organico, sia per lo stile musicale. Auspico di poter sempre continuare la mia ricerca di un linguaggio personale, senza mai scadere in banalita’ o ammiccamenti.