I consigli di Sound Contest: dischi senza tempo…

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Moacir Santos: Ouro negro (Adventure Music)


Moacir Santos e’ probabilmente il miglior arrangiatore espresso dalla musica brasiliana negli ultimi cinquant’anni. La sua musica densa di sfumature e dettagli, ricca e lussureggiante nella ritmica, ben consapevole dell’ampio respiro consentito dalle formazioni allargate, e’ parte attiva della cultura brasiliana sin dagli anni cinquanta. Ma il suo nome e’ quasi del tutto sconosciuto al di fuori del Brasile e anche in quel meraviglioso paese il grande pubblico non ha mai dato particolari segnali di accreditamento. Un grande artista abituato a stare nell’ombra, potremmo definirlo. Lo conoscono bene invece i musicisti brasiliani, molti dei quali sono passati per la sua scuola, in un modo o nell’altro. E lo conoscono molto bene il saxofonista Ze Nogueira e il chitarrista Mario Adnet che hanno voluto organizzare una tributo di grandissima qualita’ che consacra definitivamente il ruolo di Moacir Santos nel panorama della musica internazionale. In questo doppio album troviamo grandi nomi come Milton Nascimento, Djavan, Ed Motta, Gilberto Gil, Ricardo Silveira e tanti altri, compreso il compositore/arrangiatore stesso (che nel 2001, all’epoca della registrazione di questi 28 brani, aveva 74 anni portati benissimo). La strumentazione e’ quella della orchestra con fiati guizzanti e lussuriosi, ritmi che invitano a danzare dolcemente, voci piene di fascino e di saudade.



Pat Peterson: Do It Now (Enja – distr. Egea)


Per parlare di questo album da poco pubblicato che riporta una bella seduta di registrazione del 1982, potremmo prendere spunto dalla lunga militanza della cantante/pianista Pat Peterson alla corte di Ray Charles o dal fatto che e’ la sorella del famoso trombettista Marvin ‘Hannibal’ Peterson, o dagli eccellenti accompagnatori che la scortano in questi cinque lunghi brani. Partiamo invece dalla voce piena di pathos di questa donna che ci racconta le sue storie colme di passione e di emozioni, senza paura di toccare le corde piu’ alte della propria espressivita’, correndo il rischio calcolato di andare anche oltre le righe, con forzature espressive che pero’ testimoniano in realta’ la profondita’ del suo coinvolgimento dalle parti dell’anima. Il chitarrista John Scofield (pochi mesi prima di trasferirsi alla corte di Miles Davis) e’ un solista ben allineato alla poetica di Pat Peterson e la stessa cosa si puo’ dire tranquillamente del notissimo saxofonista David Fathead Newman. I tre sono ben sostenuti dal bassista T.M. Stevens (anche lui ha curiosamente una brevissima e poco nota esperienza con Miles, mai documentata da registrazioni ufficiali) e dal batterista Billy Hart che invece ricordiamo prezioso collaboratore di Herbie Hancock e, indovinate un pò, impegnato con il divino trombettista nel 1972 in occasione delle sedute di registrazione del bellissimo On The Corner.



Bire’li Lagre’ne Gipsy Project: Move (Dreyfus – distr. Egea)


Non siamo del tutto certi che la lunga ombra di Django Reinhardt abbia rappresentato un reale vantaggio per la carriera artistica di questo ancor giovane chitarrista sul quale si erano riposte belle speranza che sembrano andate un pò deluse. Intendiamoci, Bireli Lagrene e’ un ottimo chitarrista e anche questo album e’ suonato davvero bene, in pieno clima crepuscolare anni trenta, con la sua facilita’ di fraseggio sempre in bella evidenza. Quello che non ci convince del tutto e’ l’adagiarsi in un progetto dai sapori revisionisti che pare piu’ calcolato con l’ottica del marketing, senza la spinta di una reale urgenza espressiva. Ricordiamo il chitarrista francese impegnato a meta’ degli anni ottanta con Jaco Pastorius in situazioni dolce amare che mettevano impietosamente in evidenza la declinante fase del grande bassista ma allo stesso tempo lasciavano intravedere le grandi possibilita’ dell’allora giovanissimo chitarrista. Lo ricordiamo pochi anni dopo con l’orchestra-tributo di Gil Evans guidata dal figlio del grande arrangiatore. Erano situazioni comunque stimolanti, progetti che guardavano avanti, magari con cose da mettere ancora a punto, ma la direzione era quella giusta. Poi Bireli pare essersi un pò perso per strada e il peso della etichetta di ‘giovane Djangò che la critica aveva coniato sin dal suo primo comparire sulla scena europea, ha avuto l’inevitabile sopravvento.



Lars Danielsson: Libera Me (ACT – distr. Egea)


L’ottimo bassista svedese Lars Danielsson e’ il protagonista di questo album dalle sfumature intimiste e pastellate. L’ottima registrazione ulteriormente esaltata dalla tecnica SACD presenta dodici brani nei quali le formazioni cambiano pur restando sempre al servizio di un mood riflessivo, pieno di echi che sembrano arrivare da lontani ricordi, da viaggi solitari, da cavalcate di basso profilo che si spingono nell’ombra. Solisti importanti come Dave Liebman, Nils Petter Molvaer e Carsten Dahl si alternano al fianco del bassista, ben coadiuvati dal fantasioso batterista Jon Christensen, veterano di tante sedute ECM. In alcuni brani compare maestosamente anche la Danish Radio Concert Orchestra e il clima si fa per cosi’ dire piu’ convenzionale, perdendo forse un pizzico di quella dimensione un pò misteriosa che caratterizza il resto dell’album. Il leader prende ottimi assoli costruiti con eleganza e passione, profumati di sapori lignei che pervadono lo spazio scenico. Tutti i brani sono originali scritti, arrangiati e orchestrati dallo stesso Danielsson che pare avere un rapporto particolarmente intenso con il pianoforte di Dahl per una dialogo che sa spingersi con eleganza al di la’ della banalita’.

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