Folgorato da Nat King Cole

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La XIX edizione del Pomigliano Jazz Festival avrà un’anteprima a dir poco prestigiosa il 10 luglio presso l’Anfiteatro Romano di Avella. La suggestiva location, infatti, ospiterà la prima delle uniche due tappe italiane del tour del grande George Benson.

Di seguito un piccolo stralcio dell’intervista che il chitarrista americano ha rilasciato a Sound Contest e che potete leggere nella versione integrale sul website del Pomigliano Jazz Festival.

 

Inspiration, il tuo ultimo lavoro discografico è essenzialmente una sentita dedica all’opera e alla figura di Nat King Cole. Come, quando e perché ti è venuta l’idea di questo tributo e quanto tempo ti è occorso per inciderlo?

L’idea di quest’omaggio mi ha attraversato la mente per molti anni ma non ero convinto della sua importanza. Successivamente ho incontrato il mio nuovo produttore John Burk che al contrario mi ha spinto a riconsiderare la faccenda come un passo importante nel contesto della mia carriera, proprio perché Nat King Cole era l’artista a cui volevo assomigliare e che ho amato fin da ragazzino. L’album ha preso forma lentamente. Nel 2009 avevo già iniziato a eseguire dal vivo parte del suo repertorio, trasformando poi quel tour mondiale in un vero e proprio tributo.

Dipoi ho continuato a presentare e a conservare diversi brani di Cole nelle scalette dei miei concerti, tipo Route 66, Smile e When I Fall In Love.

All’epoca, più che a un disco pensavo a una sorta di documentario filmato, un video o un DVD, ma in seguito Burk mi ha convinto e abbiamo registrato il tutto molto velocemente.

Tra te e Nat King Cole ci sono evidenti differenze di timbro e impostazione vocali. Cole era un baritono mentre tu sei un tenore. Però se guardiamo all’abbinamento della voce con la rispettiva perizia strumentale, queste si annullano e le somiglianza risultano a dir poco straordinarie. Che opinione hai a tal riguardo?

Come musicista Cole era impeccabile, il suo modo di suonare e intendere il piano era davvero unico.

Quanto a me, all’inizio la chitarra non mi interessava. Ero un cantante e amavo soprattutto cantare. Da piccolo tutti mi cercavano e mi dicevano “Little George Benson canta un po’ per noi”.

Durante l’adolescenza, invece, iniziarono a ingaggiarmi e a volermi soprattutto come chitarrista. Così verso i diciassette anni mi capitava di suonare in tante band ma pochi volevano che partecipassi alle jam session, perché con la chitarra suonavo jazz in un modo troppo fuori dagli schemi.

Poi mi capitò di ascoltare Charlie Parker e il suo sassofono. Ne rimasi profondamente impressionato e negli anni seguenti cercai di trasferire le sue intuizioni e improvvisazioni nel mio stile di chitarrista.

 

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