Contrabbassista, bassista, compositore e didatta, Gabriele Pesaresi è un jazzista estremamente versatile e generoso, esperto e artisticamente maturo, con un’innata predisposizione per la cantabilità dei temi. Attraverso questa intervista, descrive il suo percorso musicale e snocciola i contenuti più significativi concernenti “Something About”, il suo nuovo album prodotto dall’etichetta Notami Jazz (Leggi la recensione).
La tua smisurata passione per la musica ti ha spinto a diplomarti in Contrabbasso e in “Jazz e Musiche Improvvisate del Novecento”. Quando e perché ti sei innamorato di questo strumento?
Ho iniziato da bambino con la chitarra classica, ma dopo poco tempo mi sono accorto che due corde erano di troppo per me. Preferivo suonare le parti di basso e il passaggio al basso elettrico e, successivamente al contrabbasso, è stato abbastanza naturale, visto anche la passione per il jazz.
Come è scattato il colpo di fulmine con il jazz?
Grazie agli eventi organizzati da “Ancona Jazz” ho potuto conoscere e apprezzare grandissimi musicisti, dei veri e propri miti del jazz che mi hanno fatto innamorare subito di questa musica. Ricordo ancora il primissimo concerto, Eddie Harris con il suo quartetto. Non riuscivo a stare fermo sulla poltrona.
Hai collezionato una pletora di concerti in cui hai condiviso il palco insieme ad alcuni jazzisti di rango mondiale, tra i quali: Bob Mintzer, Mark Turner, Kenny Wheeler, George Benson, Miles Okazaki, Dado Moroni, Enrico Rava, Gianni Basso, Luciano Biondini, Tullio De Piscopo, Gegè Telesforo. Qual è stata la prima sensazione, quella più immediata, che hai provato nel momento in cui eri al fianco di questi colossi del jazz?
Hai citato musicisti molto diversi tra loro, ma tutti con una grande personalità e forza espressiva. Alcuni di questi li ho incontrati quando ero molto giovane e sicuramente la prima sensazione è stata di una forte emozione, così come avevo il timore di non essere preparato ad accompagnarli. In età più matura, invece, ho riconosciuto in molti la semplicità e la passione con cui si dedicano a questa musica e anche la volontà di fare squadra insieme per salire sul palco e fare il miglior spettacolo possibile.
Durante la tua ricca carriera hai avuto l’opportunità di confrontarti anche con artisti provenienti da altri ambiti, come nel caso del poeta Filippo Davoli, con il quale hai collaborato in seno al “Macerata Estate 2000 – Il Viaggio di Poesia”. In che modo hai vissuto questa singolare esperienza?
Un bellissimo ricordo, una delle mie prime esperienze di improvvisazione totale in “solo”, in cui il contrabbasso fungeva da colonna sonora, da anello di congiunzione ai testi di quattro poeti del Novecento anche molto differenti tra loro. Ricordo, in particolare, una poesia di Fernanda Romagnoli dal titolo “Il tredicesimo invitato”: un capolavoro.
Oltre che da concertista, sei molto attivo didatticamente come docente di contrabbasso e basso elettrico. Hai elaborato un tuo metodo d’insegnamento oppure ti affidi a un concetto uniforme di docenza?
Da molti anni insegno ai seminari estivi di “Arcevia Jazz Feast”, che si svolgono ad agosto nell’arco di una settimana. Visto il periodo molto concentrato, cerco prima di tutto di comunicare quello che secondo me è utile per il mestiere di bassista all’interno di un gruppo. Poi propongo materiale e argomenti che possano essere sviluppati in modo personale nel corso del tempo. Per me una delle caratteristiche più belle di questa musica è che non esiste un unico modo di suonarla o di studiarla. Io stesso ho seguito lezioni di grandissimi musicisti che talvolta dicevano l’opposto uno con l’altro. Per me questo è un valore aggiunto.
Dal 2001 ad oggi sei presente, come sideman, in quasi cinquanta produzioni discografiche. Come interpreti il ruolo di turnista?
Dipende molto dal contesto. Ecco, forse questo è il mio primo pensiero: capire il contesto in cui mi trovo. Alcune volte basta suonare quello che è scritto in partitura e va già bene così. In altri casi la parte è meno descrittiva (o addirittura non c’è!) e bisogna lavorare su piani diversi, con un maggiore apporto della propria personalità.
A proposito di dischi, quest’anno è stato pubblicato un album a tuo nome, edito da “Notami Jazz”, intitolato “Something About”. In questo CD, dove sei protagonista come contrabbassista e autore dei dieci brani che formano la tracklist, ti sei affidato alle sapienti mani di Simone La Maida al sax soprano e all’alto, Marco Postacchini al flauto, sax soprano, sax tenore e clarinetto basso, Massimo Morganti al trombone, Angelo Trabucco al pianoforte e al piano elettrico e Roberto Desiderio alla batteria. Puoi spiegare la genesi e il mood di questo tuo nuovo progetto?
Ho finalmente raccolto e ordinato il materiale che avevo in archivio da quasi venti anni. Alcune idee erano state solo abbozzate, così ho deciso di svilupparle. Alcuni brani li ho scritto proprio per questo progetto. In questi anni ho suonato in moltissimi gruppi di stili diversi, dai più tradizionali al free, dalla Big Band al jazz rock. Mi è venuto naturale non cercare un’unica direzione stilistica nelle mie composizioni. Invece, ho seguito un percorso tra le varie dinamiche d’ascolto, quasi pensando al disco come un concerto dal vivo con differenti stati emozionali. La scrittura è concepita per lasciare molti spazi di interpretazione ai musicisti coinvolti. Quello che mi interessava maggiormente era creare delle melodie cantabili e strutturate, che consentissero di improvvisare con molta naturalezza e libertà.
Secondo quali criteri hai scelto i musicisti sopracitati per realizzare questo lavoro?
Una volta composti i brani ho cercato il mix giusto per poter realizzare il lavoro nel modo migliore, coinvolgendo musicisti che si sarebbero ritrovati nella mia idea di suono e scrittura. Con Roberto Desiderio, incontrato direttamente su un palco tanti anni fa, senza prove e senza esserci mai visti prima, c’è stata da subito la giusta intesa. Lo stesso per Angelo Trabucco, che oltre a essere un ottimo solista è anche un grande accompagnatore. Ho immaginato che sarebbe stata la coppia perfetta per questo progetto. Per quanto riguarda i solisti mi sono rivolto a tre musicisti con cui ho avuto modo di conoscere a fondo le idee e le capacità espressive, essendo il bassista di molte delle loro formazioni. Simone La Maida, Massimo Morganti e Marco Postacchini, ognuno con le loro caratteristiche, hanno dato un contributo fondamentale al sound generale del gruppo.
In questa stagione estiva presenterai la tua nuova creatura discografica in giro per l’Italia e all’estero?
Questa estate è già molto piena di impegni come sideman, ma dovrò presto attivarmi per fare un lavoro più intenso mirato a promuovere la mia musica. Però anche questa è un’arte. Per ora, chi volesse ascoltarci, può farlo il 10 agosto al festival jazz di Jesi e il giorno successivo a Sant’Angelo in Pontano.