ANTONIO CIACCA: quando l’Italia trova l’America…

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L’ex giovane talento Antonio Ciacca e’ ormai uno dei pianisti piu’ rispettati a livello internazionale. Di casa a New York, che ha ormai da anni preferito all’Italia, tornera’ nella nati’a Puglia per i Seminari Internazionali di Musica Jazz di Orsara. Gli abbiamo chiesto soprattutto della sua attivita’ di docente e dei suoi metodi…

 

Sound Contest: Cosa ti ha spinto a diventare musicista? Qual e’ stato il tuo percorso formativo?

Antonio Ciacca: La musica e’ stata parte della mia educazione fin dall’infanzia. I miei genitori, i miei zii, sono tutti grandi appassionati di musica. Ho cominciato a studiare musica a 8 anni e il pianoforte a 12 anni.


 


S.C.: Hai iniziato subito con il pianoforte o in un primo momento sei stato attratto da altri strumenti
?

A.C.: Ho iniziato subito con il pianoforte. I miei fecero un enorme sacrificio per comprare lo strumento. Quando ho cominciato a studiare seriamente la musica ai tempi dell’universita’ mi sono interessato agli altri strumenti soprattutto batteria che ho nel basement e suono ogni tanto.

 

S.C.: Quali sono stati i tuoi eroi musicali?

A.C.: Charlie Parker e Bud Powell all’inizio poi piu’ avanti Mingus, Monk, Horace Silver ed Ellington.

 

S.C.: Quest’anno sarai ad Orsara per dirigere il seminario internazionale di piano. Puoi parlarci della tua esperienza di docente e del metodo che utilizzi di solito?

A.C.: Il mio metodo e’ una sintesi tra Barry Harris e Lee Konitz quindi Tristano. Faccio studiare l’armonia tonale e l’improvvisazione melodica che parte da Armstrong, Hawkins fino a Parker. Lavoro molto sulla scrittura e l’arrangiamento Jazz.

 

S.C.: Porterai delle innovazioni ad Orsara?

A.C.: La nostra filosofia ad Orsara e’ quella che gli insegnanti devono suonare con gli allievi e portarli ad un livello professionale piu’ alto.

 

S.C.: Oltre ai workshops di piano, composizione ed arrangiamento, curi anche la parte relativa al business musicale. Cosa puoi dirci a riguardo?

A.C.: Con il mio ruolo di Art Administrator qui al Jazz at Lincoln Center e’ naturale che i colleges e seminari mi chiedono di parlare di questa materia. E’ una materia vasta e molto articolata che non si puo’ esaurire in una settimana. Provo a dare una panoramica sulla materia.

 

S.C.: Quali sono i pregi e i difetti che riscontri spesso negli allievi italiani?

A.C.: Pregio fondamentale: il talento naturale per la musica afro americana; difetti: il provincialismo, la poca voglia di lavorare, la mancanza di serieta’.

 

S.C.: Quale aspetto dell’insegnamento di Antonio Ciacca reputi di brillante unicita’?
A.C.: L’esperienza.

Ai miei studenti non racconto favole o riassunti di libri altrui. I miei concetti vengono dall’esperienza. Ai miei studenti porto partiture e arrangiamenti originali di Wynton Marsalis, Joe Lovano, Benny Golson, Lee Konitz. La musica di Monk che mi e’ stata data dal grande Steve Lacy. Loro sognano di vivere e suonare Jazz a New York. E’ esattamente quello che faccio io, quindi penso che qualcosa posso dirgli.

 

S.C.: Ci sono degli esercizi che consigli di solito al fine di migliorare sia l’aspetto tecnico che quello della scrittura?

A.C.: La pratica e’ l’unico esercizio che conosco. Piu’ esperienza accumuli piu’ relax avrai sul palco. Piu’ arrangiamenti scrivi, piu’ sai che cosa certi musicisti sono capaci di suonare e cosa no.

 

S.C.: Pensi che il Conservatorio debba svecchiare le metodologie di insegnamento o sia ancora un punto di forza della formazione musicale italiana?

A.C.: Il Conservatorio deve acquisire credibilita’. In America gli insegnanti di Jazz sono Joe Lovano, George Garzone, John Patitucci, Kenny Barron gente che la musica la fa non la racconta. Quando vedro’ i migliori Jazzisti in circolazione insegnare nei conservatori italiani allora saro’ contento. In Austria in Olanda chiamano Jim Rotondi, Richie Beirach, Dena De Rose, Don Bradem, Ralph Peterson. Come mai in Italia nessuno chiama Steve Grossman, Mike Melillo, Scott Hamilton, Jesse Davis, Greg Burk? Eppure vivono in Italia.

 

S.C.: Qual e’ il tuo approccio alla composizione?

A.C.: Il mio approccio dipende se devo scrivere classica o jazz. Nel primo caso dipende dall’ensemble, dall’ambito espressivo dei musicisti. Comunque prediligo lo sviluppo motivico, timbrico. Se scrivo per jazz ensemble, dove cioe’ la parte preponderante la fa lo swing e l’improvvisazione, faccio molta attenzione alle strutture armoniche. Non mi piacciono i solisti che leggono gli accordi quando improvvisano. Sto ultimando la Orsara Suite per Orsara 2011 e uso strutture molto familiari per i jazzisti: forma canzone, blues, ecc.

 

S.C.: Ci sono delle pubblicazioni che reputi fondamentali?

A.C.: Io ho studiato il libro di composizione di Beethoven e un libro di Shoenberg sempre sulla composizione. Poi quello sull’orchestrazione di RimskyKorsakov. Per il Jazz analizzo partiture in continuazione: Ellington, Thad Jones, Gil Evans, Ernie Wilkins, Eddie Durham, Billy Strayhorn, Tadd Dameron, Benny Golson, Wynton Marsalis.

 

S.C.: Qual e’ stato l’insegnamento piu’ grande che hai ricevuto nel corso della tua carriera?

A.C.: Ce ne sono tanti. Steve Lacy la curiosita’ intellettuale, Benny Golson mettere le regole in discussione, Wytnton Marsalis la cura dei particolari, Lee Konitz la modestia, Marcus Roberts la tenacia, Art Farmer il rispetto per le idee altrui, Joe Lovano l’incoraggiamento verso i giovani musicisti, Barry Harris il rispetto per la tradizione, Jackie Byard il rispetto per la storia del pianoforte, Phil Shaap l’amore per tutto il Jazz.

 

S.C.: Quale modello di pianoforte preferisci?

A.C.: Lo Steinway D di Billy Strayhorn che ho suonato lo scorso 2 giugno non e’ male, gli Steinway in buone condizioni sono i miei preferiti.

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