ARANCIA MECCANICA è il romanzo che Anthony Burgess scrisse nel 1962, portato alla celebrità planetaria grazie alla trasposizione cinematografica che ne fece Stanley Kubrick nel 1971. A distanza di oltre cinquant’anni dalla sua stesura, colpisce quanto Burgess abbia saputo guardare oltre il suo tempo presagendo, attraverso la storia di Alex e dei suoi amici Drughi, una società sempre più incline al controllo delle coscienze e all’indottrinamento verso un “pensiero unico”.
La messinscena di Gabriele Russo – con Daniele Russo interprete principale nel ruolo di Alex – partendo dall’adattamento drammaturgico che lo stesso Burgess fece del romanzo, rimane fedele all’intenzione del testo di porre domande scomode e scuotere le coscienze. Sceglie di farlo attraverso un originale e raffinato racconto per immagini e suoni, dove le scene di Roberto Crea e le musiche di Marco Castoldi in arte Morgan sono parte integrante della narrazione.
Così come nel romanzo la storia viene raccontata in prima persona da Alex, il capo carismatico dei Drughi, nella versione teatrale tutto è vissuto come se ci trovassimo dentro un suo incubo; un mondo rarefatto e onirico in cui però avvengono cose reali, in cui a una causa corrisponde sempre un effetto. La scena è una scatola nera al cui interno si materializzano le visioni di Alex, installazioni di arte contemporanea che si autodistruggono nella scena successiva. Le musiche composte da Morgan hanno Beethoven come punto di partenza, ma man mano si trasformano, trascendono e degenerano per approdare a un’idea deformata di Beethoven, al personalissimo delirio di Beethoven prodotto dalla mente di Alex.
L’aspetto più difficile della traduzione, curata dallo stesso Russo con Tommaso Spinelli, ha riguardato la trasposizione del linguaggio dei Drughi, il Nadsat inventato da Burgess, uno slang inglese con influenze russe. Per non perdere lo straniamento oltre che la violenza che questa parlata ha il potere di trasmettere, si è lavorato sui singoli termini, in qualche caso confrontandosi con la generazione dei nostri diciottenni, avvezza all’utilizzo di un linguaggio che crea identità.
Il pubblico assisterà a un lavoro dall’estetica mozzafiato e dall’emotività dirompente, un meccanismo perfetto che avvince e fa riflettere sul concetto di libertà e sull’idea del male assoluto e fine a se stesso, concepito e attuato per puro godimento.