Piccole meraviglie di artigianato sonoro. La parola a Ferruccio Spinetti

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“Little Wonder” è la nuova deliziosa sorpresa che segna il ritorno di Musica Nuda, l’affascinante e originale progetto di Petra Magoni e Ferruccio Spinetti. L’album, pubblicato dalla Warner Music il 31 marzo solo in Italia e disponibile per il mercato francese e quello internazionale dal 20 aprile, segna un bel ritorno alle radici per proporre con un nuovo repertorio quanto di più intimo e passionale il duo abbia trascritto in musica, servendosi di un approccio minimale che nel corso degli anni è diventato brevetto di successo sia in Europa che nel resto del mondo.

La scia suggestiva lasciata dalla loro produzione e dai loro sempre più affollati concerti si riflette con rinnovato vigore interpretativo ed esecutivo nelle undici tracce del disco, tra dieci cover e rifacimenti, più del solito stilisticamente spiazzanti e apparentemente distanti, e una nuova versione riarrangiata di “Io sono metà” (ripescato dal secondo album del 2006). Come si possa far convivere felicemente sotto lo stesso tetto titoli quali “Is This Love” di Bob Marley, “La vie en rose” di Edith Piaf, “Practical Arrangement” di Sting e “Sei forte papà” di Gianni Morandi (tanto per citarne alcuni) è una capacità bizzarra e misteriosa che solo la cantante toscana e il contrabbassista campano sembrano possedere.

Abbiamo cercato di farci spiegare il segreto e il successo di questa peculiare ricetta scambiando quattro chiacchiere con Ferruccio Spinetti, cogliendo l’occasione di parlare con lui non solo di Musica Nuda ma anche di altre piccole meraviglie nel frattempo accadute o in procinto di accadere.

 

 

MUSICA NUDA e il nuovo album “Little Wonder”. Un disco che arriva dopo 12 anni che tu e Petra Magoni suonate insieme. Un ritorno a quelle che sono le caratteristiche sorprendenti di questo progetto nato proprio sull’essenzialità, sull’austerità di una voce duttilissima e di un suono legnoso ma profondo come quello del contrabbasso. Spesso il tuo approccio sembra quello che si ha con un violoncello, lo strumento a corde più in sintonia con le capacità vocali. Com’è nato il disco? Sappiamo che l’avete registrato in un piccolo teatro toscano. Cosa vi ha indotto a scegliere questo particolare ambiente per la realizzazione dell’album e quale metro di giudizio avete adottato per la cernita dei pezzi inseriti?

 

Innanzitutto, facendo un passo indietro, proprio come dicevi tu, torniamo alle origini dopo 12 anni. 12 anni fa ci siamo incontrati su un palco, io e Petra Magoni, in una serata assolutamente casuale. Eravamo in un quartetto dove suonavano anche Fausto Mesolella, mio compagno negli Avion Travel, e Roberto Piermartire, un trombettista marchigiano. In quell’occasione suonammo “Roxanne” con solo contrabbasso e voce. Fummo così folgorati da un feeling artistico che si era instaurato in modo inaspettato. Dopo qualche settimana Petra doveva fare un concerto con un chitarrista che si ammalò. Mi chiamò per chiedermi di sostituirlo e di suonare in acustico in questa enoteca. Nel pomeriggio prima del concerto provammo e mettemmo su più di trenta pezzi, potendo contare su una sintonia fortissima e su una visione artistica con molti punti in comune. Un successivo pomeriggio decidemmo di incidere il nostro primo disco “Musica Nuda”, che poi ha dato anche il nome al progetto. Allora il costo totale dell’operazione fu di 800 euro e nel corso di questi 12 anni il disco ha venduto quasi 100.000 copie. In questi 12 anni sono accadute tantissime cose: 7 dischi e più di 1000 concerti. Riguardo agli album avevamo sempre qualche ospite in più mentre addirittura nel penultimo “Banda Larga” avevamo suonato con un’intera orchestra sinfonica diretta dal grandissimo Daniele Di Gregorio.

Negli ultimi tempi, tuttavia, sentivamo l’esigenza di tornare all’essenzialità, a ciò che più ci caratterizza, come dicevi tu. Quindi ci siamo chiusi in questo teatro di San Casciano, in provincia di Firenze, datoci gratuitamente per tre giorni. Perché la scelta di un teatro? Perché, come puoi immaginare, ci siamo portati il nostro studio mobile, e registrare in teatro voleva dire, ancora una volta, registrare in massima libertà. Quindi senza cuffie, senza sovrastrutture, simulando l’atmosfera dei nostri concerti dal vivo. Lì abbiano inciso più di trenta tracce, come nostro solito, quasi tutte cover. La scelta delle undici finite nel disco è semplicemente dovuta alla necessità di dare all’opera un suono e una certa uniformità, sebbene chi legga la nostra tracklist potrebbe poi prenderci per pazzi. Si passa da Is This Love di Bob Marley a Sei forte papà, da Stessa spiaggia, stesso mare in una versione francese a una bellissima canzone di Sting.

Però chi conosce Musica Nuda sa che la nostra forza è questa voglia di variare sempre e pescare da un repertorio vastissimo, che può oscillare tra una composizione di Monteverdi e un hit di Raffaella Carrà. Quindi l’album è un po’ lo specchio di quello che siamo io e Petra. Quello che da fuori può sembrare una debolezza, essere in due e non avere altri strumenti attorno, alla fine è la nostra forza, perché se riusciamo, in un concerto e in un disco, a fare questi salti pindarici è proprio grazie al suono che uniforma tutto quello che andiamo a proporre.

Mi ha colpito, strumentalmente e tecnicamente, la prova che hai dato in Ain’t No Sunshine di Bill Withers. Cosa comporta cercare di riempire i vuoti e l’assenza di altri strumenti solo con il contrabbasso e con accessori quali l’archetto e il pedale wah-wah?

 

Credo che sia innanzitutto necessaria una preparazione di base, e ciò vale un po’ per tutti gli strumenti che uno può decidere di suonare oggigiorno. Io ho fatto il conservatorio e mi sono diplomato a Napoli. Però l’esperienza pluriennale di Musica Nuda ha dato sia a me che a Petra Magoni la possibilità di effettuare un percorso di esplorazione riguardo alle nostre capacità tecniche e perché no, anche di fare necessità virtù. Quando sei da solo in qualche modo devi inventarti qualcosa. Quindi le nostre esplorazioni sono state anche sul suono, su ciò che puoi cacciare dal contrabbasso piuttosto che dalle corde vocali. Quindi per quel che mi riguarda non è solo il suono sul pizzicato o quello sull’arco, a volte la ricerca può anche essere rumoristica, a volte si trasforma in una percussione, come quando suono la cassa armonica alla stregua di un cajon.

Poi, ovviamente, in studio, in particolare sul brano che hai citato, ho potuto fare una sovraincisione d’arco e ti rivelo anche questo simpatico aneddoto; quando ci siamo trovati a fare a la masterizzazione a Milano il tecnico del suono, un esperto professionista che ha lavorato con personaggi e musicisti di grande spessore, ha chiesto meravigliato: “Ma chi è il chitarrista che suona in questo pezzo?”. Era convinto di ascoltare una chitarra elettrica distorta mentre ero semplicemente io che suonavo l’arco vicino al ponte e producevo quel tipo di suono un po’ effettato.

Ti ripeto, è un’esplorazione che sia io che Petra ci siamo trovati a fare giorno dopo giorno e che sicuramente non avremmo potuto effettuare stando in altre formazioni. Se un domani mi ritrovassi a suonare con gli Avion Travel oppure in un quartetto jazz con Rita Marcotulli non potrei mai suonare il contrabbasso con questa libertà che sento di godere quando suono con Petra.

 

La popolarità e il successo che godete in Francia e in Europa sono ora, finalmente, traslocati anche in Italia. Presto il vostro tour di quest’anno vi porterà a suonare anche in Sudamerica e negli Stati Uniti. Qual è il tipo di risposta e reazione del pubblico estero di fronte al vostro repertorio, visto anche che vi proponete in festival eterogenei, che possono andare dal jazz al pop-rock?

 

Come hai sottolineato, una grande forza di questo progetto è di poter passare con disinvoltura dal festival jazz a quello di musica classica o pop. In Portogallo l’anno scorso ci siamo esibiti in un festival prevalentemente hard rock, eppure anche lì hanno voluto Musica Nuda. Questa duttilità, questa facilità di stare in ogni luogo e situazione, rintracciabile finanche nel modo stilisticamente diverso in cui i negozi e i rivenditori di dischi dispongono e classificano i nostri album, lo reputo un importante valore aggiunto, proprio perché non siamo etichettabili in modo certo. In fin dei conti è assolutamente vero e giusto. Testimonia e ribadisce che io e Petra amiamo la musica a 360 gradi.

Per rispondere ancor meglio alla tua domanda ti assicuro che quando suoniamo all’estero non c’è un pubblico di serie A o serie B. La stessa scaletta la posso suonare a Caserta, a Parigi oppure a Lima e credimi, funziona lo stesso con ottimi risultati di gradimento. Perché poi la gente si emoziona per le stesse cose, ride per le stesse cose, con l’unica differenza – e nota ancor più positiva -che quando suoniamo all’estero il pubblico chiede e desidera ascoltare più brani italiani, senza sottilizzare sul fatto che siano originali inediti o cover. La curiosità è rivolta essenzialmente verso la nostra lingua. Un po’ come quando ti capita di assistere ad un concerto in Italia di Caetano Veloso, lo vai ad ascoltare desiderando che canti in portoghese e non in inglese o in italiano.

 

Hai appena citato Caetano Veloso e pertanto mi dai un assist perfetto per chiederti della tua grande passione per la musica brasiliana. In “Little Wonder” un aggancio non poteva mancare, e infatti troviamo Far niente di Chico Buarque che ospita al flauto e alla chitarra Nicola Stilo, grande specialista del genere. Però volevo chiederti anche qualche dettaglio circa il tuo progetto InventaRio, il cui secondo album “InventaRio incontra Ivan Lins” ospitava oltre a Lins un parterre di musicisti straordinari. Il successo dell’opera ha poi fatto sì che partecipasse alle nomination per il Latin Grammy Awards 2014. Intravedi la possibilità di portare avanti questo discorso e pubblicare altri dischi?

 

Sì, il progetto esiste e come hai detto abbiamo anche rischiato di vincere il premio lo scorso novembre, sebbene in Italia non se ne sia accorto nessuno. Il gruppo è un quartetto formato da me, Giovanni Ceccarelli al piano, Francesco Petreni alla batteria e alle percussioni e dal brasiliano Dadi Carvalho alla voce e alla chitarra. Questo gruppo è anch’esso molto duttile. Il primo disco era principalmente su composizioni di Dadi riadattate in italiano. Il secondo era invece tutto focalizzato su brani del grandissimo Ivan Lins, che è venuto in Italia appositamente ed è restato con noi per quindici giorni. C’è stata un’operazione di riadattare i suoi testi dal portoghese all’italiano e anche al napoletano, con Maria Pia De Vito che ha cantato Renata Maria reintitolata Stella d’a mia. Il disco è andato benissimo e ci ha fatto candidare ai Latin Grammy, poi vinti dalla grandissima Marisa Monte.

Il progetto va avanti con difficoltà soprattutto per l’aspetto “live”, perché essendo i suoi componenti sparpagliati per il mondo è difficile pensare a una tournée, mentre discograficamente stiamo pensando di incidere un nuovo album. È lo stesso Ivan Lins che vorrebbe fare il bis, però abbiamo idea di lavorare ad un repertorio molto più jazzistico, fondato sull’improvvisazione e su dei testi che impiegano un linguaggio inventato, che esiste e non esiste, una cosa che sulla carta si presenta molto stimolate. Speriamo di poter iniziare a ottobre o entro la fine dell’anno, però stavolta mi piacerebbe andare a inciderlo proprio a Rio, perché i primi due li abbiamo registrati a Siena e ora sarebbe bello far nascere il nuovo in Brasile.

Sei anche docente presso la scuola universitaria di Siena Jazz. Cosa vedi di diverso oggi sul piano della didattica e su quello della risposta e dell’atteggiamento degli allievi?

 

Guarda, a livello didattico c’è un abisso. Mi spiego meglio. Io alla fine degli anni Ottanta, quando avevo tra i 19 e 20 anni, per cercare anche una base musicale normale su cui allenarmi dovevo fare i salti mortali. Inutile dirti che oggi, invece, i ragazzi accendono il computer e possono scaricare il mondo: metodi, file digitali, spartiti. Però per assurdo questo è un po’ come quando uno scarica tutta la discografia dei Beatles e dei Pink Floyd e poi non riesce o non ha tempo per ascoltare bene nessun disco o nessuna canzone dall’inizio alla fine. Purtroppo accade anche nella didattica, nel senso che i ragazzi hanno veramente tante informazioni ma poi non focalizzano l’attenzione su un argomento specifico. In più, rispetto a vent’anni fa, noto una maggiore disattenzione da parte dei giovani verso quello che vuol dire un percorso serio. Studiare al conservatorio o ad una scuola di jazz dovrebbe essere come studiare Ingegneria o Medicina all’università.

Invece, purtroppo, non è così. Quest’anno insegno anche al conservatorio di Pesaro sulla cattedra di contrabbasso jazz e sono rimasto deluso da questo punto di vista. Pur con le dovute eccezioni e i numerosi casi che fortunatamente mi smentiscono, e qui penso a giovani come Enrico Zanisi, Giovanni Guidi oppure a Francesco Ponticelli, dopo vent’anni che non mettevo piede in un conservatorio mi sarei aspettato maggiore concentrazione e volontà di studiare da parte dei ragazzi. Invece ho riscontrato la solita totale distrazione che c’è in giro oggi. Tutti pensano di sapere tutto e poter fare tutto mentre alla fine nessuno è in grado di eccellere in una sola cosa. Credo sia veramente desolante.

 

Vorrei approfittare dell’occasione per chiederti anche che possibilità e spiragli ci sono di rivedere dal vivo e ascoltare con un nuovo disco gli Avion Travel. Proprio tu accendesti la miccia che poi diede luogo all’acclamato reunion tour dal vivo del 2014.

 

Era gennaio 2012 quando per assurdo buttai questo sassolino a tutti gli altri cinque del gruppo. La motivazione venne dal fare un concerto al teatro comunale di Caserta per soccorrere economicamente la squadra di basket cittadina, la Juve Caserta, visto che io sono da sempre un grande appassionati di basket e quell’anno non si sapeva se la società sarebbe stata in grado di portare a termine il campionato per il bilancio in rosso. Quel concerto serviva più che altro a sensibilizzare la città e il territorio sulla questione e non certo per risolvere la situazione con l’incasso dello spettacolo. Quella fu però l’occasione per ritrovarci insieme non tanto sul palco quanto nei camerini, a rivivere umanamente tra noi quella che era stata la bella storia e avventura degli Avion, che dal 1990 mi ha unito agli altri per 22 anni della mia vita. Da quell’evento siamo poi riusciti a mettere in piedi il “Retour” dell’anno scorso e anche lì ci siamo guardaci in faccia e ci siamo chiesti cosa poteva succedere. Abbiamo fatto 15 date in dei posti magnifici, penso all’anfiteatro romano di Lecce piuttosto che alla cavea dell’Auditorium del Parco della Musica.

Adesso tra di noi stiamo parlando dell’eventualità e della voglia di fare qualcosa in studio. Anche lì, come per il discorso del mio progetto con i brasiliani di InventaRio, stiamo programmando per la fine dell’anno o agli inizi del prossimo di ritagliare almeno tre mesi da dedicare agli Avion Travel, perché l’unico modo per dare nuovamente linfa e motivazione al gruppo è fare un disco nuovo. Magari ci sta pure che quest’estate ci scappi qualche concerto in un festival importante ma il salto vero sarebbe quello di riunirci per lavorare ad un disco.

Ti ripeto, stiamo valutando le ipotesi, perché poi, per fortuna, ognuno di noi, nei progetti singoli, ha molto da fare. Che te lo dico a fare: io con Petra Magoni, Peppe Servillo con il Solis String Quartet e con il fratello Toni Servillo nel teatro, Fausto Mesolella che sembra davvero il chitarrista più richiesto d’Europa, e che tra l’altro fra poco uscirà con un bellissimo disco insieme a Stefano Benni che gli ha regalato diverse poesie da musicare e a cui anch’io ho partecipato, Mario Tronco con l’Orchestra di Piazza Vittorio e così via. Se mi dessero la garanzia di resuscitare gli Avion Travel io ci metterei la firma. Speriamo di farcela.

 

Terminiamo con Musica Nuda e “Little Wonder”. Il 31 marzo, giorno d’uscita ufficiale del disco in Italia, il vostro tour promozionale è partito da Milano, al Teatro Elfo Puccini che ha registrato subito e in pochissimo tempo il sold-out dei biglietti. Che emozione avete provato?

 

Ti dirò, una sensazione e un’emozione fortissime, perché tornando anche al titolo dell’album, ossia “piccola meraviglia”, ancora io e Petra ci meravigliamo quando entriamo nei teatri e li troviamo così pieni di pubblico e di calore pazzesco. Ci meravigliamo ancora come quando agli inizi andavamo ad attaccare le locandine dei concerti che facevamo nei piccoli locali toscani o nelle pizzerie di Caserta. Mantenere certi ricordi e provare ancora queste emozioni è davvero importante. Io mi definisco un piccolo artigiano della musica e il conservare quest’idea di semplicità e cura dei piccoli dettagli è la chiave vincente per andare avanti.

 

 

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