La visione onirica che suona in un nuovo disco

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Ci piace sottendere il senso immediato. Ci piace nascondere il primo significato. Ci piace illudere l’impressione che gioca a carte con l’apparenze. Nasce “CHIMERA”, il nuovo disco di Alessandro Zannier, il nuovo disco firmato OTTODIX. Visionario ed etereo, incandescente di protesta sociale e sottile di quella denuncia che forse arriverà a stento ai pochi eletti della comunicazione tra le righe. Un disco che ci piace ascoltare senza aver pretese di ballare ritornelli facili e ripetitivi, senza l’ambizione di cercarne hit radiofoniche da viaggio con gli amici. Senza l’ambizione di restar fermi nella meschinità di un qualunquismo strumentalizzato ad arte. Perché oltre ogni riga ripetuta e al di là di ogni istinto cantato di getto, Ottodix ci regala un lavoro che celebra il decadimento e (forse) ne annuncia la rinascita. Sociale, umana, spirituale. Politica.

Ma “CHIMERA” è anche una mostra, sono anche installazioni…e, non contenti, “CHIMERA” è anche un cortometraggio di cui, un primo estratto, compone proprio quello che è stato designato videoclip ufficiale del singolo “Post”.

Eccovi due chiacchiere con Ottodix, prima di tutto…

 

CHIMERA. Elettronica e trasgressione. Metafora a tutto tondo. Un cortometraggio, installazioni e mostre, un video, un disco. C’è qualcosa che hai lasciato fuori? Per esempio: esisterà anche un libro a raccontare questo progetto?

Mi meraviglio della lungimiranza di questa domanda. Non me l’aspettavo. In effetti ci sto lavorando davvero: ho steso i primi due capitoli e mi piacerebe pubblicarlo entro l’anno prossimo, ma direi che è ancora prematutro parlarne. In ogni caso credo che sarebbe un’occasione magnifica per fare il punto completo su tutta l’operazione “Chimera” tra arte, musica, video e scrittura, una volta conclusa. Sarebbe il mio primo vero romanzo dopo la pubblicazione dei quattro racconti (se pur collegati) nel libro “I fantasmi Di Ottodix” (001 Edizioni 2013), creato per supportare l’antologia di singoli per i 10 anni di carriera degli Ottodix.

 

Arte visiva e arte sonora. Quale delle due ti rappresenta al meglio?

Credo di essere davvero sempre stato una creatura ibrida io stesso, come la Chimera della mitologia, per questo dico che l’album e le mostre, finalmente, mostrano chi sono davvero. Quindi, invertendo la tua domanda, solo ora posso dire che le mie arti mi rappresentano al meglio. Prima, solo con la musica o con l’arte visiva mi mancava sempre qualcosa.

 

I miti e le chimere. I mostri e le illusioni. Un tempo erano dogmi di fede intoccabili. Oggi ne abbiamo? Esistono cose reali o immaginarie che riescono a mettere paura e a restare appunto intoccabili?

In realtà i miti e le chimere sono sempre stati modelli da rincorrere, pur sapendo che non si possono mai raggiungere. Dei modelli di ideale. Credo che sia sotto gli occhi di tutti, ormai, l’urgenza di sostituirli con nuovi modelli, perché la società occidentale si sta avvitando in una serie di problemi irrisolvibili, se non con un cambio di forma mentis radicale. Questo è il senso e l’auspicio ultimo dell’ album e di questa mia operazione artistica, figlia della crisi e dell’inquietudine crescente che si respira tutto attorno. La riproposizione ossessiva dell’impostazione novecentesca del nostro sistema, della crescita economica, dell’eterna giovinezza, della velocità, dell’innovazone nel mercato, dello sfruttamento delle risorse, devono finire e diventare altro, perché è chiaro che tutto questo non può più essere sostenuto. Le vecchie chimere vanno smascherate, mostrate in pubblico in tutto il loro orrore, messe al muro e distrutte.

 

 

La produzione di questo disco. Come senti di poterla raccontare?

E’ stato un viaggio lunghissimo. Tre anni. Dopo Robosapiens (Discipline 2011) mi sono preso mesi di pausa per lasciar il cervello vergine di nuovo, per far germogliare pian piano nuove idee. Dopo aver scritto e realizzato una manciata di nuovi pezzi scollegati tra loro, con grande fatica aggiungo, come ogni volta che si riparte da zero, è successa una piccola magia. Ho deciso per divertirmi di realizzare un brano complesso, pieno di orchestre e elettronica, rumorismo organizzato e melodie retrofuturiste, piene di archi e di fiati, di metterci dentro pure i Beatles.. Insomma, mi son voluto divertire con un autentico capriccio che non avevo idea se pubblicare o meno, una volta terminato. Ne è uscito “Chimera Meccanica a vapore”, il pezzo porrtante dell’album, che ha immediatamente dato un senso anche agli altri brani “circostanti”.

Da lì è nata tutta l’idea del concept esteso anche in arte. Volevo fare un disco oscuro che parlasse di questo clima da apocalisse imminente e di forconi guidati da rabbia cieca e poca lucidità, in cui tutti additano l’altro, ma non si prendono responsabilità per colpe nate e seminate già nel ‘900. Una volta imbastito questo canovaccio ho sistematicamente continuato a lavorare sui progetti arte-musica, in tandem o in simultanea. Per questo l’operazione risulta molto compatta e coerente. Le registrazioni sono state fatte tutte a casa mia per l’elettronica e in studio per le complicate sessioni di voce e cori, assieme al bravissimo Alberto Gaffuri, che ora è in California. “Le Città Immaginarie”, l’ultimo brano realizzato, è stato cantato e lavorato nelle voci a distanza tra Santa Monica e Treviso. Ci sono molte mie sovraincisioni di voce in cui simulo addirittura dei cori gospel, imitando il timbro dei coristi di colore nelle parti basse e delle voci femminili in quelle alte, cambiando la posizione della gola, del suono “in maschera” e addirittura tappandomi il naso più o meno (!)

Poi c’è stata per la prima volta la presenza di una importante sessione di fiati da orchestra da me arrangiati, oltre che il raffinato sax di Sergio Pomante (unico ospite esterno) e in alcuni brani un preziosissimo quanto inusuale per i miei album, inserimento della potente batteria acustica di Mauro Franceschini, Con Ottodix da 12 anni, che ora suona anche con i Captain Mantell. Mauro ha contribuito anche realizzando in gran parte uno dei quattro interludi strumentali, “Stormi Di Uomini Volanti” che rappresentano i momenti di sperimentazione pura di questo disco, restituendo un’atmosfera ambientale più vicina al cinema e al soundtrack.

 

Un progetto così complesso pensi possa nascere solo dal genio creativo e dalla fantasia? Oppure c’è molto altro di tangibile, di autobiografico?

Beh, la creatività serve per avere dapprima una visione, un’intuizione che possa fungere da contenitore generale, poi serve però abilità e mestiere per collegare tutta una serie di idee collaterali a questa, per dar loro unità e scorrevolezza, oltre che senso logico. L’obbiettivo finale è però quello di realizzare qualcosa che si occupi e che riconduca alla cruda, vera realtà. Il volo immaginifico e visionario dell’artista funziona solo quando ha il potere, alla fine, di ritornare bruscamente “a terra” sbattendoti in faccia la realtà e i problemi veri di cui ti vuol parlare. La rivelazione, insomma, che giustifica un sogno apparentemente sconclusionato e che da un brivido di scoperta. Un’ opera d’immaginazione, se non ha il potere di parlare della vita vera e delle paure o dei problemi di tutti, non serve a nulla ed è solo un capriccio estetico o una masturbazione per sedicenti artisti o per un pubblico che ama fruire di cose cervellotiche che non riesce esso stesso a capire.(ma non lo dirà mai)

 

A dicembre il cortometraggio. Due parole e due anticipazioni?

Giusto due, perché l’opera è di Vittorio Demarin, il regista, col quale collaboro e per cui curo la supervisione dell’omonimo cortometraggio. Sarà la breve storia (muta) di un uomo senza volto guidato da una misteriosa piramide nera fluttuante, attraverso varie vicissitudini simboliche, con in sottofondo una versione strumentale di alcune delle arie principali di Chimera, l’album. Questi contenuti strumentali extra, questi spezzoni, verranno resi disponibili in rete riorganizzati in versioni compiute e complete. Una sorta di breve versione soundtrack dell’album, legata al corto.