Quando l’improvvisazione diventa forma di comunicazione

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Virtuoso trombonista, compositore e improvvisatore, Gianluca Petrella e’ una della rare “menti” musicali nazionali che all’estero ci invidiano. Capace come pochi di stare con due piedi dentro piu’ scarpe contemporaneamente, ha recentemente prodotto e pubblicato con la propria label Spacebone l’album “Il Bidone”, dedicato al repertorio di Nino Rota, ma e’ anche in giro a promuovere dal vivo il debutto discografico ufficiale di “SoupStar” progetto in duo condiviso con il pianista Giovanni Guidi. A tutto cio’ aggiungete la Brass Bang, i consueti impegni con il quintetto storico di Enrico Rava, il rispolvero della sua Cosmic Band, piu’ altre imprevedibili apparizioni in progetti altrui e avrete l’idea di un musicista senza limiti e freni, preoccupato solo di alzare sempre piu’ l’asta della creativita’ oltre cui saltare e di stabilire contatti con il maggior numero di espressioni sonore che circolano sul pianeta Terra. In questa densa intervista “aperta” ha accettato di raccontarci le sue ultime creazioni e collaborazioni, abbracciando poi nella conversazione altre sue esperienze, passioni e considerazioni.

 

 

Gianluca, partirei direttamente dal tuo ultimo album “Il bidone”. Negli ultimi anni sono stati molti gli omaggi fatti a Nino Rota, in Italia e all’estero. Pero’ dal punto di vista creativo il tuo e’ un disco che spiazza, dagli arrangiamenti sorprendenti e immaginifici. Cosa ti ha spinto a lavorare su Nino Rota? Quali peculiarita’ e aspetti della sua opera ti attraggono come compositore e autore?

Tanti e diversi aspetti mi hanno indotto a omaggiare Nino Rota. In primis, sopra qualsiasi altra cosa, metterei la mia conoscenza di Nino Rota, perche’ non e’ la prima volta che tratto la sua musica in un contesto prettamente jazzistico. Addirittura mi ricordo che gia’ dall’adolescenza, in gruppo di cui faceva parte anche Antonello Salis, ci si occupava di arrangiare e presentare in concerto qualche pezzo di Rota. Un altro motivo importante riguarda il fatto che essendo cresciuto e avendo studiato presso il conservatorio di Bari, la figura di Rota e’ stata davvero importante. Lui, infatti, ne fu il direttore per diversi anni. Quindi era un personaggio molto stimato e popolare. Purtroppo io arrivai dopo che lui aveva gia’ abbandonato la direzione. Nonostante cio’, all’interno dell’istituzione la sua figura e il suo insegnamento restavano imponenti e continuavano a mietere ammirazione. Anche mio padre me ne parlava molto, insieme a molti altri miei insegnanti che nel conservatorio avevano avuto la fortuna di conoscerlo e di lavorargli accanto. Questi erano tanti spicchi di conoscenza che si andavano ad aggiungere sul personaggio. Dopodiche’ ho ricevuto questa proposta, qualche anno fa, dall’associazione I-Jazz nella persona di Corrado Beldi’, direttore artistico del festival di Novara, il quale mi aveva chiesto di assumere la direzione del gruppo che rappresenta questo consorzio di festival, organizzatori e promotori di eventi. Infatti, ogni anno, questo pool affida a qualcuno la direzione di un progetto che lo rappresenti. Quindi facendo la somma di tutti questi termini, vale a dire la mia personale conoscenza della musica, del personaggio di cui tutti mi avevano parlato e di questa speciale proposta da parte di I-Jazz, ho accettato l’incarico. Da li’ sono partiti dei concerti culminati poi in questa registrazione. Infatti, credo che sarebbe stato un peccato non documentare il lavoro svolto per quel progetto dopo quel piacevole incarico. Il gruppo che ne fu artefice e’ ancora attivo ed e’ adesso impegnato nella promozione del disco. Non rappresenta piu’ l’associazione I-Jazz, poiche’ il mandato e’ scaduto, quindi mi sono sentito libero di portarlo avanti per conto mio e di effettuare questa registrazione di cui sono stato anche produttore.

 

gianluca_petrella_ph_crimiRaccontiamo un po’ cosa contiene “Il Bidone”. Vorrei che tu chiarissi e descrivessi nel dettaglio quelle che sono le caratteristiche di alcuni brani. In primo luogo c’e’ un’accoppiata mozzafiato, “Ballerina Night” e “Il teatrino delle suore”. Sono pezzi in cui si rileva un’aurea sperimentale articolata gia’ dal punto di vista strumentale, pero’ vi sono anche delle cose importanti riguardo a certe spericolatezze vocali a’ la Mike Patton, unite ad atmosfere di matrice noir e hard boiled che soprattutto ne “Il teatrino delle suore” danno vita a una sorta di dodecafonia notturna. Questi sono alcuni aspetti che conducono, a mio avviso, ad un positivo stravolgimento dei temi originali. Tu cosa ne pensi?

Beh, diciamo che il lavoro d’arrangiamento e’ inserito in una dimensione soggettiva che varia in ognuno di noi. Ovviamente io, in questi tipi di arrangiamento che hai ascoltato, ho messo molto del mio. Sono gli arrangiamenti che meglio mi rappresentano. Sarebbe molto facile suonare i brani in modo piuttosto fedele agli originali, senza dargli una particolarita’. Io, alla fine, ritengo d’essere uno che con queste cose si complica la vita. Questo mio complicarmi la vita da’ spesso come risultato quello di spiazzare l’ascoltatore, il che rientra proprio tra i miei obiettivi preferiti. Ora stiamo parlando di uno dei miei dischi piu’ “leggeri” incisi negli ultimi tempi, poiche’ credo che quelli precedenti fossero molto piu’ “duri” e “riflessivi”. In questo specifico caso il repertorio trattato mi ha giocoforza costretto a stare un po’ piu’ tranquillo. Nondimeno ho cercato di modellare i brani secondo una mia visione personale, cosicche’ gli arrangiamenti che ne sono scaturiti ben aderiscono alla tua descrizione. Sono un po’ cupi come ne “Il teatrino delle suore”, un brano che e’ un’improvvisazione sulla melodia portante riprodotta e mantenuta dai violini e dagli archi campionati da Andrea Sartori, colui il quale ha gestito in studio l’ambito elettronico. Su queste sue basi noi abbiamo improvvisato in totale liberta’, mantenendo tuttavia la concentrazione necessaria per ottenere alla fine un prodotto completo. Questa e’ una formula che ho spesso usato e affinato nel tempo, ossia improvvisare su un tema principale, cercando di tenere in disparte il suo aspetto formale e virando invece verso altri tipi di situazione. “Il teatrino delle suore” mi sembrava perfetto per applicare questo mio pensiero compositivo che discende essenzialmente da una prassi improvvisativa. Per quanto riguarda “Ballerina Night” concordo con quanto hai detto. Il lavoro fatto da John De Leo e’ semplicemente straordinario, d’altronde mi sembrava sprecato utilizzare una voce dotata come la sua, facendole cantare cose banali. John tecnicamente e’ molto valido e da lui si possono tirar fuori cose interessanti, che vanno ben al di la’ di cio’ che solitamente si richiede o ci si aspetta da un cantante jazz. In Italia purtroppo abbiamo ancora pochi cantanti uomini che scelgono la carriera e la strada del jazz; al contrario la quota rosa e’ molto piu’ alta ma con una percentuale molto bassa di originalita’ e qualita’ progettuale. Da un cantante io invece pretendo una forte nota di colore e se ci fai caso in questo disco John e’ usato piu’ come una sorta di terzo strumento a fiato, escludendo i testi per far esclusivamente leva sui suoi vocalizzi e le sue improvvisazioni. Questo rientra sempre nella mia concezione di volere la musica in un certo modo.

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