ISCHIA JAZZ 2010 si fa in due… e nasce Ischia Rock Festival

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In controtendenza rispetto all’attuale politica, che tende a disincentivare le iniziative culturali a causa delle avverse contingenze economiche, Ischia Jazz ha moltiplicato i giorni dedicati all’ormai consolidato appuntamento preautunnale con la musica, da qualche stagione addirittura diluito un pò in tutto l’arco dell’anno, ma che tocca l’apice dello sforzo organizzativo con il Festival vero e proprio di fine estate. Cambiando pero’ un pò genere, ed aprendosi a tendenze musicali diverse ed ad una nuova fetta di pubblico, con una inedita iniziativa battezzata Ischia Rock. Tre giorni di musica rock, appunto, sempre e comunque di quello buono, ospitato dall’Arena Mirtina, due dei quali ad ingresso gratuito; Il Cielo Di Bagdad, Abulico e 24 Grana il primo, Blessed Child Opera, Thisorder e Mantra il secondo. Poi il terzo giorno e’ stato affidato alla “mitica” PFM, che ha dedicato la prima parte del concerto al compianto collega-amico-poeta Fabrizio De Andre’, e la seconda parte alla riproposizione degli intramontabili successi che negli anni hanno portato al successo il gruppo. Tre giornate che, sommate alle quattro serate di jazz, fanno una settimana in tutto, piena zeppa di musica.

Molteplici e diversi i temi trattati in questa dodicesima edizione della sezione jazz “vera e propria” dell’Ischia Festival 2010, i cui appuntamenti sono stati di nuovo magistralmente condotti, ben introdotti e delineati dal sempre incisivo e misurato Gino Castaldo.


L’attenzione si e’ concentrata, la prima serata – o la quarta, che dir si voglia – su due diversi ed originali percorsi evolutivi della musica di provenienza cubana, con l’esibizione, nella prima parte, di Gonzalo Rubalcaba al piano solo, una visione jazzistica eterea ed intimista, che si allontana a tratti dalla tipicita’ ritmica cubana, e nella seconda parte di Omar Sosa, col suo quartetto Afreecanos, che ha invece rivestito di particolari raffinatezze le trame ritmiche proprie dell’isola cubana, che le ha, a sua volta, evolute dalle ritmiche africane.


La seconda serata ha riservato un’inconsueta contaminazione del jazz sul flamenco con la partecipazione del quartetto del pianista compositore e cantante Diego Amador che, senza pregiudizio alcuno, arriva a suonare il pianoforte percuotendone le corde con le bacchette, col risultato di sdoganare il flamenco dai propri confini canonici per portarlo sulle rotte dell’improvvisazione jazz.


Un particolare tributo a Miles Davis, che ha rappresentato grandissime innovazioni nella storia del jazz, e’ stato riservato nel corso della terza serata con l’esibizione di Antonio Farao’ e del suo quartetto; l’apporto del necessario strumento protagonista era affidato al trombettista-rivelazione Jeremy Pelt che ha interpretato Davis con personalita’ e rispetto, mantenendo il suo ruolo di protagonista con discrezione e senza mai invadere la scena. Al loro fianco un generosissimo Eddie Gomez al contrabbasso, che ha apportato la sua storica esperienza storica, maturata direttamente al fianco di Davis, ma anche di Bill Evans, di cui diremo subito dopo, ed il batterista-supplente Andre’ Ceccarelli, in sostituzione dell’impossibilitato Mike Clark.

Ma l’iniziativa centrale e’ stata rappresentata dal ricordo del pianista Bill Evans, con la ricorrenza, proprio nella meta’ di settembre di quest’anno, del trentennale della sua morte. L’iniziativa si e’ concretizzata, oltre che con la dedica dell’intera edizione del Festival e del concerto del quartetto del pianista Enrico Pieranunzi, con un seminario, dal titolo “Don’t forget the poet” – “non dimentichiamo il poeta” – tenutosi nella splendida cornice del Castello Aragonese di Ischia Ponte. Alla conferenza hanno partecipato lo stesso maestro Pieranunzi, compositore oltre che pianista e grande studioso della poetica musicale di Evans, che assieme a Silvano Arcamone, direttore artistico del festival, ha fortemente voluto la realizzazione di questa iniziativa, i francesi Pascal Weitzel, puntiglioso trascrittore di moltissime interpretazioni di Bill Evans che ha pubblicato diversi libri di partiture, e Ludovic Florin, musicologo e docente di Jazz, i giornalisti e critici musicali Claudio Sessa, ricercatore e studioso di Bill Evans, e Vittorio Castelnuovo, autore di diverse trasmissioni sulle origini e la storia del jazz su Radio Tre Rai. Appare sorprendente come un personaggio dal carattere schivo – addirittura scontroso – come Evans possa generare, a trent’anni dalla sua scomparsa, una cosi’ grande e varia molteplicita’ di opinioni, talora contrastanti, ma e’ certo che l’apporto innovativo di Bill Evans nel jazz siano stati il tocco e la raffinatezza armonica, derivati dai suoi studi classici, un apporto “colto” e poetico – appunto – e la sua grandissima sensibilita’ – che ha causato, forse, la sua tendenza all’autodistruzione – riconosciuti anche da Miles Davis a tal punto da volerlo fortemente a partecipare ai processi di ricerca evolutiva del jazz che portava avanti con il suo gruppo, a dispetto di molte opinioni di colleghi – tra cui John Coltrane – e del suo pubblico di colore, contrari all’ingerenza di un bianco in una musica “di proprieta’” dei neri. Nessuno avrebbe potuto meglio di Enrico Pieranunzi rendere omaggio a Bill Evans, non tanto per il fatto che, molto spesso, il suo pianismo e’ stato considerato influenzato da Evans – circostanza che, peraltro, Pieranunzi nega fermamente, affermando di aver avuto maggiori influenza da Chet Baker o da Chick Corea – ma piuttosto perche’ recentemente ha approfondito la tecnica pianistica e la poetica espressiva di Evans fino a scrivere un libro sull’argomento, e poi perche’ egli stesso proviene da studi classici ed approccia anche il jazz, tra i tanti generi musicali di cui si occupa, sempre e comunque con atteggiamento “colto”. Ad omaggiare Evans sul palco con Pieranunzi altri due grandi “poeti” del jazz contemporaneo, un generosissimo Hein Van De Geyn, campione di armonia e “visceralita’” al contrabbasso, e di nuovo il francese Andre’ Ceccarelli, stavolta in veste di titolare, considerato per la precisione, la raffinatezza e la misurata fantasia del suo tocco, uno dei maggiori batteristi a livello europeo e mondiale.

Le “nottate” di Ischia sono poi proseguite con l’iniziativa Jazz in Club, ad ingresso gratuito, le prime dure serate all’Alchemie Friends Club, la prima col bassista Pippo Matino e la cantante Silvia Barba, con la partecipazione di Francesco Bearzatti al sax e Claudio Romano alla batteria, che hanno presentato il Bassvoice Project, dello stasso Matino, e la seconda col Trio del saxophonista Joe La Viola con al basso ed l’ormai “mitico” Ellade Bandini alla batteria. Le due “nottate” successiva si sono svolte al Club Ecstasy con – sempre in tema di personaggi mitici – il batterista Gege’ Munari alla guida di un quintetto con Max Ionata al sax tenore e, l’ultima sera, con il tributo a Michael Brecker del quartetto di Claudio Romano, con Giulio Martino al sax, di nuovo Pippo Matino al basso e con Andrea Rea al piano.

Trasversalmente a tutti i concerti si sono tenuti diversi workshop di musica d’insieme ed una bella mostra fotografica di ritratti di personaggi del jazz di Andrea Boccalini, significativamente intitolata “Blue in Green“, sempre nella suggestiva cornice del Castello Aragonese.

Anche quest’anno, dunque, un’edizione dell’Ischia festival da ricordare per i tanti ed interessanti temi ed iniziative che si sono susseguiti con intensita’, seguendo il filo conduttore della musica, affrontata in tutti i suoi aspetti.

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