Suoni d’Inghilterra

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Fabrizio Squillace, ovvero FAB come moniker e identità di rocker e cantautore. Inglese nella sua radice artistica e di ispirazione. E se ci si chiede come si possa convivere con suoni e culture che non appartengono al nostro vissuto quotidiano, beh, risponderemmo con l’ascolto di questo “Maps for Moon Lovers”, che a ben vedere sfoggia un equilibrio estetico e spirituale assai invidiabile. Ed è così che si titola il nuovo disco di FAB, un’autoproduzione che chiude il suo ciclo di lavorazione con il mastering nei prestigiosi Abbey Road di Londra. Inediti in un inglese che a tratti lo sentiamo fare fatica ad incastrare nelle celle melodiche tutte le parole che il nostro canta… ma il risultato è funzionale e convincente oltre a sapersi mettere in mostra con gusto. In rete il video ufficiale del singolo “How high the Moon”: il romanticismo di FAB si coniuga con il rock inglese, quello largo e vaporoso, quello fatto di pianure e non di club fumosi di un ghetto metropolitano. Il rock di FAB è una lunga strada di contemplazione che noi affrontiamo con la pace nel cuore. In attesa della pubblicazione del nuovo video scambiamo due chiacchiere per capirne di più.

 

 

 

Rock di chiaro stampo inglese. Questo percepisco fin dal primo ascolto. Sei d’accordo?

È la mia attitudine, sono le mie origini. C’è sempre qualcosa di nordico nella musica che compongo, vuoi nelle sonorità vuoi nella scrittura dei testi. Credo che anche le tematiche che affronto appartengano più a quella sponda. Pensiamo ad un brano come Sands, nel primo disco “Bless”, che affronta la questione dell’Irlanda del Nord. Sono nato in Italia, ma per certi versi mi sento molto più vicino a quel modo di intendere la vita, trovo familiari i paesaggi d’oltremanica così come i volti in cui mi imbatto passeggiando in una cittadina della provincia inglese. La musica che produco, dunque, non può non avere una chiara matrice anglosassone e devo ammettere che sono profondamente fiero di questa direzione.

 

E parlando proprio di direzioni artistiche, perché proprio questa direzione più di altre? Non ti chiedo della scelta dell’inglese ma ti chiedo invece di quel certo modo di fare rock…

Semplicemente perché lo sento affine a me, esprime il mio modo di “sentire” le cose, di comunicarle in un modo piuttosto che in un altro. Un rock che ha un sapore folk e intimo, che a tratti riesce a divincolarsi fino a divenire quasi furente, ma alla fine trova sempre riparo in una dimensione più “cantautorale”. Credo esprima al meglio la sintesi tra il mio lato più estremo ed un altro più riposto e spirituale. È questo il motivo per il quale trovo profondamente intrigante il connubio tra una chitarra distorta ed una viola, tra un piano “sospeso” ed un basso possente. Adoro i contrasti, ma ancora di più la loro soluzione, la ricerca di un elegante compromesso.

 

È stata corposa e interessante la critica che fin qui ti ha accompagnato. C’è ancora qualcosa che non è stata detta circa questo video ufficiale ad esempio? È un pezzo estremamente figurativo…

Un brano etereo e concreto allo stesso tempo, la descrizione di un amore ingombrante e scuro, un fardello pesantissimo che richiede solo di essere gettato lontano. È sempre interessante scrivere di faccende scomode o volutamente messe da parte dalla maggior parte della gente. L’amore, le relazioni in generale, non si nutrono soltanto di tensioni positive ma spesso sfociano nell’insofferenza e nel dramma. Girare il video è stata un’operazione complessa e faticosa, e non mi riferisco solo al piano tecnico. Calarsi nei panni di un uomo che lotta contro un amore troppo grande, che alla fine finisce per lottare contro se stesso, e’ stato estenuante. Un bicchiere di vino e l’aria rarefatta di montagna hanno agevolato il tutto.

 

“Maps for moon lovers”: per scriverlo hai distrutto le maschere o le hai indossate?

Penso di averle distrutte, liberandomi di ogni orpello richiesto dal “mainstream” contemporaneo, restituendo esclusivamente la mia pura essenza. Avrei potuto provare a scrivere un disco più “ruffiano”, adagiato su dettami imposti da quello che oggi continuano a definire indie italiano. Che di indie, ad essere sinceri, ha oramai ben poco. Ma è un discorso troppo lungo da affrontare in questa sede. Ci sono solo otto canzoni inedite, prodotte da un musicista indipendente, italiano, che provano a raccontare a modo loro quello che succede ai giorni nostri sul nostro pianeta. Uno sguardo disincantato e sarcastico, una sorta di “guida galattica per autostoppisti” solo un po’ più seriosa.

E so che a breve uscirà un nuovo capitolo, parlando di video. Ci dai qualche anteprima?

Il terzo brano estratto da “Maps for moon lovers” è stato scelto per chiudere una trilogia iniziata con How high the moon, che descrive il lato oscuro dell’amore, proseguita con The same floor, che celebra la rinascita e il risveglio. Il terzo capitolo sarà davvero una sorpresa, qualcosa in cui non mi sono mai cimentato prima, in bilico tra realtà e finzione. Posso solo dire che l’ispirazione per la genesi del video e’ stato Charlie Chaplin, ma non aggiungo altro. L’aspetto visivo dei brani è molto importante e rappresenta una sfida avvincente, capace di sottolineare l’intima connessione tra musica e cinema.

 

Dal vivo… la tua musica che vita sta vivendo?

Stiamo cercando di costruire un tour in grado di dare la giusta visibilità al progetto. Fin’ora “Maps for moon lovers” ha avuto cornici magnifiche, ma la vera sfida è portare le storie del disco all’estero. C’è fame di musica, nonostante le tribute band, nonostante alcune incredibili operazioni tutte italiane di riadattamento post-indie, fenomeni che ritengo contingenti e destinati a finire molto presto.