Verona Jazz 2009: INDO-PAK COALITION, MIKEY FINN+CUONG VU, MAURO OTTOLINI W

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Un tour de force da intenditori nella terza serata del Verona Jazz 2009

Forse e’ stato chiesto troppo al pubblico questa sera, tre set veramente raffinati ma impegnativi. Forse in questa breve ma intensa rassegna si e’ voluto offrire il massimo, garantendo un ventaglio di esperienze musicali, nomi famosi e artisti emergenti di talento ma gia’ conosciuti nel mondo. Forse una scelta piu’ ponderata sarebbe stata utile a non far scappare il pubblico gia’ al set di apertura esibito dall’Indo-Pak Coalition di Rudresh Mahanthappa. Il trio si completa col percussionista americano Dan Weiss alle tabla, che suona con una elegantissima tecnica di dita, tipica della scuola indiana, e il chitarrista pakistano Rez Abbasi, ognuno capace di comunicare la propria energia e il proprio talento come fossero solisti sul palco e riuscendo, malgrado cio’, a garantire un amalgama di particolare intellettualismo. La musica di Mahanthappa raggiunge un risultato piuttosto cerebrale, arroccandosi su una posizione di musica colta originale e personale. È infatti dalla musica classica indiana che prende le mosse, innestando nel suo sax alto le tipiche sequenze armoniche dei Raga indiani caratterizzate da intervalli di quarta, quinta e ottava giusta, fusi con l’improvvisazione jazz di stampo newyorkese.


Secondo set: Mickey Finn + Cuong Vu, rappresentanti del collettivo El Gallo Rojo, etichetta indipendente veronese ormai “di culto” a livello internazionale. Il Mickey Finn e’ un cocktail a base di idrato di cloralio che prende il nome dal suo inventore. Questi usava la malsana miscela per stordire e derubare i frequentatori ubriachi del suo bar a Chigaco negli anni a cavallo tra Otto e Novecento. Al risveglio gli sventurati non ricordavano nulla… associamo questo nome alla musica del collettivo? Ne vengono fuori: Enrico Terragnoli, chitarra, Giorgio Pacorig, tastiere, Danilo Gallo, contrabbasso, Zeno de Rossi, batteria, piu’ Cuong Vu, tromba. Lo stordimento causato dai Mickey Finn e’ piu’ di natura concettuale, provoca, infatti, l’immediata perdita della capacita’ di orientamento musicale, nel mare magnum delle possibilita’ mentali che si dipanano dalle involuzioni dei cinque borseggiatori di coscienza. L’inquietante “dopo”, e’ il non ricordare piu’ quale fosse il concetto di musica precedente. L’inizio della performance e’ una specie di viaggio nella mente deviata di un serial killer, fatto di rumori fuori contesto, interferenze metalliche di un basso che il basso non vuol fare, distorte immagini di una realta’ tradotta secondo canoni soggettivi e discutibili, come sarebbero quelli di una mente martoriata da un vissuto scollegato. Resta il fatto che, poi, il loro “soggettivo” modo di spiegarsi i Mickey Finn lo trovano, in un’apertura del suono e un incalzante ritmo fusi dall’imprevedibile tromba elettronica di Cuong Vu. Il tutto sfociando in una rassicurante alterita’ espressiva che funziona e che dunque trova di diritto posto nell’universo di una musicalita’ possibile.

Chiude in bellezza Mauro Ottolini Wild Bread Quartet. Il mix di Jazz africano, groove e improvvisazione di questo quartetto per meta’ veronese, guidato dalla straripante attivita’ creativa di questo piccolo e infaticabile uomo (date un’occhiata all’official website di Ottolini e ve ne farete un’idea!), consente di prendere fiato in questo tour de force intenso e impegnativo. Il trombone di Ottolini attraversa tutte le sfumature dei colori ocra e porpora del continente nero, affacciandosi all’ironico vezzeggiare gli animi ballerini degli anni ’30 e finendo per perdersi in languide dichiarazioni di innocenza e disincanto. Peccato che il teatro fosse quasi vuoto, non certo per la sua musica, quanto per l’insofferenza di un pubblico provato. Completano il quartetto il veronese Stefano Senni al contrabbasso, Daniele D’Agaro al clarinetto e Cristiano Calcagnile alla batteria.

Teatro Romano di Verona, 27 giugno 2009

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