La bella musica italiana

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Sono passati 30 anni circa. Ed ecco il “Il piano B”, l’alternativa di Beppe Palomba alla sua vita “normale”, che per lui il “normale” significa radio, tv, arte con Andy Warhol “al seguito”. Oggi ecco il suo nuovo disco per farci ritrovare il Palomba cantautore che abbiamo lasciato alle cronache tempo fa… e che oggi, elettronica a parte, conferma il gusto e la lunga tradizione culturale della vera canzone d’autore italiana. Si intitola “Il piano B” uscito da qualche giorno per Interbeat Records di Luigi Piergiovanni. Napoletano di origini, Napoli la sua terra, ma il mondo è il teatro buono per ogni suo racconto, della città vesuviana ha poco e poco si sente…

 

 

La prima domanda nasce spontanea. Perchè tutto questo tempo prima di tornare in scena come cantautore?

Semplicemente perché solo adesso ne ho sentito il bisogno. Sono un uomo curioso, ho vissuto la mia vita e le mie esperienze, poi ho sentito forte la voglia di tornare a fare musica, avevo bisogno di aria nuova, d’altra parte non si è mai ex musicisti…

 

In questo tempo hai fatto tante altre cose…le ritroviamo in qualche modo tra le righe di questo disco?

Probabilmente c’è qualche eco di storie ascoltate, di eventi vissuti, di quadri amati, della musica che amo, ma in realtà “sento le voci”. Mi arrivano in testa storie, musiche, parole probabilmente sedimentate nel tempo, che adesso sono quasi costretto a scrivere e cantare.

 

Napoli: ho l’impressione di sentirla poco. Come mai?

Napoli è la mia terra, probabilmente è una componente così tanto profonda che resta solo a livello sentimentale, non viene fuori musicalmente, il mio territorio è quello delle storie, del racconto. Storie di solito interiori, ambientabili a Napoli come a Parigi, a Londra o a Berlino, costruite sulla fragilità dell’uomo.

 

In genere si pensa che chi si affaccia sul mare sia tendenzialmente stimolato alla ricezione e alla contaminazione di culture e punti di vista. È successo qualcosa di simile per Beppe Palomba?

Nella musica, come nell’Arte in genere, se non c’è contaminazione, se non c’è meticciato culturale c’è solo la ripetizione, la noia. Nella mia musica, a prescindere dalla mia volontà, c’è la musica classica, la musica latina, il cabaret, il jazz. Nel disco ci sono esempi chiarissimi di questo e credo sia stato realizzato all’insegna di una ricerca che privilegia la variazione, il procedere a sghimbescio tra i generi.

 

In questo disco chi e cosa hai voluto inserire? Chi è il tuo punto di riferimento?

Oltre ai miei musicisti, tutti veramente eccellenti, ho voluto Tony Esposito. Abbiamo iniziato insieme negli anno ’70 e il suo inserimento in tre dei brani di questo lavoro è stato un ritrovarsi per scambiarsi esperienze, sonorità. Per quanto riguarda gli arrangiamenti ho giocato con strumenti classici, archi, fiati, per poi sperimentare sonorità più elettroniche. Un disco fatto all’insegna della libertà espressiva, senza pormi limiti e barriere di nessun tipo. Il mio punto di riferimento? Beh, sono un cantautore, cresciuto musicalmente in un ambiente di cantautori, figlio e fratello di Tenco, De Andrè, Jannacci, Paoli, Conte…